Hannah Arendt e Rosa Luxemburg sono alcune delle grandi eretiche del pensiero politico del Novecento. Notoriamente il tempo è galantuomo e alcune delle loro intuizioni, analisi e teorie hanno trovato successivamente riscontro negli sviluppi storici e sociali susseguitesi in questi decenni. Soprattutto ci sono alcuni punti dirimenti che accomunano le riflessioni, le idee della Luxemburg con le elaborazioni proposte da Hanna Arendt in alcuni suoi testi fondamentali.
La casa editrice Mimesis, le cui proposte editoriali sono spesso tra le più interessanti per quanto riguarda la saggistica politica, ha recentemente pubblicato un breve testo “Hanna Arendt Rosa Luxemburg” (Mimesis 2022 collana “minima”, 138 pagine, 10 euro) già uscito sulla rivista Micromega nel 1989 a cura di Alessandro dal Lago con il significativo titolo “Hannah Arendt. Elogio di Rosa Luxemburg, rivoluzionaria senza partito” e già presente nel volume “Men in dark time” stampato negli Usa nel 1968 (Harcourt Brace & Co), e in Italia dalla Raffaello Cortina alcuni anni fa, dove sono raccolte le biografie di alcune donne al centro dell’attenzione della Arendt, come Rahel Varnaghen, Karen Blixen, Nathalie Sarraute e appunto Rosa Luxemburg.
In realtà il testo in questione è una recensione riguardante la biografia dedicata alla grande rivoluzionaria polacca scritta da Peter Nettle “Rosa Luxemburg”, Oxford University Press 1966.
Hannah Arendt si confronta e analizza alcuni punti cruciali della vita della Luxemburg sia nei tratti più personali sia per quanto riguarda il contributo che diede al movimento socialista europeo, fino al suo assassinio avvenuto come è noto nel gennaio del 1919, quando fu uccisa insieme al Karl Liebknecht, anche lui leader insieme a Rosa dello Spartakubund. Il delitto fu compiuto da membri dei Freikorps che godevano dell’appoggio del governo “socialdemocratico”, soprattutto da parte del ministro della Difesa Noske.
Il breve testo di Mimesis si avvale di un’ottima postfazione di Rosalia Peluso, dove si affrontano alcuni dei principali nodi teorici al centro del pensiero delle due grandi intellettuali, questioni che attraversano tutto il Novecento e ancora estremamente attuali.
Tra i punti che accomunano Hannah e Rosa c’è la forte avversità alle logiche nazionaliste di qualunque tipo. Entrambe ebree, appartengono a quell’ebraismo cosmopolita, lontano dalle pulsioni sioniste, caratteristico di un certo ceto intellettuale ebraico del Vecchio Continente. Il rifiuto di qualunque istanza revanscista o patriottarda portò la Luxemburg a sottovalutare, al contrario di Lenin, le rivendicazioni nazionaliste ampiamente presenti nella Russia di allora, aspetto rimarcato dalla Arendt, una sottovalutazione che secondo la filosofa tedesca è riconducibile ad un “internazionalismo astratto e dottrinario”. Così come sono criticate le sue posizioni nei confronti del riformismo di Bernstein a fronte della solidità di molti suoi argomenti.
Ma a parte questi aspetti la riflessione di Hanna Arendt sottolinea le intuizioni teoriche di Rosa Luxemburg, che le costarono critiche ingenerose (e sbagliate) da parte delle figure di spicco del movimento operaio internazionale, provenienti soprattutto dal fronte bolscevico, a partire da Lenin.
Non è certo secondario un atteggiamento oggettivamente misogino, seppure nelle file socialiste ci fossero donne dello spessore di Clara Zetkin o Anna Kollontaj. La rotta di collisione di Rosa con l’ortodossia bolscevica avvenne su alcuni nodi cruciali che sono piuttosto noti: la critica alla logica “avanguardista” del processo rivoluzionario, dove centrale era il “partito”, guidato da un pugno di “professionisti”, a discapito di un cambiamento radicale il cui fulcro dovevano essere gli organismi autonomi di massa, in cui la partecipazione fosse la bussola, il centro del tutto. “La rivoluzione non si fa…”, affermava la Luxemburg e la Arendt di rimbalzo, in completa sintonia rimarca come “ la rivoluzione segue gli eventi, non li crea”. Da qui l’accusa di “spontaneismo” verso Rosa.
Altri motivi di profonde divergenze sono il nesso tra democrazia e libertà, per cui l’alternativa non è tra “democrazia e socialismo”, perché i principi socialisti devono innervare la democrazia e l’analisi sull’accumulazione del capitale, che tende a completare e a integrare le tesi di Marx. L’accumulazione viene vista come un processo dinamico, continuo, “legando lo sviluppo capitalistico all’esistenza di situazioni pre-capitalistiche, garanzia di crescita ed espansione del capitale”.
Tornando al legame tra Hanna Arendt e Rosa Luxemburg, l’aspetto principale sta nelle centralità che gli organismi consiliari hanno nell’analisi di entrambe, così come nella critica all’imperialismo e al colonialismo.
Purtroppo i concetti della Arendt in questi anni di pensiero unico sono stati superficialmente ingabbiati e travisati in una logica liberale e anticomunista. La sua opera più rilevante, citata spesso a sproposito, “Le origini del totalitarismo”, viene usata spesso come una clava per calarla su qualunque punto di vista atto a criticare lo stato di cose presente. Non è un caso, come ricorda Rosalia Peluso, se nei diari del giugno 1951Hanna Arendt scrive: “Completamente sbagliato il titolo del mio libro, avrebbe dovuto chiamarsi “The elements of the Totalitarianism”. Questo perché il testo non vuole offrire una genealogia dei processi totalitari, ma un’analisi di alcuni elementi che hanno caratterizzato i fenomeni totalitari. Tra questi trovano ampio spazio l’imperialismo, il colonialismo e il relativo razzismo, tutte dinamiche totalitarie ampiamente presenti nella politiche delle potenze occidentali, quindi non solo nella Germania nazista e nella Russia stalinista.
In conclusione il volumetto di Mimesis ci permette di continuare a confrontarci con queste due giganti del Novecento, il cui pensiero continua ancora oggi ad illuminarci in tempi ahimè sempre più bui e difficili, per usare l’espressione della Arendt.