“L’impunità di Reverberi è finita”: al quotidiano argentino Página 12 Jorge Ithurburu, presidente dell’associazione 24 Marzo Onlus, ha dichiarato tutta la propria soddisfazione per l’accoglimento del ricorso dell’Argentina relativo all’estradizione del sacerdote italiano don Franco Reverberi, accusato di crimini contro l’umanità e torture all’epoca del governo della giunta militare.
Il 30 giugno scorso, infatti la Suprema Corte ha ribaltato il verdetto della Corte d’Appello, che si era opposta alla prescrizione sia per la “mancanza di gravi indizi” sia per la prescrizione. In qualità di cappellano militare, secondo la magistratura di Buenos Aires, il religioso sarebbe stato presente durante le sessioni di tortura di almeno dieci persone nel centro clandestino “Casa Departamental” a San Rafael (provincia argentina di Mendoza). I fatti sarebbero avvenuti nel 1976, primo anno di insediamento della dittatura militare alla Casa Rosada.
A questo proposito, lo scorso 27 luglio, definendo adeguate le accuse del governo di Buenos Aires, il Sole 24 Ore ha scritto: «La Suprema Corte ha depositato le motivazioni con le quali, il 30 giugno scorso, ha annullato la sentenza della Corte d’Appello che aveva rifiutato la consegna, per l’assenza di gravi indizi e per la prescrizione. Una decisione che la Cassazione (sentenza 29951) cancella rinviando alla Corte territoriale per un nuovo giudizio. Ha infatti sbagliato la Corte d’Appello a sindacare le conclusioni raggiunte dall’autorità giudiziaria argentina, considerando scarsa la loro “tenuta”. Per l’estradizione, ai fini di un processo è infatti sufficiente valutare la documentazione fornita dallo Stato richiedente. E ad avviso della Suprema Corte, lo Stato richiedente ha «rappresentato adeguatamente il quadro indiziario a carico dell’estradando nell’esposizione dei fatti».
Ad accusare Reverberi sono stati alcuni sopravvissuti alle torture. Del resto, tra i torturati vittime del Plan Condor e della repressione sistematica nel Cono Sur latinoamericano che sono usciti vivi dai campi di detenzione illegali e dalle prigioni sotterranee, sono in molti a sostenere che, se i carnefici possono non ricordarsi di loro, a causa del gran numero di prigionieri politici arrestati, al contrario le vittime non hanno mai dimenticato i loro volti. Secondo l’accusa, il sacerdote, adesso ottantaquattrenne, non avrebbe partecipato materialmente alle torture, ma indossando abiti militari avrebbe comunque affiancato i torturatori invitando i detenuti a confessare le proprie ipotetiche colpe. Ad inchiodarlo alle sue responsabilità i testimoni Roberto Flores, Sergio Chaki, Mario Bracamonte e Hugo Riera, come riportato qui.
Inoltre alle accuse di sequestro di persona e associazione per delinquere, si aggiunge quella relativa alla partecipazione di Reverberi nella scomparsa del giovane José Beròn, militante montonero.
A formulare la richiesta di estradizione era stato il Pubblico Ministero di Mendoza, a seguito della denuncia di Richard Ermili, avvocato e copresidente dell’Asamblea Permanente por los derechos humanos di San Rafael, a cui si è aggiunta la Segreteria per i Diritti Umani argentina con il segretario Horacio Pietragalla.
A ricostruire la vicenda di don Reverberi è stato il quotidiano argentino Página 12.
Emigrato in Argentina con i suoi genitori all’età di 11 anni, il sacerdote è tornato in Italia, in provincia di Parma, nel 2011, nonostante fosse stato convocato di nuovo dalla giustizia argentina.
Cappellano militare dell’esercito, fu convocato a testimoniare in qualità di persona informata dei fatti, in occasione del primo processo che si tenne nel 2010 a San Rafael contro alcuni repressori che agivano per conto della dittatura. Fu in quell’occasione che dei sopravvissuti lo riconobbero e nel 2012 il suo volto apparve sul portale web dell’Interpol con l’accusa di crimini contro l’umanità e torture.
La difesa di don Reverberi ha provato a sostenere che i fatti di cui era imputato il loro assistito rappresentavano “un attacco alla Chiesa cattolica”, ma in realtà la Corte Suprema di Cassazione ha precisato che il suo intento era esclusivamente quello di valutare se il religioso si fosse reso responsabile di azioni criminali, non certo quello di attaccare la Chiesa in quanto istituzione.
Il 26 settembre 2012 l’Argentina chiese l’estradizione del religioso al nostro paese che, però non la concesse perché il Codice penale non contempla il reato di tortura, come riportato ancora da Página 12.
Adesso, finalmente, è arrivata l’occasione per rendere giustizia ai desaparecidos e ai loro familiari.