“Accettare o no un percorso sociale non c’entra niente con la sua concessione”, questo il parere dell’«avvocato di strada» Antonio Mumolo, dopo l’importante sentenza della Corte d’Appello (Firenze)
La residenza, come ormai noto, è il punto motore di una serie di diritti fondamentali, fra i quali la presenza nel sistema sanitario nazionale, la possibilità di lavorare, l’accesso a misure di sostegno quali il reddito di cittadinanza e l’assegno famigliare. Anche il diritto all’istruzione passa attraverso la definizione della residenza. “Si tratta di un diritto-dovere così importante che, al netto delle ultime modifiche, la legge chiede agli uffici anagrafe di rispondere alla richiesta di iscrizione nelle liste, entro 48 ore. Ovvero: entro 48 ore il Comune deve dare una risposta positiva oppure negativa, motivando quest’ultima”.
A parlare è il presidente dell’associazione “Avvocato di Strada“, Antonio Mumolo, che, in questi ultimi mesi, ha raccolto proprio a Firenze un importante risultato: un ricorso davanti alla Corte d’Appello portato avanti insieme allo staff fiorentino composto dagli avvocati Silvio Toccafondi e Paola Pizzi, ha prodotto l’importante sentenza del 26 aprile scorso. Tutto nasce da un caso emblematico. “Nella fattispecie, la protagonista, nata a Firenze, ha una sfortunata esperienza a Campi nella quale perde il lavoro e viene sfrattata. Dopo il suo ricovero in una stanza di un edificio occupato – spiega Mumolo – si rende conto che la figlia minore non può usufruire né dei servizi scolastici né di quelli sanitari. Si reca in Comune e chiede la residenza, che, dopo qualche tempo, le viene però rifiutata. Si rivolge allora ai servizi sociali, che pongono in essere una serie di passaggi tali da farle temere di poter perdere la figlia. Così – prosegue il legale – si rivolge a noi che chiediamo al Comune di Firenze l’iscrizione nelle liste dell’anagrafe: pur occupante senza titolo ma abitando stabilmente in città (cosa nota anche ai servizi sociali cui la donna si è già rivolta), la signora può infatti essere iscritta come residente all’indirizzo fittizio di via del Leone, e poi, in termini residuali, nelle liste del Comune di nascita, ovvero Firenze, secondo quanto previsto dalla legge”.
Eppure, il Comune decide che la signora non deve essere iscritta. Forse perché non ha accettato il percorso sociale? Forse il percorso sociale è ritenuto da parte del Comune di Firenze l’unico metodo per accertare se la richiedente (o i richiedenti in generale) hanno asserito il vero? E comunque, è il percorso sociale l’elemento capace di far pendere per il sì o per il no l’iscrizione all’anagrafe? Precisa Mumolo: “Il punto è: secondo la legge, la residenza è una dichiarazione che deve possedere soltanto due requisiti: uno oggettivo – mi trovo nel territorio di Firenze – e un altro soggettivo, ovvero la volontà di volerci stare. Il Comune deve darla, o negarla motivando il diniego, entro 48 ore. Se la dà, ha 45 giorni per effettuare indagini. Il percorso sociale, che attiene al welfare, non ha nessuna parte nel processo di iscrizione o meno. È un ottimo aiuto che il pubblico dà alla famiglia o alla persona, che deve essere accettato liberamente dal soggetto cui è proposto e che ovviamente potrà rifiutarlo, ma che non può e non deve influire su eventuali valutazioni che riguardano l’iscrizione”.
La sentenza, che arriva dopo 6 anni, da un lato conferma la natura di diritto soggettivo alla residenza, la sua obbligatorietà per il cittadino e per l’ente locale delegato di potere statale a procedere all’iscrizione o al suo diniego entro un tempo breve ma, soprattutto, mette in chiaro l’assoluta indipendenza del profilo legato al settore del welfare con quello legato alla legge che disciplina la materia in oggetto. Scrive infatti la Corte d’Appello: “Ritiene la Corte l’infondatezza della pretesa del Comune di Firenze di subordinare la concessione della residenza a una pre-istruttoria da effettuarsi tramite la presa in carico da parte dei servizi sociali in conformità alla delibera della giunta Comunale n. 2016/G/00050 del 24/02/2016”.
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