Un progetto europeo per lottare contro la discriminazione, cercando di far emergere il sommerso ed utilizzando un’ottica intersezionale. INGRiD – questo il nome – parte dal contributo di un gruppo di volontarie e volontari; iniziato ufficialmente lo scorso novembre durerà un anno, anche se la speranza è di riuscire ad andare avanti. “Lo sportello – afferma Giorgia Decarli, coordinatrice dello Sportello di Trento – è nato per rispondere ad una lacuna sul territorio; adesso siamo alla ricerca di una sede fisica, che soddisfi alcuni criteri essenziali: sostenibilità economica, sbarrieramento completo; due stanze; e possibilmente un po’ centrale, per poter essere raggiunti dalle persone. La speranza, comunque, è di proseguire anche dopo novembre, magari incorporati da una realtà più grossa del terzo settore o delle istituzioni”. Abbiamo parlato con lei e con Rossella Vignola, referente del progetto INGRiD.
Rossella, come è nato lo Sportello Antidiscriminazioni?
Lo sportello esiste dal 2019 circa; nasce come realtà informale di un gruppo di ragazze e ragazzi in risposta ad una richiesta di supporto da una persona di loro conoscenza che aveva subito una discriminazione in Trentino. In quel frangente si sono accorti che non esistevano sul territorio dei servizi di ascolto, accompagnamento e supporto. Così hanno creato lo sportello; successivamente sono entrati in contatto con il Centro per la Cooperazione Internazionale (CCI), ed è nata l’idea di lavorare su un progetto europeo; così siamo partiti con INGRiD.
In cosa consiste?
Ci sono numerosi partner: il CCI, ovviamente; Veneto Lavoro – Osservatorio Regionale Antidiscriminazione; Fondazione Alexander Langer Stiftung; Arci Liguria; Fondazione Bruno Kessler FBK; A Jewish Contribution to an Inclusive Europe CEJI; Regione Marche; Fondazione Franco Demarchi; e naturalmente vari filoni di lavoro – ci occupiamo di formazione, ricerca, divulgazione e policy. A livello di formazione ad esempio, operiamo sull’ intersezionalità con gruppi diversi: gli insegnanti nelle scuole, le forze dell’ordine, gli operatori sociali, gli autisti di mezzi. Per la parte di ricerca la Fondazione Bruno Kessler con il Centro per gli Studi Religiosi, ha appena consegnato due paper – uno di natura sociologica ed uno di natura giuridica.
Restano divulgazione e policy.
La divulgazione viene realizzata attraverso un fumetto su Instagram, @ingrid.storie, il cui tratto è di Giorgio Romagnoni. Intorno ad Ingrid c’è un gruppo di lavoro variegato di volontari e volontarie, che ne creano le storie. Attraverso la vita di Ingrid capiamo cosa vuol dire imbattersi nelle discriminazioni intersezionali e come reagire. Infine c’è una parte di policy, di lavoro per far avanzare anche nell’agenda pubblica il tema dell’intersezionalità – dialogheremo con i decisori politici a livello nazionale ed europeo.
Parola chiave quindi: intersezionalità. Ma a cosa vi riferite?
Le discriminazioni di solito vengono lette in modo settoriale: puoi venire discriminato in base alla razza, o al genere, o all’orientamento sessuale. Solo che le nostre identità non sono monofattoriali, e di conseguenza possiamo subire una discriminazione intersezionale; posso essere discriminata perché sono donna e di colore, ad esempio. E qui sta l’intersezionalità; noi vogliamo fare in modo che questo sguardo molteplice si traduca alla realtà pratica.
Giorgia, cos’è cambiato per lo sportello con la partecipazione ad INGRiD?
Avere alle spalle un progetto europeo ha consentito la riattivazione di azioni che erano state precedentemente avviate, e poi si erano sospese; è stato possibile migliorare in modo sostanziale l’operatività ed il coordinamento, ed investire in visibilità. In più ha permesso il consolidamento e l’ampliamento della rete territoriale di riferimento dello sportello, avviando un ciclo di tavoli di lavoro.
Come si mette in pratica l’intersezionalità?
Avere un approccio intersezionale significa cogliere le molteplici sfumature latenti nei casi di discriminazione registrati sul territorio; e poi diventa un modo di pensare nella pratica quotidiana, nella progettazione, nello sviluppo della rete. La vera sfida è proprio la messa in pratica: come rispondo a questo tipo di discriminazioni, che tipo di soluzioni si possono elaborare.
In termini di casi cosa avete rilevato fino ad oggi?
Non abbiamo molti dati quantitativi ma siamo in grado di affermare che in Trentino non si raggiungono gli obiettivi della società inclusiva; esistono disuguaglianze socio-culturali dovute all’estrazione economica, alla condizione migratoria di alcune persone, nonché a fattori di rischio legati al genere, all’orientamento sessuale, ed in misura minore all’età. Il Trentino è terra di accoglienza, ma c’è anche del sommerso: non vederlo non vuol dire che non ci sia, bisogna lavorare per una maggiore emersione dei casi.
Come farli emergere?
Bisogna far capire alla cittadinanza che in caso di discriminazione ci sono delle realtà di supporto. Noi offriamo una presenza visibile e accessibile sul territorio in rete con le associazioni e le organizzazioni professionali trentine. Ogni segnalazione è seguita da un primo colloquio con due o più membri dello staff. In un’ottica di accoglienza e corresponsabilità del conflitto se l’utente lo desidera noi ci attiviamo all’interno della rete per trovare ciò di cui ha bisogno. Lo sportello è telefonico (0461/1531201), aperto dal lunedì al sabato. Inoltre abbiamo avviato una procedura anonima standard di segnalazione sulla pagina web che ci permette un intervento immediato.
Progetti futuri?
Su richiesta di alcune utenti stiamo lavorando per creare un toolkit di pronto intervento a cui le persone possono ricorrere non appena si verifica una situazione di discriminazione. La documentazione delle condotte abusive può assumere un valore probatorio fondamentale, però deve essere prodotta nel rispetto di alcune norme giuridiche e sociali fondamentali: stiamo lavorando per creare il miglior strumento.