Il 28 giugno, in Honduras si è commemorato il tredicesimo anniversario del colpo di stato che depose il presidente Manuel Zelaya. Più di un decennio resistendo all’assalto di governi corrotti e rapaci, collusi con un’oligarchia ultraconservatrice che manovra a suo piacere la politica, l’economia e il sistema di giustizia.
Poteri di fatto che hanno goduto della protezione delle alte sfere dell’esercito e della polizia, in combutta con il capitale multinazionale e perfettamente allineati con gli interessi geopolitici, geoeconomici e militari degli Stati Uniti.
Nel suo messaggio alla nazione, davanti a ex presidenti, ex ministri degli esteri e al corpo diplomatico di quei paesi che, senza esitazione, condannarono il colpo di stato ed espressero solidarietà al presidente Zelaya e alle gigantesche mobilitazioni popolari che, per mesi, invasero le strade dell’Honduras, la presidentessa Xiomara Castro ha ricordato la lotta di questo popolo coraggioso in resistenza.
“La popolazione sa che (lo Stato) ha un debito storico con le vittime del colpo di stato: assassinate, torturate, imprigionate, esiliate, perseguitate politicamente. Tutte quelle persone che, per tredici anni, hanno coraggiosamente resistito alla repressione, all’umiliazione, alla persecuzione.
Oggi e sempre renderemo omaggio alla resistenza honduregna che, da più di un decennio, combatte frontalmente contro un modello di dipendenza e sfruttamento neocoloniale, contro il colpo di stato e la crudele dittatura”.
Il giorno prima, l’ex presidente Manuel Zelaya aveva inaugurato la piazza Isy Obed Murillo, dedicata alla prima vittima [1] della resistenza contro il colpo di stato del 2009 e come atto di riconoscimento per tutti i martiri che hanno sacrificato la loro vita combattendo contro la violenza golpista.
– Leggi QUI la prima parte del reportage
Popolo e governo, un’agenda comune
Per Gilberto Ríos Munguía, analista politico e membro fondatore del Partito libertà e rifondazione (Libre), sono tre gli assi strategici su cui il nuovo governo dovrà lavorare, per frenare la reazione dei poteri di fatto che non accetteranno così facilmente di perdere i propri privilegi.
Si tratta di consolidare il partito e la sua struttura a livello nazionale, mantenere un’alleanza pluripartitica fin dove sia possibile e rafforzare la relazione, collaborazione e interscambio col movimento sociale e popolare.
L’importanza del rapporto tra l’amministrazione Castro e il movimento popolare la sottolinea anche il sociologo Eugenio Sosa.
“Non ci potranno essere cambiamenti senza il sostegno popolare. L’idea del potere popolare (poder popular) è molto interessante. Come costruirlo, con chi e come andare avanti su questa strada è un’altra delle grandi sfide che attendono questo governo.
Propendo per una forte alleanza e unità del movimento sociale e popolare col governo, in piena autonomia e basata su proposte programmatiche.
Senza il sostegno sociale e popolare, qualsiasi azione politica che tocchi gli interessi dell’oligarchia diventerà una minaccia per la stabilità e la sopravvivenza del governo stesso”.
Per Sosa, questa alleanza dovrebbe avere due caratteristiche fondamentali: un sostegno deciso e visibile da parte del movimento a proposte e progetti condivisi con il governo, ma anche la possibilità di dissentire e protestare quando il governo freni od ostacoli progetti e riforme perché condizionato da forze di altro tipo.
“Durante la campagna elettorale, Xiomara (Castro) ha lanciato lo slogan che l’alleanza di Libre era prima di tutto con il popolo. Lo stesso deve fare ora che è arrivata al governo.
Dobbiamo governare in alleanza con il popolo, a partire dai territori. Ecco perché la Delegazione del potere popolare è parte integrante del Ministero per la pianificazione strategica.
L’Honduras – continua Sosa – è il paese che maggiori conquiste ha ottenuto con la lotta sociale. L’idea, quindi, è quella di creare potere popolare. Ecco perché serve un movimento sociale attivo, combattivo, che costruisca insieme al governo e che lo segnali ogni volta che commette errori o prende una strada contraria agli interessi della maggioranza”.
Potere popolare e lotta di classe
Sergio Rivera, maestro, docente universitario e militante storico del movimento sociale honduregno, è il delegato del Potere Popolare in Honduras. Il compito, per nulla facile, è quello di andare oltre il mero progetto elettorale e costruire potere popolare.
“Siamo abituati al fatto che, dopo le elezioni, i governi comincino a fare le cose senza l’accompagnamento della popolazione. Crediamo che le cose debbano essere fatte in modo diverso”, assicura Rivera.
