Come avevamo proposto già nel 2020,la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (casi C-14/21 e C-15/21) dopo il parere dell’Avvocato generale, ha individuato limiti ben precisi all’utilizzo dei fermi amministrativi disposti dalle autorità italiane, sulla base di una applicazione distorta della  Direttiva 2009/16/CE. a carico delle navi delle ONG, impegnate nelle attività di soccorso in mare  Dopo i provvedimenti illegittimi di chiusura dei porti adottati da Salvini quando occupava il Viminale ( che adesso si vuole “riprendere”), la gestione del ministro dell’interno Lamorgese, ancora in carica per pochi mesi, si era caratterizzata proprio per l’adozione sistematica di provvedimenti di fermo amministrativo delle navi civili che operavano soccorsi nel Mediterraneo centrale. Con l’evidente scopo di dissuadere e di criminalizzare i soccorsi umanitari in acque internazionali, in modo da lasciare spazio libero per gli interventi di sequestro in alto mare, spacciati per soccorsi, operati dalle unità della sedicente Guardia costiera libica, sostenuta dalle autorità italiane con finanziamenti e missioni militari in Libia. A partire dal 2020 la misura del fermo amministrativo è diventata lo strumento ordinario di contrasto delle attività di ricerca e soccorso che le navi delle ONG tentano ancora di operare nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. Tra il 9 ottobre e il 31 dicembre 2020 ben sei navi delle ONG risultavano bloccate in porto per effetto di provvedimenti di fermo amministrativo (Sea Watch 3, Sea Watch 4, Eleonore, Alan Kurdi, Ocean Viking e Louise Michel). Le informazioni su questi casi sono state sempre molto frammentarie. Ancora nel corso del 2021 le misure di fermo amministrativo avevano colpito in modo sistematico le navi delle ONG dopo l’ingresso in porto e lo sbarco dei naufraghi. Da ultimo, a gennaio di quest’anno, la Ocean Viking di Sos Mediterranee veniva bloccata da un fermo amministrativo nel porto di Trapani. In questo caso gli ispettori rilevavano carenze nella “gestione della sicurezza” a bordo utilizzando il rilievo di alcune irregolarità nell’impianto elettrico e nello stoccaggio dei liquidi infiammabili a bordo.

 

La Ong Sos Mediterranee con una nota replicava alle autorità marittime italiane: “Dopo il fermo della Ocean Viking nel luglio 2020, SOS MEDITERRANEE, in collaborazione con l’armatore della nave e delle autorità dello Stato di bandiera – la Norvegia – ha intrapreso sforzi amministrativi e tecnici per soddisfare i nuovi standard di sicurezza richiesti dalle autorità italiane. Nel dicembre 2020, un altro Port State Control – un’ispezione delle navi straniere nei porti nazionali – aveva confermato che tutti i requisiti erano stati soddisfatti, e tutte le carenze rilevate durante l’ispezione di luglio erano state corrette. Da allora, nel corso 2021, l’equipaggio della Ocean Viking ha soccorso e portato in salvo 2.832 persone in 33 operazioni di soccorso”.

Inoltre, sempre nel gennaio scorso, a seguito del provvedimento di fermo amministrativo, la stesa Ong aggiungeva: “A partire dal mese scorso, la Ocean Viking poteva essere selezionata per una nuova ispezione periodica, ai sensi del Protocollo di Parigi (Paris MoU). Questa nuova ispezione è avvenuta ieri. Questa volta, le principali carenze rilevate dai funzionari del Port State Control sono relative a un’altra area della nave: i container sul ponte di poppa della Ocean Viking. Durante questa ispezione, è stato valutato che queste strutture, aggiunte alla nave per fornire riparo ai naufraghi e contenere le attrezzature necessarie per il nostro lavoro di salvataggio, devono essere registrate in modo diverso. La certificazione di queste strutture come “carico” è messa in discussione, ben due anni e mezzo dopo che tali strutture sono state installate in un cantiere professionale e certificate da tutti gli organismi di regolamentazione pertinenti. 5.108 persone sono state salvate dal pericolo in mare dall’inizio delle operazioni di questa nave, e altrettante hanno trovato riparo e sicurezza all’interno di queste strutture”. Questi rilievi nei confronti della Ong Sos Mediterranee per cui operava la Ocean Viking danno la prova della pretestuosità dei rilievi di irregolarità adottati a base dei provvedimenti di fermo amministrativo. In quest’ultimo caso la nave poteva ripartire dal porto di Trapani dopo due settimane di fermo amministrativo, a seguito di una ennesima ispezione a bordo (PSC) che certificava l’eliminazione delle “irregolarità” riscontrate in precedenza.

 

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha demolito due dei capisaldi delle motivazioni con cui le Capitanerie di Porto su evidente indirizzo ministeriale, e con l’ausilio di una specifica squadretta di ispettori, avevano ordinato il fermo amministrativo per diversi mesi, a partire proprio da quell’anno, delle navi Sea Watch 3 e Sea Watch 4. Nel caso della Sea Watch 4 la nave era rimasta bloccata nel porto di Palermo addirittura per sei mesi, e poteva ripartire soltanto nel mese di marzo del 2021.

Per i giudici europei, e secondo la logica del diritto, non disgiunta da un minimo di umanità, non possono essere considerati “passeggeri” i naufraghi che vengono soccorsi in mare, e le navi delle ONG non possono essere costrette a dotarsi di ulteriori certificazioni dello Stato che è obbligato a garantire il porto di sbarco (POS), certificazioni che in passato le autorità italiane hanno invece richiesto a loro discrezione. Nel caso dell’Italia queste certificazioni non sono peraltro previste neppure dai registri del naviglio civile ed erano frutto di richieste arbitrarie da parte delle autorità amministrative.

Secondo la Corte UE di Lussemburgo“lo Stato di approdo non può imporre che venga provato che tali navi dispongono di certificati diversi da quelli rilasciati dallo Stato di bandiera o che esse rispettano tutte le prescrizioni applicabili a una diversa classificazione. Peraltro, nel caso in cui l’ispezione riveli l’esistenza di carenze, lo Stato di approdo può adottare le azioni correttive che ritenga necessarie. Tuttavia, queste ultime devono, in ogni caso, essere adeguate, necessarie e proporzionate. Lo Stato di approdo non può poi subordinare la revoca del fermo di una nave alla condizione che tale nave disponga di certificati diversi da quelli rilasciati dallo Stato di bandiera”.

Dopo l’ingresso della nave soccorritrice in porto e lo sbarco dei naufraghi, lo Stato italiano “può sottoporla a un’ispezione diretta a controllare il rispetto delle norme di sicurezza in mare. A tal fine, occorre però che tale Stato dimostri, in maniera concreta e circostanziata, l’esistenza di indizi seri di un pericolo per la salute, la sicurezza, le condizioni di lavoro a bordo o l’ambiente”.

Nel caso delle navi delle ONG il loro fermo amministrativo può essere dunque disposto non in modo sistematico e con motivazioni “fotocopia”, ma soltanto quando le autorità competenti provino in concreto che la loro navigazione pone seri problemi di sicurezza. Vedremo adesso come i giudici italiani applicheranno questi principi enunciati dalla Corte di Lussemburgo, ma esiste già un buon precedente in Italia, derivante da una sentenza del Tribunale amministrativo di Palermo, da cui era scaturito il rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo.

 

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