Ieri era il 14 giugno e per le famiglie delle 72 vittime morte soffocate nel rogo della Grenfell Tower a Londra cinque anni fa è stato di nuovo il giorno del dolore. Della messa solenne a Westminster, piena zeppa di amici e parenti, con i nomi di coloro che non ci sono più, scanditi uno dopo l’altro e seguiti dalla frase ‘Forever in our heart / Per sempre nei nostri cuori’. Della campana che a messa finita ha suonato per 72 volte i suoi rintocchi. Del partecipatissimo corteo che è sfilato ancora una volta nel più assoluto silenzio per le strade circostanti la Torre. Una processione che il Comitato Grenfell United non ha mai smesso di ripetere il 14 di ogni mese successivo a quel 14 giugno del 2017, con la sola eccezione dei mesi del lockdown, durante i quali ha funzionato comunque qualche forma di On Line Memorial. E una commemorazione che ieri, a cinque anni di distanza, è stata particolarmente commovente, prolungandosi fino a tarda notte, con il mare di candeline accese lungo quel muro ai piedi della torre che nel corso degli anni è diventato una sorta di straordinario diario collettivo, con tutti quei messaggi, quei fiori, quelle foto… uno strazio impossibile da archiviare e che continua così, in forma di corale murales, a suo modo bellissimo.
ChiralJon, Wikimedia Commons
Non c’erano i genitori di Marco Gottardi e di Gloria Trevisan, per i quali solo immaginare quel luogo che ha visto la morte dei loro figli è una ferita che si riapre ancor più acuta ogni anno che passa. “In quel posto c’è troppo dolore per noi, preferiamo ricordare qui i nostri figli” ha dichiarato il padre di Marco, Giannino Gottardi in una bella intervista rilasciata insieme a Loris Trevisan, padre di Gloria, al Corriere del Veneto. E una messa sicuramente meno solenne di quella in Westminster, ma non meno sentita e commovente, si è svolta infatti ieri sera nella chiesa di San Stino di Livenza, dove Marco è nato, dove vivono tutti coloro che lo hanno visto crescere dai tempi dell’asilo, e poi affermarsi negli studi allo IUAV di Venezia, e infine partire per la sua avventura professionale a Londra promettente architetto del Creative Ideas & Architectecture Office (CIAO) fondato da tre giovani italiani con progetti sia in Italia che nel Regno Unito.
Sono passati cinque anni da quella notte che vide consumarsi in poche ore la Grenfell Tower nella zona nord di Kensington: ventiquattro piani di cemento armato in stile cosiddetto brutalista, che in pochissimo tempo venne divorato dalle fiamme causate da un banale cortocircuito all’interno di un appartamento dei primi piani. Un incendio che in condizioni ‘normali’ avrebbe potuto essere domato dall’immediato intervento dei pompieri e che invece si propagò in modo rapidissimo in verticale lungo le facciate del grattacielo, proprio a causa dei rivestimenti esterni che (le indagini avrebbero fin da subito accertato) non erano affatto ignifughi, anzi il contrario! Lamine di sottilissimo alluminio che sciogliendosi hanno potenziato l’infiammabilità del materiale ‘isolante’ all’interno, che lungi da essere lana di ferro (come sarebbe d’obbligo) era polipropilene! E lamine che per di più, nel corso del recente e costosissimo restyling, erano state posizionate in modo tale da creare ai quattro angoli dell’edificio quel micidiale “effetto camino” verso l’alto, che rese impossibile ogni sforzo di spegnimento da parte dei vigili del fuoco.
Natalie Oxford
La ricostruzione temporale del rogo risultò infatti fin da subito impressionante: iniziato intorno all’1 di notte, le fiamme guadagnarono in poche ore i piani superiori e alle prima luci dell’alba la torre era una stele fumigante e nera, un orrore che tutte le tv del mondo trasmisero in diretta. Settantadue le vittime accertate nelle ore che seguirono, senza contare i missing, i mai ‘tornati’: erano infatti giorni di Ramadan e una buona parte dei residenti, che erano di religione islamica, aveva amici e parenti in visita, come vuole la tradizione.
