Dal 28 al 31 luglio si è svolto al centro della Sardegna, nella ormai storica Casa per la Pace di Ghilarza il seminario su Nonviolenza e Anarchia. Si trattava del secondo seminario sullo stesso tema, dopo quello del 2017, con l’ultimo intervento in Sardegna del compianto Alberto L’Abate, storico militante nonviolento.
In questo caldissimo fine luglio del 2022 era presente l’anziana compagna di una vita di Alberto, Annaluisa, che ha detto alla fine davanti al gruppo: “Venivo con il sentimento di sentire in questa casa la presenza di Alberto e l’ho trovata, l’ho sentita e grazie a voi che non rinunciate a continuare a cercare, come faceva lui”.
Si può leggere anche in questa luce l’evento che ha visto la partecipazione di una ventina di persone, nonviolenti e anarchici, o comunque interessate a una riflessione sui temi che sono stati approfonditi. Temi comuni alle due diverse scuole di pensiero, a cominciare da quello dell’autogestione, per giungere a quello della disobbedienza. Toccando anche i temi del dominio tecnologico, delle affinità col cristianesimo, dell’autodeterminazione dei popoli e della pedagogia libertaria.
Antonio Lombardo, attivista della Federazione anarchica italiana (FAI), oltre che responsabile della Biblioteca Primo Maggio di Orani (NU), ha parlato dell’autogestione come naturale punto di incontro fra anarchia e nonviolenza. Citando Errico Malatesta, ha posto due punti comuni alle due scuole di pensiero: l’autonomia e la coscienza di ogni individuo. Anche per gli anarchici i mezzi non sono arbitrari, il mezzo è il seme e il fine l’albero. L’autogestione può essere un laboratorio comune per passare dal profitto alla socializzazione dei beni e delle produzioni, ma non va vista come una mera tecnica né può coesistere col sistema capitalistico e con il dominio della macchina statale. L’incontro fra anarchici e nonviolenti è nell’autogestione: dal Gandhi dell’economia dei villaggi, vissuti come piccole repubbliche, alle collettività anarchiche nella Spagna della guerra civile. Il federalismo come coordinamento dei popoli. Oggi è possibile incontrarci su questo terreno.
Si è collegato a questo tema Salvatore Deiana, ricercatore all’università di Cagliari, oltre che attivista di Potere al Popolo, fornendoci un breve spaccato dell’impegno di Gandhi per la strutturazione di un’economia dei villaggi, in realtà una vera e propria economia basata sull’autogestione. In conclusione ha posto una riflessione e una domanda interessante: Gandhi sembra pensare all’ipotesi di uno Stato nonviolento, in cui gli amministratori siano al servizio del popolo, in una sorta di amministrazione fiduciaria. E’ compatibile questo oggi con l’anarchia e la nonviolenza? Ci sono alcuni dubbi.
Il giovane anarchico algherese Cristian Grosso, autore del recente libro “Le vene, l’anima. Il sangue, l’anarchia”, ha voluto proporre un’idea di indipendentismo senza Stato, con un focus sulla Sardegna. Il concetto di nazione non si identifica e diverge da quello di Stato nazionale, perché implica il federalismo dal basso. La lotta di liberazione nazionale, anche in Sardegna, per l’anarchico implica l’internazionalismo come più alto valore e dovrebbe ripercorrere lo stesso rapporto che intercorre fra individuo e comunità per poter arrivare a un federalismo anarchico.
Venerdì 29 luglio Carlo Bellisai del Movimento Nonviolento ha parlato del dominio della tecnica e delle tecnologie, soprattutto nella visione di Jacques Ellùl, per porre in evidenza quanto oggi la tecnica (che chiamiamo ormai tecnologia) sia onnipresente, onnisciente, onnipotente, ingiudicabile. In pratica la nuova grande religione che ci avviluppa tutti. Crea consenso mostrandosi come dispensatrice di comodità e risolutrice di problemi: in realtà, risolve alcuni problemi, creandone altri, sempre più numerosi, promettendo sempre di risolverli in futuro. Come vivere e cosa fare per contrastare questa sinuosa forma di dominio? Ricco dibattito.
