Gino Mirabelli Badenier aveva 16 anni quando è arrivato in Italia nel 1974, in fuga dalla spietata dittatura del Generale Augusto Pinochet. Nell’autunno del 2019 ha seguito le imponenti mobilitazioni della primavera cilena conosciute come estallido social, con il Comitato di Solidarità con il Cile di Genova, la città in cui vive, che per un periodo ha aderito alla rete internazionale Chile Despertó.
Dopo le vittorie collezionate dalla sinistra cilena con il voto per la Convención Constitucional e l’elezione del presidente Gabriel Boric, nel 2021, quella che si credeva una vittoria scontata del “apruebo” non è avvenuta: la Nueva Constitución (NC) è stata respinta con una maggioranza schiacciante. Con Gino abbiamo cercato di spiegare le ragioni di questo apparente paradosso.
Il rechazo della nuova costituzione è stato inequivocabile, dopo una serie di vittorie elettorali collezionate dalla sinistra dall’inizio del processo costituente. Il 62% dei no era un risultato atteso?
Assolutamente no, è stata una doccia fredda. Nessuno dei diversi attori che ha portato avanti la battaglia per l’”Apruebo” della nuova costituzione si aspettava una sconfitta così netta. Davanti alle promesse disattese dal presidente Gabriel Boric, il 62% degli elettori ha espresso un voto di protesta. Peccato che questo voto di protesta lo abbia incamerato la destra più reazionaria del Paese, che da oggi si sentirà più forte e tenterà di ostacolare qualsiasi nuovo processo costituente.
L’esito di oggi è un sì alla Costituzione pinochettista oppure il processo costituente andrà avanti?
Se il processo costituente andrà avanti non sarà con le caratteristiche che erano uscite fuori nella Convenzione Costituzionale. Con il risultato di domenica quelle proposte vengono completamente cancellate. Davanti alla sconfitta Boric ha proposto di continuare il percorso costituente, non con dei delegati eletti dal popolo, ma al Senato della Repubblica, così come prevede la Costituzione vigente. La destra più reazionaria ha già detto di no, di non essere disponile a proseguire al Senato quando il popolo si è già espresso a favore dell’attuale Costituzione fatta da Pinochet nel 1980, poi lievemente modificata dagli ex presidenti Ricardo Lagos e Michelle Bachelet, che però non ne hanno cambiato i fondamenti.
Quali ritieni essere le principali ragioni della sconfitta dell’Apruebo?
Quello che non ha convinto è che non sono state accolte le istanze radicali di cambiamento richieste dai cileni con le imponenti mobilitazioni del 2019. Non si chiedeva una Convenzione ma un’Assemblea Costituente. C’è una sostanziale differenza: nella Convenzione Costituente i delegati rappresentano i partiti, non le persone. Inoltre nella Convenzione si sono ripetute le dinamiche politiche della Concertación, l’alleanza di centro-sinistra di stampo fortemente neoliberista che si è formata in Cile dopo la dittatura. Il popolo che è insorto con lo slogan “no son 30 pesos, son 30 años” voleva un maggior protagonismo e un taglio più netto con il modello economico della democrazia liberale instaurata 30 anni fa dopo il regime.
La bocciatura della nuova costituzione è una bocciatura di Gabriel Boric?
Esattamente, è una bocciatura della coalizione di governo, che si è rivelato dunque “amarillo”, cioè socialdemocratico e riformista, incapace di realizzare il cambiamento reale richiesto dal popolo e di rappresentare il movimento che si è reso protagonista del estallido social.
Un altro fatto che ha pesato sulla credibilità di Boric sono state le promesse non mantenute di discontinuità con il vecchio governo sulla questione Mapuche, ovvero la demilitarizzazione dell’Araucanía. Non solo, ma a poche settimane dal voto ha rinnovato la presenza militare nella regione e questo è stato visto come un tradimento. La militarizzazione del Wallmapu, il territorio del popolo Mapuche, ha incrinato ulteriormente la fiducia. Si deve tenere presente che nelle proteste cilene le bandiere del popolo Mapuche erano le uniche che sfilavano accanto a quella del Cile. Non c’era nessuna bandiera dei partiti di sinistra nelle manifestazioni del estallido social. Anzi, bisogna ricordare che Boric era stato persino contestato e invitato ad uscire da un corteo. Io credo che il movimento che ha portato avanti le proteste del 2019 continui a non avere nessuna rappresentanza istituzionale.
Una parte della sinistra però si è compattata per andare a votare a favore della NC, il 38% non è poco. E’ possibile che una parte di Paese abbia reputato troppo radicale il nuovo testo costituzionale?
La destra naturalmente ha condotto una vera e propria campagna di terrore contro la NC, demonizzandone le proposte. Ad esempio ha sostenuto che se avesse vinto il sì lo Stato avrebbe riconosciuto gli stessi diritti dei cileni agli “indios”, un termine che in Cile è utilizzato come dispregiativo nei confronti delle popolazioni indigene; ha parlato del diritto all’aborto come del diritto delle donne “ad uccidere un bambino nel grembo materno”; ha fatto passare il “diritto all’abitazione” per esproprio nei confronti di chi possiede più case.
Su tutto questo e su posizioni di disprezzo verso le persone LGBTQ+ è stata costruito una campagna stampa sia sui social sia sui grandi giornali. Inoltre si è diffuso il timore che se la NC avesse vinto i militari avrebbero fatto un altro colpo di Stato. Di fronte a questa informazione la gente normale ha avuto paura. Tuttavia ritengo che la maggiore responsabilità sia del governo.
Come cambierà adesso lo scenario politico?
Il governo Boric non cadrà, resterà in carica fino alla sua naturale scadenza nel 2026. Come farà a sopravvivere? Molto semplice, con un’accentuazione della Concertazione. Boric è al governo con la coalizione Apruebo Dignidad, composta da Frente Amplio, Partito Comunista, Verdi, umanisti. Adesso potrebbe esserci un rimpasto con un’apertura maggiore verso forze moderate, come Partito Socialista e Democrazia Cristiana, e destra moderata, quegli esponenti della vecchia politica contro cui i giovani cileni sono scesi in piazza a protestare. Non erano 30 pesos, erano 30 anni di politiche neoliberiste, ma si continuerà su quel percorso lì. Il problema del Cile è che continua a non avere un partito politico che rappresenti l’alternativa.
Nel 2019 i cileni promettevano al mondo: il Cile è stata la culla del neoliberalismo, sarà anche la tomba. Sarà ancora così?
Quello che insegna questo movimento così capillarmente organizzato, che ha visto come protagonisti giovani, lavoratori e soprattutto donne, è che esiste una alternativa alle politiche neoliberiste. Peccato che le sue proposte non siano state raccolte dalla politica, né da Boric né da altri, per il semplice fatto che gli altri non esistono più, sono stati sterminati dalla dittatura di Pinochet. Quelle persone che sono scese in piazza sono figli dei desaparecidos, dei torturati e degli esuli. In questi 30 anni sono stati forgiati dalle battaglie contro il neoliberismo. Queste mobilitazioni proseguiranno anche in assenza di un interlocutore reale. Non possiamo dire come e quando ma ci saranno. Bisogna organizzare un nuovo blocco popolare che rappresenti lavoratori, donne, studenti, popoli indigeni. Bisogna continuare a discutere, bisogna continuare la lotta. Il futuro non so come sarà, è tutto da conquistare.