Con la delibera del n. 10 del 12 maggio la Corte dei Conti pone l’accento sull’insuffuciente ricorso al rimpatrio assistito da parte del Ministero dell’Interno
Il rimpatrio assistito è espressamente sancito dalle direttive europee, che sono vincolanti nel conseguimento di principi e obiettivi sanciti. La Corte dei conti nella sintesi del documento afferma: “Tale misura, riconosciuta dalla Commissione dell’Unione europea come preferibile ad opzioni alternative come quella del rimpatrio forzato e per tale ragione incentivata con specifici programmi di cofinanziamento, concorre all’attuazione del diritto dei migranti di far ritorno nel Paese di cittadinanza ed al correlato obbligo degli Stati di garantire una migrazione sicura e ordinata nel pieno rispetto dei diritti umani dei migranti (Obiettivo 10, sotto obiettivo 10.7 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite).
Per quanto concerne l’Italia, va rilevato che i programmi di rimpatrio volontario assistito dei migranti si accompagnano sempre a progetti di reintegrazione (RVA&R). I risultati conseguiti dall’attuazione di tale misura sono stati piuttosto limitati e decisamente inferiori ai valori-obiettivo indicati dal Programma nazionale del Fondo Asilo Migrazione e Integrazione 2014 – 2020 che ha promosso la maggior parte dei progetti di RVA&R (rimpatrio volontario assistito con reintegrazione, n.d.r.) .”
Non è la prima volta che Lamorgese viene richiamata ai propri compiti in osservanza alle norme vigenti. Questa volta si tratta dell’utilizzo del rimpatrio assistito come metodo, come affermato dalla Corte dei Conti, “preferibile” rispetto al rimpatrio forzato.
Per contestualizzare meglio la situazione, occorre segnalare le dichiarazioni di Mauro Palma, Presidente dell’Ufficio del Garante Nazionale, che a Il Manifesto ha ancora una volta sottolineato la bassissima percentuale di rimpatri (il 49% nel 2021) rispetto alle detenzioni nei Centri per Rimpatri, e che in termini soggettivi la Corte dei Conti si era già pronunciata sul fatto che lo Stato spende più per rimpatriare che per integrare.
Ciò implica di fatto una violazione alla direttiva UE sui rimpatri, che molti definiscono “della vergogna” perché ha allargato di molto le “maglie” della possibilità di rimpatriare, che tuttavia sancisce che una volta che il rimpatrio non è percorribile la persona vada immediatamente rilasciata. Palma ha anche posto l’accento sul carattere di eccezionalità della detenzione sancito dal dettato costituzionale.
La CdC raccomanda anche un potenziamento delle strutture a gestione dei rimpatri assistiti, difficile non domandarsi quanto le persone migranti siano correttamente informate sui propri diritti, non ultima la possibilità di ottenere un rimpatrio assistito. Sarebbe auspicabile la distribuzione di un opuscolo multilingua, consegnato durante l’accesso in tutte le strutture detentive, i CPR, che portasse a conoscenza la persona migrante anche di tale opportunità e che una volta compilata la domanda fosse immediatamente rilasciata e assistita. Questo pone anche degli interrogativi sull’effettiva preparazione e informazione da parte dell’avvocatura d’ufficio, prevalentemente utilizzata dalle persone detenute nei CPR. Ma la garanzia dei diritti e dell’informazione su di essi spetta in primo luogo allo Stato e ovviamente al Ministero competente.
A tale proposito la Corte afferma: “A livello gestionale va sottolineata la necessità di una costante attività volta a monitorare, uniformare e accelerare le procedure amministrative di ammissione al RVA&R attraverso l’elaborazione di linee guida, l’attivazione di attività formative e la diffusione di buone pratiche, nonché di un adeguato rafforzamento dei meccanismi di monitoraggio e valutazione, mediante la definizione di appositi framework di monitoraggio e l’introduzione di valutazioni esterne sui singoli programmi”.
La soluzione non è il rimpatrio, peraltro molto poco percorribile, ma l’integrazione, tuttavia il rimpatrio assistito almeno non è una misura coercitiva.
Restano diversi interrogativi su questo Ministero dell’Interno, sull’effettiva opportunità di nominare un Ministro tecnico e non un politico. Sono in molti ad interrogarsi su una repressione “a tutto tondo” operata da questo Ministero, non solo quindi in materia di immigrazione, e su quanto questa repressione esacerbi il conflitto sociale.