Pierpaolo Loi della Rete Radjan Resch ha messo in evidenza le prossimità fra il pensiero del primo cristianesimo e quello anarchico e nonviolento. Cercando ancora questo lato sovversivo e insieme costruttivo del cristianesimo, è passato all’America Latina dello scorso secolo, dove teologia e liberazione sociale si sono a lungo incrociate. Il dibattito ha evidenziato che la vita spirituale ha un suo sé anche per molti atei o agnostici.
Nel pomeriggio, in collegamento a distanza, ha parlato Francesco Codello, pedagogista anarchico, autore di numerosi libri sull’educazione libertaria. Parla di anarchismi al plurale e ha come mentore l’anarchico inglese Colin Ward, quello dell’anarchia come organizzazione, che conquista spazi di autogestione coinvolgendo le popolazioni locali. “Libertà non significa licenza, ma responsabilità. L’anarchismo è propositivo”. L’educazione dovrebbe essere incidentale e lasciare alla scuola il compito della trasmissione della memoria e del trovare la bellezza d’apprendere. Quando la questione scivola sull’educazione statale e quella alternativa, ma privata, si accende poi il dibattito, anche emotivo, vista la partecipazione di docenti o ex docenti, o di persone impegnate nelle professioni di cura, tra l’altro di diverse età.
Sabato 30 luglio ha presentato la sua idea Enrico Euli, storico formatore all’azione diretta nonviolenta dagli anni Novanta al 2001 e docente all’Università di Cagliari. Come suo solito, Enrico ha presentato una serie di mappe riassuntive su quanto andava a dire. Ogni azione può essere iscritta nella relazione ad incrocio “legale-illegale-legittimo-illegittimo”. Ma se poi andiamo a cercare come è ancora possibile la disobbedienza organizzata, troviamo solo nicchie spontanee e pura resilienza, senza più resistenza. Non dovremmo più contestare l’ordine, sperando che venga cambiato, quanto disobbedire all’obbligo. Nella migliore delle ipotesi siamo già in ritardo, cioè vicini alla catastrofe della subordinazione globale, ma intanto possiamo ancora ragionare sulla soglia della violenza percepita, sulle conseguenze dell’azione diretta e sulla difficoltà che si trasformi in un’azione legalista da una parte, o integralista e potenzialmente violenta dall’altra.
I punti di maggiore differenza tra azioni nonviolente e anarchiche vanno correlati quindi alle varianti presenti all’interno dei movimenti nonviolenti e di quelli anarchici. Nel dibattito sono emersi in particolare il diverso atteggiamento verso lo Stato e le leggi (l’analisi radicale e contrapposta degli anarchici, mentre i nonviolenti agiscono su obiettivi specifici e credono al potere ri-costituente della disobbedienza nei confronti della legge ingiusta, che può e deve essere trasformata in meglio) e verso l’uso della violenza (che è rifiutato per principio dai nonviolenti e solo tatticamente dagli anarchici).
Il sabato sera abbiamo aperto ai visitatori e provato a riassumere quanto avevamo costruito nei giorni precedenti. Dopo due anni di chiusura per le restrizioni relative alla pandemia, riprendere ad abbracciarsi è un altro risultato e vivere insieme quattro giorni, in autogestione, un altro ancora, per nulla scontato, riaprendo e rimettendo in funzione un luogo, come la Casa della Pace di Ghilarza, utile e logistico non solo per il movimento nonviolento locale.
Mi direte che sono cose piccole, ma è dal piccolo che a volte si cresce. Quel che è comunque cresciuto è il confronto tra anarchici e nonviolenti, che ha posto un’altra tappa della sua incerta e per certi versi travagliata storia. L’ha fatto in Sardegna e la sensazione è che possa esserci una continuità nel confronto e forse anche in iniziative e azioni comuni.
L’importanza di distinguersi senza per questo dividersi resta, riportando la proposizione anche all’interno delle rispettive aree di movimento.
In conclusione di questi brevi appunti sulle giornate di Ghilarza, vorrei citare una parte di un intervento di Annaluisa L’Abate: “… Noi dobbiamo amare e amare anche i nostri nemici. Anche una persona che ti dà fastidio, se riesci ad amarla hai vinto la tua ombra. La sostanza di questa povera Terra, di tutti questi astri che vanno nell’universo. Noi dovremmo essere felici di essere in questo contesto d’armonia e d’amore, anche quando questo amore viene schiacciato e resistiamo.”
Anche per gli anarchici rimane la distinzione tra il potere in divisa, da abolire, e la persona umana, da salvare.