Condivide con altri analisti che, sebbene in Honduras le forze progressiste abbiano vinto ampiamente le elezioni e abbiano ricevuto dal popolo il mandato di rifondare la società, il potere resta nelle mani di un’oligarchia settaria e radicale, che si è arricchita a spese delle casse pubbliche e con la corruzione.
“Affinché le persone abbiano un potere reale, oltre a quello elettorale, le comunità devono organizzarsi e raggrupparsi attorno a progetti condivisi. Se vogliamo realizzare trasformazioni profonde e pensare a una patria socialista, l’agenda proposta dal governo di Xiomara (Castro) deve realizzarsi con l’accompagnamento del popolo”.
Rivera assicura che la destra honduregna ha già iniziato a organizzarsi e ad articolarsi con i suoi alleati storici, sia a livello nazionale che internazionale.
“I segnali ci sono tutti e la risposta a chi chiede cambiamenti strutturali e devoluzione di ciò che hanno rubato sarà senza dubbio violenta. Promuoveranno campagne di discredito per creare destabilizzazione e ingovernabilità. Solamente con il sostegno popolare questo governo potrà difendere il suo progetto. Non dovrà mai distanziarsi dalla gente”.
Chi ha resistito e lottato contro il colpo di Stato, contro i governi repressori e le politiche neoliberiste che hanno impoverito e affamato milioni di persone, oggi esige cambiamenti strutturali che invertano la tendenza verso un Honduras possibile e sostenibile.
“Vogliamo costruire un Honduras che sia un esempio di partecipazione delle persone ai processi decisionali. Vogliamo che questo governo agisca sulla base di decisioni comuni, che la forza dello sviluppo nazionale siano le comunità e che le comunità accompagnino questo governo.
Questo – spiega Rivera – implica necessariamente tre azioni urgenti: organizzare le comunità, assicurare loro formazione politica e ideologica, mantenerle mobilitate.
Si tratta di lotta di classe e questo è il nostro progetto. Saremo catalizzatori di processi comuni”.
Autonomia e indipendenza
Il delegato del Potere Popolare ha voluto sottolineare che l’intero processo implica garantire l’assoluta autonomia e indipendenza dal movimento sociale e popolare.
“È importante creare un’alleanza, che ci sia una coincidenza d’interessi e una partecipazione mutua ai grandi progetti, che le comunità partecipino alla pianificazione strategica.
Quando le politiche pubbliche nascono dalle comunità, tendono ad avere più successo. Solo così si possono realizzare vere trasformazioni sociali”.
Stati Uniti: una calma tesa
L’Honduras è stato storicamente un territorio di interesse strategico per gli Stati Uniti. La presenza militare si è intensificata negli ultimi quattro decenni, rafforzando la base aerea di Soto Cano (Palmerola) – da dove l’ex presidente Zelaya è stato costretto a partire per il Costa Rica dopo essere stato catturato la mattina del colpo di Stato – e installando diverse basi mobili per le forze congiunte di reazione rapida, a sostegno delle operazioni del Comando Sud (US Southcom) in America Latina e nei Caraibi.
Impossibile dimenticare gli anni ’80 e l’implementazione della dottrina della sicurezza nazionale, responsabile in Honduras dell’assassinio, cattura, tortura, sparizione ed esilio di migliaia di oppositori alle dittature civico-militari sostenute dagli Stati Uniti.
Né si può dimenticare come l’Honduras sia diventato il bastione delle nefaste strategie controinsurrezionali nella regione e luogo di addestramento per i battaglioni élite delle dittature centroamericane.
A pochi mesi dalle elezioni dello scorso anno, il comandante della Joint Task Force ‘Bravo’ (JTF-Bravo), con sede a Soto Cano, il colonnello Steven Gventer, ha evidenziato la storica alleanza tra Stati Uniti e Honduras in materia di difesa e sicurezza.
“Sviluppare le capacità dei nostri partner e supportarli è fondamentale per il nostro successo nella regione. Le relazioni con i nostri vicini in tutto il Centro e Sud America e nei Caraibi garantiscono la sicurezza regionale e quella degli Stati Uniti”, ha detto ai media nazionali.
Per gli Stati Uniti, e in questo caso il Comando Sud, la sicurezza regionale si costruisce dissuadendo gli avversari, preservando la stabilità, sostenendo alleati e partner.
In altre parole, utilizzando politiche interventiste per mantenere il controllo su nazioni sovrane, disattivare possibili processi politici e sociali che potrebbero alterare lo status quo da loro imposto, combattere chi non si piega ai loro interessi economici e strategici, abusando di territori sovrani.
