La nave di Mediterranea sta facendo rotta verso la Sicilia con 92 persone soccorse a bordo: “il Viminale ha 10 ore per organizzarsi. Poi entriamo”.
Basta attese e sofferenze inutili per i naufraghi salvati in mare. La nave MARE JONIO sta facendo rotta verso le coste siciliane con a bordo 92 persone, tra cui una trentina di minori non accompagnati, soccorse in due distinte operazioni il 5 e il 6 giugno scorsi in acque internazionali nelle zone SAR di competenza libica e maltese, e 11 membri del nostro equipaggio.
Secondo il diritto internazionale, alle 14.40 di ieri pomeriggio abbiamo richiesto l’assegnazione di un porto sicuro di sbarco (PoS – Place of Safety) al Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma (IT MRCC), che ci ha risposto alle 15.48 di ieri dicendo che “la richiesta era stata inoltrata per le determinazioni alla competente Autorità Nazionale.” Cioè il Ministero dell’Interno. Non avendo poi ricevuto ulteriori istruzioni, questa mattina alle 7.40 abbiamo reiterato la richiesta e la risposta della centrale operativa della Guardia Costiera è stata la stessa: anche MRCC è in attesa della decisione del Viminale. Siamo una nave di bandiera italiana e solo MRCC di Roma può coordinarci e assisterci.
Il Viminale, che dal 2017 deve assegnare nel più breve tempo possibile il porto sicuro di sbarco per persone soccorse in mare dal rischio di naufragio – e in precarie condizioni dopo essere state precedentemente vittime di ogni genere di violenze, torture e privazioni prima – non ha ancora fornito indicazioni a MRCC di Roma, e dunque alla MARE JONIO. In questo momento anche un’altra nave civile di soccorso, Sea-Watch-3, con 352 naufraghi a bordo, sta aspettando in mare da quattro giorni. Troppo tempo, mentre si prolungano le sofferenze delle persone.
Abbiamo comunicato alle Autorità che stiamo procedendo verso la Sicilia, anche in vista del peggioramento delle condizioni meteomarine. Siamo consci della situazione di affollamento dell’hotspot di Lampedusa, affollamento dovuto non ai numeri o a particolari emergenze, ma solo alla disorganizzazione e mala gestione dei trasferimenti delle persone dall’isola verso la Sicilia e l’Italia. Una lentezza eccessiva che fa pensare alla volontà di “spettacolarizzare” la cattiva propaganda sull’“invasione”. Mentre in tre mesi si è visto come fosse giusto e materialmente possibile accogliere quasi 130.000 profughi dall’Ucraina, un numero doppio dei profughi che arrivano in un anno intero dal mare.
Stiamo facendo rotta sulle coste sud siciliane, perché vogliamo agevolare le procedure di sbarco, non appesantire Lampedusa che deve continuare ad essere “l’isola che salva” e non un campo profughi. E torniamo a ripetere che, invece di aver speso 2 milioni di euro al mese per ogni assurda e inutile “nave quarantena”, si dovrebbero impiegare risorse per un sistema rapido di trasferimenti e per luoghi di prima accoglienza in Italia degni di questo nome.
La giustificazione del Governo è che “ci sono problemi logistici”. Certo, perché nessuno si è preoccupato di ripristinare un sistema di accoglienza che è stato in gran parte smantellato tra il 2018 e il 2019. E ogni volta dobbiamo alzare la voce per ottenere ciò che è un diritto umano, e cioè dare al più presto accoglienza ed assistenza a naufraghi in fuga da lager e torture: un obbligo per lo Stato italiano, secondo la Convenzione di Amburgo del 1979 sul soccorso in mare, e che nel nostro Paese ha rango di norma costituzionale. Questo modo di fare deve finire. Riguarda la politica, non la logistica o la tecnica. Riguarda il Governo, non la nostra Guardia Costiera.
Siamo stati costretti, in questa Missione 12 della Mare Jonio, a contrapporci in mare a motovedette militari in mano a miliziani libici, riforniti e finanziati dall’Italia. Lo abbiamo dovuto fare per evitare violazioni gravissime della Convenzione di Ginevra che l’Italia ha sottoscritto. Catturare e deportare in Libia bambine, donne e uomini che da quell’inferno stanno scappando è un crimine, oltre che una cosa orribile. Pensate se gli ucraini che fuggono fossero riconsegnati all’esercito russo. Sono trattati diversamente dall’Europa solo perché sono bianchi?
Abbiamo dovuto pattugliare anche dopo i primi soccorsi effettuati nel nostro mare. Senza le navi della società civile – della Civil Fleet europea – a migliaia di esseri umani può accadere di tutto: di morire annegati o di essere deportati.
Eppure il mare è pieno di aerei e droni di Frontex e dei Paesi dell’Unione, di navi militari italiane ed europee. Come dimostra anche la vicenda dei pescherecci siciliani aggrediti a colpi di mitragliatrice dalle milizie libiche di Haftar, giustamente raggiunti e protetti in 20 minuti dal pattugliatore Grecale della Marina Militare italiana.
Questa storia deve finire. La decisione di lasciar morire o catturare persone in mare consegnandole a un destino di torture e violenze, è politica, non “tecnica”.
Ora le cose sono molto semplici: o ci viene assegnato subito un porto di sbarco, un “place of safety” come previsto dal diritto internazionale e dalla legge nazionale, oppure noi appena giungeremo sulle coste siciliane, entreremo nel primo porto utile. Il Viminale ha 10 ore per organizzarsi.