Il 19 luglio a Piacenza sei militanti del sindacalismo di base (appartenenti a Si Cobas e USB) sono finiti agli arresti domiciliari con l’accusa di aver costituito delle associazioni a delinquere che agivano sotto la copertura dell’attività sindacale. Si tratta dell’ennesimo e più grave attacco ai sindacati che da oltre dieci anni si battono per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici nel settore della logistica.
Delle accuse contenute nelle 350 pagine del dossier della Procura piacentina si è parlato a livello nazionale: gli arrestati sono accusati di aver fatto conflitto per migliorare le condizioni di lavoro in uno dei settori strategici dell’economia italiana, ma anche un settore caratterizzato da livelli altissimi di sfruttamento.
L’impianto accusatorio mira a una pesante delegittimazione dell’attività sindacale mettendo sotto la sua lente l’organizzazione di un conflitto collettivo, le forme di autofinanziamento per sostenere l’attività e il fatto che vengano strappate a imprese locali e multinazionali più denaro e migliori condizioni di lavoro. Ma ci chiediamo cos’altro dovrebbe fare un sindacato precisamente.
I sindacati di base che lottano nella logistica in Italia, e in particolare a Piacenza, sono conosciuti a livello internazionale. Della loro capacità di organizzare lavoratori e lavoratrici per lo più migranti nei magazzini delle multinazionali della logistica si discute in ambienti sindacali e accademici in Europa e nelle Americhe. Anche perché le lotte piacentine dell’ultimo decennio sono tra le più durature e radicate ma non certamente uniche nel settore logistico: scioperi, picchettaggi e blocchi delle merci avvengono ciclicamente in altri hub logistici, dal porto di Rotterdam a quelli di Hong Kong e Los Angeles. Se c’è qualcosa di unico nel caso piacentino, questo è casomai il livello di repressione incontrato dai sindacati di base locali, che negli anni hanno dovuto affrontare cariche violente, arresti e denunce quasi quotidiane.
Lo stato d’eccezione subito dal sindacato nella logistica si vede anche nelle leggi scritte ad hoc per colpirlo. Per esempio, il decreto sicurezza di Salvini, nel 2018, ha reintrodotto il reato di “blocco stradale”, che punisce con pene fino a sei anni una delle principali forme di lotta nella logistica, cioè il picchettaggio per bloccare la circolazione delle merci. Poche settimane fa, l’associazione padronale AssoLogistica ha festeggiato l’introduzione di una norma nel PNRR del governo Draghi: una deroga alle leggi nazionali che abolisce la responsabilità in solido delle imprese nel solo settore logistico. Significa che lavoratori e lavoratrici non potranno più rifarsi sulla ditta committente (per esempio la grande multinazionale) per gli abusi perpetrati dalle ditte che lavorano in appalto per essa (le interinali e cooperative della logistica). Si abolisce così un meccanismo rodato usato dai sindacati per recuperare per esempio i salari non pagati dalle cooperative.
Il mondo del sindacalismo di base e dei movimenti ha già dato una prima risposta alle accuse della procura piacentina sabato 23 luglio con un corteo che ha portato in piazza a Piacenza una grande espressione di solidarietà con gli imputati. Nel frattempo scioperi e manifestazioni di solidarietà continuano in Italia e in tutto il mondo.
L’udienza del Tribunale del riesame si svolgerà a Bologna i primi di agosto.
Siamo accademicə, studiosə, attivistə, sindacalistə e operaiə, solidali con gli arrestati. Con questo appello ci rivolgiamo ad intellettuali, giuristə, politicə, giornalistə, scrittori e scrittrici, attivistə, artistə e a tutte le persone solidali che vogliano aggiungere la propria voce per dire che il sindacalismo di base deve poter avere la piena legittimità di iniziativa e per chiedere l’immediato decadimento delle misure cautelari.
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