L’Honduras è stato così importante per le amministrazioni statunitensi e il loro apparato militare, che nel 2009 hanno mantenuto un ruolo di timidi spettatori durante il colpo di stato che ha rovesciato un presidente legittimo (Manuel Zelaya), reo di avere osato avvicinarsi ai governi progressisti e di sinistra del continente, nonché toccare gli interessi dell’oligarchia honduregna, alleata strategica dell’ultra-conservatorismo nordamericano.
L’Honduras è così importante per gli Stati Uniti che sono arrivati a mantenere un imbarazzante tacito consenso di fronte alle elezioni farsa del 2009, alle frodi elettorali nel 2013 e 2017, alla candidatura illegale di Juan Orlando Hernández, alla sanguinosa repressione post-elettorale del 2017, alla corruzione dilagante e alla violazione sistematica dei diritti umani.
La valanga di voti a favore di Xiomara Castro, la mancanza di un candidato dei partiti tradizionali minimamente presentabile all’opinione pubblica interna e internazionale e l’urgenza di scrollarsi di dosso l’alleanza con Juan Orlando Hernández, passato in pochi giorni da fedele alleato a criminale accusato di traffico di droga, hanno obbligato gli Stati Uniti a ‘far buon viso a cattiva sorte’, accettando con riluttanza la vittoria dell’opposizione honduregna.
In questi mesi, gli Stati Uniti hanno mantenuto una presenza significativa in Honduras.
Hanno inviato la vicepresidente Harris e una delegazione di alto livello all’insediamento di Xiomara Castro, hanno completato – dopo più di un decennio – il personale della missione diplomatica nel paese, nominando come ambasciatrice Laura F. Dogu, che era a capo dell’ambasciata in Nicaragua durante la violenta crisi del 2018 e che vanta un passato molto vicino allo Stato maggiore delle Forze armate statunitensi.
Il Comando Sud ha effettuato varie visite in Honduras, promettendo risorse per la modernizzazione e l’addestramento delle forze armate honduregne, compresa la manutenzione della flotta di aerei da combattimento F-5.
Il tutto giustificato con le consuete argomentazioni della lotta al narcotraffico, alla criminalità organizzata, del sostegno alla salute e all’ambiente.
Laura J. Richardson, capo del Comando Sud degli Stati Uniti, ha dichiarato ai media nazionali che non avrebbe mai immaginato di trovare le forze armate honduregne in condizioni così deprecabili. “Dobbiamo rafforzarle e siamo in contatto permanente con l’ambasciatrice Dogu per portare avanti questa sfida”.
Nonostante qualche attrito verificatosi con la nuova ambasciatrice quando si è intromessa nella discussione sulla nuova legge sull’energia elettrica, e per la decisione della presidentessa Castro di non partecipare al fallimentare Vertice delle Americhe, in solidarietà con i paesi che non erano stati invitati (Cuba, Nicaragua, Venezuela), i rapporti tra la nuova amministrazione e gli Stati Uniti sono per il momento distesi.
La cosa preoccupa non poco alcuni settori della società honduregna.
“Gli Stati Uniti vivono una crisi politica in Centro America. La capacità di gestire ciò che hanno sempre considerato come il loro cortile sta venendo meno per diversi motivi.
Hanno seri problemi in Nicaragua, in El Salvador, in Guatemala. E ora in Honduras ha vinto una forza progressista. Inoltre, diversi governi si sono già avvicinati alla Cina e hanno interrotto le relazioni con il loro alleato Taiwan”, spiega Eugenio Sosa.
In questo contesto, chiarisce il sociologo, gli Stati Uniti vedono in Xiomara Castro un possibile alleato per ricomporre la loro presenza nella regione.
“Questo è pericoloso e costringe il governo a mantenere buoni rapporti, stando però sempre molto attento all’evolversi delle relazioni. Credo che si debba pretendere un rapporto con una maggiore capacità di dialogo e di critica, mantenendo sempre l’autonomia di potere dire quando le cose non ci piacciono o non ci soddisfano.
Vogliono quindi mantenere una presenza piuttosto attiva nel paese per vedere come si comporta il nuovo governo. Sarà un’apertura e un sostegno condizionato, perché vorranno vedere se il governo non va oltre certi limiti.
La decisione di inviare l’ambasciatore Dogu – avverte Sosa – rispecchia in parte quanto affermato dal senatore Marco Rubio, ovvero che il compito dell’ambasciatrice sarà quello di evitare che il governo di Xiomara Castro assomigli a quello di Manuel Zelaya”.
La costruzione di potere popolare avrà nel governo degli Stati Uniti e nei suoi interessi geopolitici e geostrategici un altro grosso ostacolo.
