È passato un anno dall’uccisione, da parte dell’allora assessore leghista (con delega alla Sicurezza, Polizia Locale, Osservatorio Immigrazione) Massimo Adriatici, di un cittadino straniero con sofferenza psichica, Youns El Boussetaoui, al termine di un diverbio di fronte ad un bar in Piazza Meardi.
In base a quanto riportato dalla stampa la magistratura ha richiesto ulteriore tempo per arrivare a chiudere l’indagine – e su questo auspichiamo che il processo previsto per fine anno possa chiarire davvero quello che è avvenuto nella serata del 20 luglio 2021, dimostrando senza ombre che davvero la “giustizia è uguale per tutti” – nel frattempo l’ex assessore ha ripreso a svolgere la sua attività e la città sembra avere sostanzialmente cancellato quel fatto gravissimo e inedito nella storia locale.
Sicuramente l’uccisione di Youns è stata rimossa dalla sfera politica e amministrativa, dove – a parte le prime squallide comunicazioni politiche di esponenti nazionali e provinciali del partito dell’assessore – è prevalso un fragoroso silenzio, se possibile ancora più eloquente delle mancate dichiarazioni, prese di posizione, semplici ed umane dichiarazioni di cordoglio.
Ripercorrere quanto accaduto nei giorni successivi al 20 luglio è una pagina triste per l’intera comunità vogherese.
In sintesi: lo stupore per la Giunta che prende solo atto dell’autosospensione dell’ex assessore agli arresti domiciliari; la manifestazione pacifica di sabato 24 luglio (con la presenza della famiglia di Youns ed una grande partecipazione delle comunità marocchine e maghrebine oltre a moltissimi migranti con cittadinanza italiana uomini, donne, bambini) con scarsissima presenza di vogheresi, in un centro cittadino con negozi inspiegabilmente chiusi dopo i messaggi di allarme inviati dalla sindaca; il Consiglio comunale del 28 luglio che ripropone un segnale negativo, mancando riflessioni e approfondimento, con l’incredibile silenzio dei consiglieri di maggioranza che rinunciano al proprio ruolo delegando alla sindaca ed alla capogruppo leghista, gli interventi incentrati quasi esclusivamente sul presunto danno di immagine subito dalla città ad opera dei media. Così l’uccisione di un uomo ad opera di un rappresentante delle istituzioni locali diventa un “normale” fatto di cronaca, che chiama in causa solo due soggetti (chi spara e chi muore) cancellando il clima politico oltre che culturale nel quale è maturata l’uccisione di Youns e sulla quale anche le associazioni di volontariato riunite nella Consulta, risultano incapaci di una qualsiasi posizione o interrogativo sulla vicenda.
Ma la rimozione non ha funzionato, nel periodo successivo si impantana tra squallide manovre di palazzo, mescolate alle pesantissime inchieste sulla gestione dell’ASM, alle indagini sul presunto voto di scambio usato da una ex assessora ed al penoso stillicidio di volgarità delle comunicazioni interne alla giunta, rese pubbliche con il contagocce e non discusse, come la richiesta di dimissioni di un assessore, in un Consiglio comunale a novembre, con accesso impedito alla stampa ed alla Rai regionale.
Di mese in mese l’episodio scompare dai media e dalle scelte politiche e così, si riparte dai temi logori della precedente campagna elettorale, tornando ad agitare la “sicurezza”, come negli ultimi vent’anni, mescolando situazioni reali di microcriminalità, progressivo degrado di aree e spazi urbani, assenza di iniziative sociali e di accoglienza, sovrapponendo piano locale e nazionale per campagne politiche.
Oggi il tema “sicurezza” è ancora sui social in modo ripetitivo (i bivacchi nei giardini della stazione, le risse, ecc… con gli stessi commenti stereotipati sugli stranieri, spesso rilanciati da chi ieri ha sostenuto le attuali maggioranze ed oggi punta il dito contro le politiche che ha contribuito a sviluppare). Siti e blog diventati anche strumenti di aggressione verbale che poi si trasformano in violenza fisica, come accaduto nel corso dell’anno, gestiti da soggetti in cerca di visibilità “politica” a qualunque costo e che diventano protagonisti di aggressioni, anche a mano armata, come accaduto pochi giorni fa.
Restano, purtroppo, senza risposta le considerazioni di Giorgio Boatti dell’ottobre scorso sulla “Vogherizzazione” intesa “…come sbando di una comunità e caduta rapida e severa della coesione sociale e della reputazione territoriale di una località. Penetrante come una diagnosi il termine “Vogherizzazione” va oltre: punta l’indice sulla regressione della classe dirigente locale. Desolatamente impreparata davanti a problemi di disagio sociale, di disgregazione civile. Nel garantire sicurezza e diritti dei cittadini.
“Vogherizzazione” sottolinea infine la perdita, da parte di chi ha avuto l’onore e l’onere di amministrare la città, del senso del proprio ruolo. È la messa in evidenza di penose inadeguatezze: di sensibilità umana e civile e istituzionale; di spessore culturale; di empatia e maturità comunicazionale; di esperienza amministrativa. È anche, però, l’ammettere la profonda crisi che attraversa l’intera città. Crisi di identità, di visione futura, di schietto confronto sui problemi che incombono, e non da oggi, sulla comunità e sul territorio.
Crisi e smarrimento che investono tutte le forze politiche, la società civile, le reti professionali e produttive. Anch’esse sono parte della patologia della “Vogherizzazione”. E non riescono ancora ad esserne la terapia…”.
La reazione che Boatti auspicava ad oggi non la vediamo.
Antonio Corbeletti, Marcella Barbieri, Luciana Origgi, Rita Campioni, Adriano Bracone, Antonietta Bottini, Aurora Bonfoco, Giorgio Silvani, Chiara Depaoli, Stefano Renzi, Daniele Ferro.