La prima conferenza del Climate Social Camp dal titolo Otto anni per fermare la crisi climatica si è svolta martedì pomeriggio nell’aula magna del Campus Einaudi: organizzata in tre sezioni, è durata per quasi tre ore.
Il ruolo della scienza e dell’università nell’affrontare l’emergenza climatica
Il primo panel è dedicato al mondo della scienza e dell’università ed al loro ruolo nell’affrontare l’emergenza climatica; è la sezione con più pubblico, con l’aula magna quasi piena, ma anche quella più formale.
Con la moderazione di Roberto Mezzalana sono intervenuti Antonello Provenzale, Direttore dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR, Elisa Palazzi, Docente di Fisica del Clima all’Università di Torino, Stefano Geuna, Rettore dell’Università di Torino, Guido Saracco, Rettore del Politecnico di Torino e Patrizia Lombardi, Presidente del Comitato di Coordinamento RUS.
I relatori hanno risposto, in base ai rispettivi ruoli e competenza, a due domande:
- Il ruolo dello scienziato e del ricercatore può essere neutrale sul tema dell’emergenza climatica che riguarda la stessa esistenza del genere umano?
- Gli obiettivi di riduzione di CO2 previsti dalla COP26 sono del 50% entro il 2030 e del 100% entro il 2050: quale ruolo ha l’Università nel raggiungimento di questi obiettivi?
Secondo il Rettore Geuna uno scienziato non può essere neutrale e personalmente, da medico, vede giornalmente le conseguenze del cambiamento climatico e dei problemi annessi. L’Università di Torino contribuirà alla riduzione di CO2 attraverso un piano strategico di medio e lungo termine che riguarderà tutte le sedi. Inoltre, contribuirà a formare opportunamente le persone che si dovranno occupare della questione nei prossimi anni.
Elisa Palazzi pensa che lo scienziato non possa essere neutrale, deve anzi impegnarsi a divulgare le sue conoscenze approfittando di ogni mezzo di comunicazione. La consapevolezza sulla dimensione del problema climatico non è ancora sufficiente, bisogna parlare soprattutto con coloro che non si interessano alla questione. Occorre inoltre evitare i toni catastrofisti perché bloccano l’azione: è ancora possibile fare qualcosa. L’Università deve innanzitutto avere un impatto climatico ridotto; poi bisogna intervenire sulla didattica: la crisi climatica ha bisogno di tecnici con un approccio multidisciplinare.
Patrizia Lombardi ricorda la recente escursione di alcuni scienziati sul ghiacciaio del Monte Bianco per rendersi conto di persona della situazione. La scienza oltre a non essere neutrale sul tema del cambiamento climatico deve aprirsi con ricerche pubbliche e comprensibili. Il Politecnico ha l’obiettivo di diventare Carbon Neutral entro il 2040; per quanto riguarda la didattica, anche in questo caso si riconosce l’importanza di una formazione multidisciplinare, possibile solo abbattendo le attuali gabbie formative.
Antonello Provenzale considera che un ricercatore del sistema Terra che studia per passione, non può essere neutrale; sono tanti gli esempi di scienziati che hanno preso posizione su temi socio-politici, per citare un esempio Einstein e Russell con il loro manifesto. Al momento esiste un problema sostanziale che rende inefficace il lavoro di analisi fatto dagli enti di ricerca come il CNR: malgrado tutti i modelli e la analisi preparate in base ad un approccio sostenibile a medio e lungo termine, i decisori si muovono secondo analisi costi-benefici a breve termine che non tengono conto in maniera sufficiente della sostenibilità. Per quanto riguarda la sostenibilità delle strutture di ricerca, in CNR sta cercando si passare a fonti energetiche rinnovabili; si stanno studiando nuove strategie di ricerca di base ed applicazioni di ricerca concrete sul tema climatico.
Il Rettore Saracco ricorda che al Politecnico si preparano 37.000 studenti con la guida di 4.000 tra docenti e ricercatori. Per la transizione ecologica sono fondamentali le conoscenze date ai tecnici che escono ed usciranno dal Politecnico: è necessario che questi tecnologi abbiano consapevolezza delle dinamiche sociali attraverso una contaminazione con le componenti umanistiche dell’Università.
Il momento più conflittuale del panel è stato quando un’attivista di Fridays For Future ha chiesto conto al Rettore del Politecnico della collaborazione con l’ENI, considerata una delle peggiori rappresentanti dell’economia basata sul fossile. Il Rettore Saracco ha precisato che le ricerche del Politecnico di Torino finanziate dall’ENI non riguardano i combustibili fossili, ma campi fondamentali per la transizione ecologica: per avere qualche possibilità di raggiungere gli obiettivi della COP26 occorre fare questo tipo di ricerche e ricevere questo tipo di finanziamenti.
Associazionismo e mondo del lavoro: il modello di sviluppo
Il secondo ed il terzo panel sono quelli più politici e vivaci.