ChiralJon Wikimedia Commons
Letteralmente vergognose le evidenze di irresponsabilità o vere e proprie collusioni che emersero fin dalle prime battute di quella Public Enquiry, (ovvero un’indagine pubblica accessibile a tutti, udienza dopo udienza), che l’allora Primo Ministro Theresa May annunciò il giorno immediatamente successivo, 15 giugno 2017 – e che, nonostante la quantità di evidenze raccolte, non si è ancora conclusa. Sotto accusa è la mala-gestione che non riguardava solo quel particolare grattacielo, bensì il sistema che dovrebbe teoricamente regolare il mega-business dell’immobiliare inglese. Una piramide di appalti e sub-appalti che fanno capo a un intreccio di interessi legati al potere più antico che esista, quello dell’assoluta proprietà del suolo (chiamasi infatti Monarchia). Sul piano gestionale si affida a una catena di decisori, fornitori, assicuratori, certificatori, per i quali il controllo dei costi ha la priorità su qualsiasi principio di precauzione, in omaggio a una semplificazione che gode della totale collaborazione della Pubblica Amministrazione. (Ricetta che sta guadagnando ahimè favore anche da noi, basti pensare alle nefaste ‘implicazioni’ del cosiddetto DDL Concorrenza …)
La prima fase del processo si è conclusa alla fine del 2018 e ci è voluto quasi un anno per la pubblicazione del Report, ottobre 2019. La seconda fase ha sofferto dei ritardi legati al Covid; è quindi ancora in corso e a quanto pare non si concluderà prima del prossimo anno. Nonostante il capo d’accusa sia da sempre chiarissimo (Corporate Manslaughter, Strage Imputabile a Interessi Privati), nonostante le non poche e gravissime ammissioni di irresponsabilità da parte di managers di alcune delle aziende coinvolte nel progetto di radicale modernizzazione di quell’edificio, a cominciare appunto dalla facciata, non è improbabile che il palleggio delle responsabilità si concluda con una sentenza diciamo così simbolica o per meglio dire esemplare. E questo per l’impossibilità di individuare UN singolo colpevole, o principale responsabile di una strage dovuta a una tale e sistematica collusione di interessi che ‘fare giustizia’ significherebbe mettere in discussione il “business as usual” che rende Londra quella macchina di affarismo che è sempre stata. Per cui: un’impresa impossibile.
In attesa di una qualche sentenza in chissà quali termini e chissà quando, ecco riproporsi di nuovo ieri l’indigeribile certezza di una tragedia che poteva essere evitata. “Sarebbe bastato dare ascolto alle denunce che fin dal 2013 gli inquilini organizzati nel Grenfell Action Group indirizzavano alle autorità, per dire degli estintori che non c’erano, dei passaggi di fuga ostruiti – allarmi regolarmente ignorati. Anzi, i più attivi tra gli inquilini furono minacciati di querela…” sottolinea da sempre l’architetto Simon Elmer, portavoce di ASH (Architect for Social Housing) e impegnato in varie iniziative di sensibilizzazione circa l’inaffidabilità di tutti quei progetti di cosiddetta riqualificazione in corso da tempo, e per chissà quanto tempo in futuro, per una quantità di complessi residenziali popolari, in tutta Londra.
Se in Gran Bretagna più che mai quest’anno sono state non poche le uscite-stampa per niente ottimiste circa un soddisfacente esito del processo (in particolare Robert Booth, con un lungo articolo riepilogativo della varie fasi su The Guardian), in Italia non si è mai fermata e anzi prosegue in un crescendo di partecipazione l’attività della Grenfellove Foundation, che i genitori di Marco Gottardi hanno fondato quasi fin da subito: non solo per mantenere vivo il ricordo del figlio, non solo per sentirsi impegnati in un qualche positivo progetto (e non solo inconsolabile dolore) in suo nome, ma anche per promuovere in altri giovani promettenti quelle aspirazioni di riuscita che avevano spinto il loro figlio a lasciare l’Italia.
Principale obiettivo: finanziare percorsi di ricerca proprio sul fronte della building safety, la sicurezza edilizia. “Se mio figlio è morto come è morto, che serva almeno a qualcosa. Io so che questo sarebbe stato il suo lavoro…” furono le parole di Daniela, madre di Marco, quando mi capitò di incontrarla qualche anno fa. Sua l’idea di trasfigurare tutto in fiaba, con le illustrazioni di Roberta Gattel, amica del figlio sin dall’infanzia: “Un libro autoprodotto, che stiamo presentando nelle scuole italiane, che abbiamo spedito in traduzione anche a Londra: tutto questo ci aiuta ad andare avanti.” E anche quest’anno l’ammontare delle borse di studio non è stato indifferente: ben € 20.000 per studenti che si sono diplomati nelle scuole in cui hanno studiato Marco e Gloria, rispettivamente l’IIS Scarpa di San Donà di Piace e il liceo Modigliani di Padova, oltre che per gli studenti dello Iuav di Venezia.