Il movimento in movimento
Nel dicembre dello scorso anno è stata creata una Commissione di transizione che ha installato 23 tavoli tecnici in cui diversi settori della società honduregna hanno presentato le loro richieste e proposte [2].
Il tavolo dei movimenti sociali discuteva tre punti specifici. Il primo affrontava argomenti come la sovranità nazionale, l’accesso alla terra per le popolazioni indigene e le comunità contadine, e gli insediamenti umani. Il secondo punto aveva a che fare con l’analisi delle politiche estrattiviste, la difesa dell’acqua e dell’ambiente, il benessere animale e l’autonomia.
Il terzo, infine, affrontava il tema dell’istituzionalità pubblica dell’ambiente, della terra e del territorio.
Da questi incontri sono emerse più di 500 proposte. Il tavolo dei movimenti sociali (terra e territori) ne ha sistematizzati più di 30. Poi si è passati alla fase operativa, ovvero la ricerca di strumenti giuridici e risorse economiche per continuare ciò che si è iniziato.
A metà maggio, si è svolto a Tegucigalpa l’Incontro nazionale del potere popolare per la rifondazione, dove decine di attivisti e organizzazioni si sono riuniti per fare il punto della situazione e creare percorsi specifici per rifondare la società. Si trattava quindi di riprendere le proposte già formulate e convertirle in progetti concreti da sviluppare insieme al governo.
“L’idea è quella di creare uno spazio per ripensare il tema del potere popolare, partendo dall’analisi fatta da Berta (Cáceres) e dal Copinh (Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras) di un progetto di rifondazione del paese.
Potere popolare e rifondazione vanno di pari passo, ma a partire dall’autonomia e indipendenza del movimento sociale e popolare da governi e partiti politici”, spiega Luis Méndez, membro dell’équipe tecnica di Potere popolare per la rifondazione.
Si tratta di uno spazio che riunisce varie espressioni della società honduregna e che chiede che le proposte presentate nei tavoli tecnici vengano ora tradotte in progetti e politiche di governo.
“All’incontro nazionale hanno partecipato circa 70 organizzazioni provenienti da tutto il paese, tra piattaforme, movimenti, collettivi.
In questa occasione – spiega Méndez – abbiamo preso importanti decisioni, tra cui quelle di proseguire il dibattito sul potere popolare e sul progetto di rifondazione e di eleggere un’équipe nazionale di coordinamento, che funga da raccordo con il governo e altri spazi istituzionali”.
All’attività hanno partecipato, in qualità di ospiti, Sergio Rivera e il personale della Delegazione del potere popolare.
Il prossimo passo sarà quello di chiedere una riunione con la presidentessa Xiomara Castro, per presentare il Manifesto approvato alla fine dell’incontro [3], nel quale sono stati raccolti gli elementi che contraddistinguono il percorso fatto fino a ora dal movimento sociale e popolare.
“È importante che a livello istituzionale ci sia un’espressione del potere popolare. Questo dovrebbe servire a proporre e generare trasformazioni dall’interno, e favorire una maggiore comprensione del progetto di potere popolare e rifondazione.
È anche importante che si faccia promotrice del concetto che è necessario avanzare con il progetto di potere popolare partendo dal basso, dai territori, dalla resistenza, dalle proposte delle popolazioni.
Aspiriamo ad avere un rapporto più orizzontale, di dialogo, dando priorità alle grandi urgenze del movimento. Dovremmo camminare in una prospettiva critica e fraterna, ma mai di subordinazione”, chiarisce Méndez.
Per l’attivista, l’insediamento di un governo che nasce dalla lotta contro il colpo di stato crea le condizioni per generare un dialogo sociale ampio e bidirezionale.
“È l’unico modo per andare avanti. Bisogna passare dalla resistenza, alla proposta, alla ricerca condivisa di soluzioni reali. Sarà una transizione lunga e lenta e deve essere autocritica e molto sincera.
Vogliamo che le nostre proposte non restino tali, ma diventino politiche pubbliche a favore e in difesa degli interessi delle persone”.
Una posizione, quella di Méndez, che concorda con quella della Delegazione del potere popolare.
“Le proposte sorte dai tavoli tecnici sono praticamente un piano del governo. Dobbiamo creare un progetto comune di lotta. Non sarà facile, verremo attaccati, perché scommettere su trasformazioni profonde è più difficile che vincere le elezioni”, conclude Rivera.
Note
[1] http://www.rel-uita.org/honduras/sangre-de-martires-semilla-de-libertad/ (sp)
[2] https://nuevanicaraguaymas.blogspot.com/2022/01/honduras-es-un-volcan.html (sp)
[3] https://refundacion.hn/manifierto-del-encuentro-nacional-del-poder-popular-para-la-refundacion (sp)
Fonte: LINyM