Si è svolta a Roma alla sede dell’Agenzia Dire un’iniziativa promossa da Pressenza, dalla Dire, da Left, da PeaceLink e dal comitato Free Assange Italia per fare il punto sulla situazione di Assange e sulle iniziative che si possono e si devono fare per salvare la vita del giornalista australiano.
Il Direttore della Dire, Nicola Perrone, ha coordinato il dibattito, ricordando nella sua introduzione che Julian Assange è semplicemente colpevole di aver fatto il suo lavoro di giornalista e che le società democratiche, se si definiscono tali, lo sono perché garantiscono la liberta di parola e di inchiesta che quelle totalitarie non fanno; di conseguenza la fine della persecuzione di Assange deve essere la richiesta che la società civile fa ai cosiddetti poteri forti, che non possono e non debbono essere sopra la legge.
Patrick Boylan, di PeaceLink e del Comitato Free Assange Italia, ha fatto poi un’efficace ricostruzione della situazione legale e delle possibilità che ancora esistono da parte del collegio di difesa di impugnare l’ultima risoluzione del Ministro degli Esteri britannico: si tratta di una serie di questioni procedurali da una parte, ma anche alcuni errori evidenti sia nell’accettazione della domanda di estradizione sia nel processo stesso. Infine esiste il ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU), che è competente in questa materia e ha già espresso un primo parere contrario al procedimento; il ricorso alla CEDU ha da una parte un elemento a favore, trattandosi di un organismo fondato dalla stessa Gran Bretagna, ma ne ha uno contro, nel senso che numerose risoluzioni della CEDU sono state poi ignorate dagli Stati a cui erano rivolte. Infine il Governo di Boris Johnson ha ripresentato una vecchia legge di Cameron, che in sostanza prevede che il Parlamento britannico sia sovrano e non possa essere smentito da nessuna istanza internazionale: se passasse tale legge questa inficerebbe qualunque intervento internazionale.
Simona Maggiorelli, direttrice di Left, ha ricordato l’impegno della rivista in favore della libertà di Assange e ha riportato la questione umana sempre più grave della persecuzione preventiva a cui è sottoposto e che ricordava la moglie Stella Moris in un recente webinar. Questo ripropone il tema della carcerazione preventiva che risulta essere elemento punitivo apriori, prima di qualunque sentenza e che ha portato il fondatore di WikiLeaks a uno stato di salute fisica e mentale di grande precarietà con esplicite intenzioni suicide. La Direttrice di Left ha ricordato poi uno dei casi denunciati da WikiLeaks, quello di Guantanamo di cui già Obama dichiarò la chiusura mai effettuata e dove, oltre le torture e i trattamenti inumani, sono risultate prigioniere persone del tutto estranee a qualunque reato di terrorismo. Maggiorelli ha poi annunciato l’intenzione di realizzare, insieme a Pressenza, alla Dire e a chiunque vorrà partecipare, un instant book sulla vicenda che possa arrivare a un pubblico più vasto di quello attualmente informato.
Olivier Turquet di Pressenza ha sottolineato un aspetto particolarmente inquietante: la persona comune, di fronte a queste palesi ingiustizie e all’arroganza del potere, tende a credere che nulla si possa fare. La società civile può e deve riprendersi il suo potere di pressione e i media debbono rafforzare la loro indipendenza e il loro ruolo di controllori del potere, di inchiesta, di rivelazione delle deviazioni dal gioco democratico. Il giornalismo è qualcosa di profondamente diverso dalla propaganda, come quella a cui assistiamo attualmente nelle guerre (non solo in quella in Ucraina).
Questa risposta della società civile e del giornalismo deve trovare anche forme spettacolari che raggiungano pubblici più vasti: in questo senso Pressenza sta riunendo giornalisti, gente di spettacolo, attori politici e associazioni in un comitato promotore che organizzerà prossimamente una 24ore di interventi pro Assange che parta idealmente da un punto del pianeta e faccia il giro del mondo e che venga ritrasmessa da vari canali via internet.
Tutti i presenti si sono trovati d’accordo nella necessità di una più stretta collaborazione e si sono lasciati con il proposito di lavorare insieme contro questa profonda ingiustizia di cui il caso Assange è l’aspetto più clamoroso, ma purtroppo non unico.