Al secondo panel, dedicato al modello di sviluppo dal punto di vista dell’associazionismo sono intervenuti Carlo Petrini, Fondatore di Slow Food e Luciana Castellina, Presidentessa onoraria di ARCI e Fondatrice de Il Manifesto, Michele De Palma, Segretario Fiom.
Secondo Luciana Castellina i giornalisti, benché abbiano poca autonomia, sono in parte responsabili della sottovalutazione del problema del cambiamento climatico da parte dell’opinione pubblica. Per affrontare adeguatamente il cambiamento climatico occorrerebbe un cambiamento rivoluzionario del modello di sviluppo e del sistema produttivo. Non c’è nessun riflesso di tutto questo nella discussione politica ed alla disattenzione dei nostri rappresentanti rispetto a questo e ad altri temi fondamentali è imputabile la disaffezione per la politica e la crisi della rappresentatività. Risulta inoltre necessario strutturare il movimento per il clima ed impostare vertenze locali, ad esempio nei Paesi MAPA, senza perdere di vista il problema globale. Luciana Castellina suggerisce una strategia ai movimenti per il clima: consolidarsi in organismi collettivi per gestire parti della società e creare democrazia diretta, come suggerito da Gramsci.
Carlo Petrini pensa che sul riscaldamento globale stiamo entrando nel campo dell’irreversibilità, nel più totale silenzio della politica mondiale; i movimenti, insieme alla società civile, devono mettere in essere azioni per spingere le persone a comportamenti congrui. Ad esempio, il 34% del CO2 è prodotto dal sistema alimentare contro il 17% a carico della mobilità. Un cambiamento delle abitudini alimentari, dei sistemi di produzione ed una riduzione degli sprechi alimentari sarebbe un gesto politico nel senso più completo del termine.
Michele de Palma considera che occorre scardinare il ricatto lavoro o ambiente. Ad esempio, la risposta dell’industria automotive italiana alla proposta europea del termine della produzione dei motori endotermici è stata la richiesta di post-porre la data pena la perdita di 70.000 posti di lavoro: nell’ottica di massimizzare il profitto ancora ottenibile dalla tecnologia endotermica non si sta investendo a sufficienza sulle nuove tecnologie. La logica di deindustrializzazione sembra prevalere in Italia.
Associazionismo e mondo del lavoro: pratiche locali di iniziativa e costruzione di reti territoriali per affrontare la crisi climatica
Il terzo gruppo di intervento era improntato sulle testimonianze relative ad iniziative locali di convergenza sociale su temi ambientali.
Sono intervenuti Walter Massa, Presidenza nazionale ARCI, Dario Salvetti, Rappresentante Sindacale Unitario GKN, Maria Josè Fava, Referente Libera Piemonte, Alessandra Turco, Coordinatrice del gruppo agrobiodiversità dell’Associazione Rurale Italiana.
Nel suo intervento, Dario Salvetti ricorda che il sistema si difende ferocemente, usando anche la repressione e le pressioni sui lavoratori più fragili. Qualsiasi soggetto critico paga un prezzo alto, come dimostrano le recenti vicende giudiziarie dei dirigenti sindacali della logistica. Quello della GKN è un piccolo collettivo di fabbrica che, benché abbia un’ampia legittimità sociale nel territorio non ha una completa legittimità legale; il gruppo Stellantis cerca di fermare con iniziative legali qualsiasi tentativo di autogestione. Una soluzione possibile sarebbe quella di definire un polo pubblico per la mobilità sostenibile.
Walter Massa cerca di definire il possibile contributo dell’ARCI alla lotta climatica ricordando, per cominciare, i Social Forum del 2001. La crisi climatica può essere il terreno comune dove convergono tutte le lotte ed i conflitti relativi alla difesa della terra e degli esseri viventi. In questo processo ARCI, con la sua vocazione a supportare la cultura locale e popolare, può essere un valido aiuto.
Alessandra Turco introduce il punto di vista dei piccoli agricoltori dell’ARI sul tema: Il movimento rurale crede nella sovranità alimentare e nel mantenimento di un equilibrio sostenibile tra risorse, sistema alimentare e sistema produttivo e fa pressioni in questo senso per adeguare la Politica Agricola Comune Europea (PAC) insieme alle altre organizzazioni del movimento internazionale Via Campesina. Anche l’ARI aspira ad un allargamento del movimento per il clima.
Maria Josè Fava illustra le iniziative del Gruppo Abele sul tema ambientale che si ispirano all’enciclica Laudato Sì: alle tradizionale raccolta della carta (a Torino è attiva la cooperativa Arcobaleno), si aggiunge il progetto Buon Samaritano per il recupero delle eccedenza alimentati, una non facile riconversione biologica dei terreni confiscati alla mafia ed altre iniziative puntuali. Il Gruppo Abele preferisce parlare di conversione ecologica invece di transizione ecologica per sottolineare la necessità di un’azione rapida ed immediata.