L’Ordine nazionale dei giornalisti ha deliberato all’unanimità di dare la tessera onoraria a Julian Assange. Si tratta di un gesto simbolico, ma di estrema importanza. Come purtroppo sappiamo, infatti, uno dei punti forti delle accuse rivolte al fondatore di WikiLeaksè sempre stato quello di non essere un giornalista. Peraltro, nella patria di origine – l’Australia- non esiste un equivalente dell’Ordine.
Comunque, la Federazione internazionale (IFJ) e la sorella italiana (FNSI) avevano già assunto posizioni nettissime contro l’estradizione negli Stati Uniti. Si è finalmente, dunque, messo in movimento l’universo professionale, troppo a lungo silente e inconsapevole. O peggio.
Si è colta la verità ultima dell’orribile storia giudiziaria: se perdesse Assange, perderebbe il diritto di cronaca. Tutte e tutti coloro che operano nel mondo dei media rischierebbero di essere messi al bando, laddove osassero indagare sui poteri e i loro segreti.
Ecco perché, sottolinea la nota dell’Ordine, si rischia di scrivere «…un capitolo nerissimo nella storia della democrazia…Non è possibile (si aggiunge, ndr) ed è intollerabile trattare come un criminale un giornalista che ha contribuito alla diffusione della verità, mettendo a disposizione dell’opinione pubblica informazioni senza scopo di lucro. Numerose sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo hanno ribadito che la libertà non può subire restringimenti…».
Proprio a proposito dei futuri orientamenti della Corte di Strasburgo saranno decisivi i prossimi giorni. Al di là della crisi della compagine britannica diretta dal sempre più screditato premier Boris Johnson (ora dimissionario), infatti, l’ala ultra-conservatrice del partito preme per l’uscita dalla CEDU. La temuta conseguenza è il non riconoscimento dell’autorità della Corte medesima davanti all’annunciato ricorso del collegio legale di Assange, se la ministra del Regno Unito Priti Patel apponesse la firma finale alla richiesta di estradizione.
Ma se il destino fosse favorevole, magari proprio la crisi del governo d’oltre Manica allungherebbe i tempi della vicenda giudiziaria. E chissà, nel caso che la guerra in Ucraina si fermasse, la diplomazia internazionale avrebbe margini ben maggiori.
Il presidente messicano Andrés Manuel Lopez Obrador ha rinnovato la disponibilità a concedere l’asilo politico ad Assange e si attende la presa di posizione del primo ministro australiano Anthony Albanese.
Non solo. Si stanno impegnando con successo l’Associazione degli autori cinematografici e Articolo21, che stanno raccogliendo adesioni al nuovo appello lanciato dal premio Nobel Pérez Esquivel (su il manifestodel 6 luglio scorso) e brevi contributi video. Si è formato unno specifico comitato, coordinato dalla collaboratrice di Esquivel e docente dell’Università La Sapienza di Roma Grazia Tuzi, in cui è molto attiva -ad esempio- Stefania Maurizi insieme a Laura Morante, a Francesco Martinotti e Giuseppe Gaudino. In virtù, probabilmente, delle prese di posizione dell’ex magistrato Armando Spataro e del presidente della Fondazione Basso Franco Ippolito si è manifestato interesse anche tra le fila della magistratura.
Da tempo sono attivi il responsabile della commissione archivi e biblioteca del senato Gianni Marilotti e l’associazione del premio intitolato allo scomparso giornalista Mimmo Càndito.
La talpa scava e la speranza è sempre l’ultima a morire.