Ci sono studi e ricerche che fanno fatica a raggiungere le prime pagine dei quotidiani. E’ il caso, per esempio, dell’indagine ISTAT-UNAR sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ (in unione civile o già in unione), che ha coinvolto circa 21 mila persone, di cui il 95,2% si dichiara omosessuale o bisessuale. Tra quanti dichiarano un orientamento omosessuale o bisessuale, il 65,2% è gay, il 28,9% è rappresentato da lesbiche, il 4,2% da donne bisessuali e l’1,7% da uomini bisessuali. Questo segmento di popolazione è caratterizzato da una quasi totalità di cittadini italiani, una chiara maggioranza di uomini (66,9%) e una quota rilevante di persone di età matura (il 43,6% ha 50 anni e oltre).
Quasi la metà delle persone omosessuali e bisessuali intervistate riferisce di essersi unite civilmente perché “l’unione civile garantisce alcuni diritti” (48,9%) mentre più di un terzo indica come motivo principale: “l’unione mi è sembrata la naturale evoluzione del nostro rapporto” (36,5%). Seguono con valori più modesti i motivi: “per rivendicare la legittimità delle unioni tra persone dello stesso sesso” (7,2%) e “per ufficializzare il nostro rapporto in famiglia, sul lavoro, etc.” (4,6%). Il 9% ha contratto l’unione (o altro istituto analogo) all’estero e ha successivamente effettuato la trascrizione in Italia. Nella quasi totalità dei casi la famiglia di origine e gli amici delle persone in unione civile o già in unione è a conoscenza dell’attuale orientamento sessuale, ma per alcuni degli intervistati la decisione di renderlo noto (coming out) ha generato una reazione negativa da parte dei genitori. Quando il figlio o la figlia si è unito/a civilmente, la madre e il padre non hanno accolto il partner come parte della famiglia, rispettivamente, nel 4,8% e nel 6,4% dei casi.
La popolazione delle persone in unione civile o che lo sono state in passato, omosessuali e bisessuali, che vive in Italia si caratterizza per un’elevata partecipazione al mercato del lavoro. In ragione del livello di istruzione elevato e del profilo maturo, la stragrande maggioranza è occupata (77%) o lo è stata in passato (22,5 %), solo una quota irrisoria non ha mai lavorato (0,5%). Nel complesso le persone in unione civile o già in unione omosessuali e bisessuali sono maggiormente impiegate nel terziario (sanità e assistenza sociale, servizi di alloggio e ristorazione e altri servizi) dove si colloca circa una persona occupata o ex-occupata su due. La componente femminile è più presente nei settori “sanità e assistenza sociale” e “altri servizi”, gli uomini nel “commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di auto e moto” e “attività manifatturiere, riparazione manutenzione e installazione di macchine e apparecchiature”.
Circa una persona su cinque, occupata o ex-occupata in Italia, dichiara di aver vissuto un clima ostile o un’aggressione nel proprio ambiente di lavoro, con un’incidenza leggermente più elevata tra le donne (21,5% contro 20,4%), sia lesbiche che bisessuali, tra i giovani (26,7%), gli stranieri o apolidi (24,7%) e le persone che vivono nel Mezzogiorno (22,6%). Il fenomeno è più diffuso tra i dipendenti o ex-dipendenti e riguarda più spesso l’essere stati calunniati, derisi o aver subito scherzi pesanti (46,5% di quanti hanno segnalato di aver sperimentato almeno un evento di clima ostile o aggressione), l’essere stati umiliati o presi a parolacce (43,9%). L’episodio maggiormente segnalato dagli indipendenti (o ex-indipendenti) è invece l’aver ricevuto offese, incluse quelle di tipo sessuale (45,6%). Il 38,2% delle persone in unione civile o già in unione che si sono definiti omosessuali o bisessuali e che vivono abitualmente in Italia ha subito per motivi legati al proprio orientamento sessuale almeno un episodio di discriminazione (verificatosi, in oltre la metà dei casi, negli ultimi tre anni) in altri contesti di vita: il 16,8% degli individui si è trasferito in un altro quartiere, altro Comune o all’estero per poter vivere più tranquillamente la propria omosessualità o bisessualità (il 12% in un altro comune, il 3,4% all’estero). Il 16,7% è stato trattato male dai vicini di casa; Il 13,1% dichiara di essere stato trattato/a meno bene degli altri in uffici pubblici, mezzi di trasporto negozi; il 10,4% ha avuto problemi in ambiente sanitario da medici, infermieri o altro personale dei servizi socio-sanitari.
Con riferimento alle azioni auspicabili in ambito lavorativo, la stragrande maggioranza delle persone omosessuali e bisessuali, in unione civile o già in unione che vivono in Italia ritiene che per favorire l’inclusione delle persone LGBT+ nel mondo del lavoro siano urgenti attività di formazione, sensibilizzazione o campagne sulle diversità LGBT+ da parte delle istituzioni pubbliche (71,7%). Nella graduatoria delle azioni auspicabili seguono interventi legislativi (52,6%) e azioni di indirizzo da parte dell’Unione europea o altri organismi sovranazionali (44,6%) e, con un notevole distacco, iniziative e interventi degli organismi di parità e tutela preposti (26,2%) e l’impegno sindacale (es. contrattazione, formazione delle rappresentanze sindacali, eventi e iniziative culturali) (22,2%). In riferimento, infine, all’adozione di misure e iniziative per favorire l’inclusione delle persone LGBT+, nell’89,1% dei casi sono molto favorevoli all’emanazione di una legge nazionale contro l’omobitransfobia, nell’81,6% a introdurre la stepchild adoption (adozione del figlio del partner), nell’81% a introdurre l’istituto del matrimonio anche tra persone dello stesso sesso (matrimonio egualitario), nel 78% a prevedere l’adozione di minori da parte delle coppie omosessuali in unione civile e nel 74,8% a introdurre maggiori tutele sul lavoro per le persone LGBT+.