Cooperativa umana, locale e sostenibile, Robin Food è fondata sulla dignità lavorativa, la territorialità e l’attenzione all’ambiente. Una realtà fiorentina in espansione che si pone come una vera e propria alternativa ai grandi colossi delle consegne alimentari, sperando che il suo esempio venga imitato da tanti.
«Robin Food è la prima e unica cooperativa di rider in Italia». Esordisce così Duccio D’Agnano, amministratore di Robin Food, addetto al commerciale e ai rapporti con i partner. È nato tutto da sette i giovani fiorentini: Duccio, Nadim, Simone, Alessandro, Luca, Salvatore e Mahmad, di età compresa tra i venti e i quarant’anni circa, ognuno con un percorso scolastico e lavorativo molto diverso. La loro esperienza come rider per grandi aziende di food delivery e la voglia di poter lavorare meglio e con maggiori diritti li hanno portati a unirsi e a dar vita a questa associazione.
La nascita e l’enorme crescita del settore delle consegne a domicilio hanno portato a uno sviluppo senza regole e al sorgere di numerose problematiche. La mancanza di tutele dei lavoratori, le commissioni sempre più alte per i ristoratori e la questione delle tasse – le multinazionali infatti pagano solo una piccola percentuale dei ricavi – ci dovrebbero far pensare a quanto questo sistema abbia bisogno di una regolamentazione.
L’8 novembre 2021 nasce, proprio per questo motivo, Robin Food. Nei mesi precedenti l’avviamento, la cooperativa aveva dato vita a una campagna crowdfunding sulla piattaforma Eppela per coprire le spese di costituzione, riuscendo a raggiungere circa 6000 euro. La raccolta del denaro, l’acquisto delle bici elettriche per spostarsi e la firma di un protocollo d’intesa con la NIdiL CGIL hanno permesso lo sviluppo dell’attività.
Robin Food si è unita a Coopcycle, un servizio di consegne a domicilio on-demand in bicicletta che opera in maniera non inquinante e a livello locale. Si tratta di una federazione che conta circa una settantina di cooperative, la maggior parte delle quali in Francia, ma anche in Spagna e Germania. Coopcycle condivide la piattaforma software e si impegna a fornire consulenza finanziaria e legale, dando una mano allo sviluppo del modello d’impresa.
Robin Food pone le basi della propria associazione sulla democrazia sul posto di lavoro e la dignità del lavoratore, senza trascurare l’economia locale e il territorio. La cooperativa di rider fiorentini propone ai ristoranti commissioni più basse e alternative vantaggiose rispetto a quelle dei grandi colossi del settore. I dipendenti possiedono un contratto di lavoro subordinato, con pagamento orario e tutte le garanzie del caso. Inoltre vengono tenuti corsi di formazione sul codice stradale e le norme igieniche alimentari.
Ma non solo: Robin Food offre anche un servizio ecosostenibile per non contribuire all’aumento dell’inquinamento attraverso l’uso di biciclette e mezzi elettrici. Come cooperativa che lavora a livello locale favorisce la creazione di un’economia circolare che nasce e resta nel territorio. I grandi colossi pagano una misera percentuale di tasse rispetto ai ricavi e vanno così a portare via ricchezza e risorse all’economia locale, trasferendo le loro sedi in altri paesi o nei cosiddetti paradisi fiscali.
«Volevamo dimostrare la possibilità di fare impresa in una maniera diversa – ci racconta Duccio – senza far ricadere tutte le difficoltà sui rider. Le grandi piattaforme si sono permesse di pagarli malissimo in modo tale da poter rischiare il meno possibile. Molti di questi ragazzi sono attratti dal guadagno immediato, non pensano ad accantonare dei soldi per la pensione o ad avere delle ferie pagate, è necessario iniziare a pensare al futuro».
«Lo sfruttamento dei rider non è colpa solamente di questi grandi colossi, ma anche dei governi che hanno permesso tutto questo senza ostacolare una politica sbagliata. Se fossero state fatte delle leggi più serie e stringenti non saremmo arrivati a questa situazione. Vi è una quantità di vuoti normativi enorme, questo del food delivery è un mondo poco toccato ed esplorato, che andrebbe maggiormente regolamentato».
Un mondo nuovo dunque, che tanto deve ancora crescere, non a livello di diffusione, vista la sua espansione a macchia d’olio negli ultimi anni – in particolare durante il periodo Covid –, ma a livello di leggi, ambito in cui versa ancora in uno stato embrionale. Il fatto effettivamente più assurdo è come questo mercato stia crescendo e facendo enormi profitti, mentre i rider guadagnano sempre di meno e con sempre meno diritti.
Lo sfruttamento dei rider non è colpa solamente di questi grandi colossi, ma anche dei governi che hanno permesso tutto questo.
«Una nostra cerchia ce la siamo ritagliata, abbiamo diversi clienti che ordinano solamente con noi. La logica del risparmio e del guadagno facile tante volte e per molti viene prima del rispetto per il lavoratore, in questo caso il rider. Sono comunque vari i locali e i consumatori che vogliono lavorare con noi e questa è una soddisfazione. Il nostro obiettivo è quello di allargarci e di arrivare alla coscienza delle persone, mostrare sia al cliente sia al ristoratore che si può scegliere».
«Ci piacerebbe essere da ispirazione agli altri. Più realtà del genere ci sono e meglio è. Sentiamo l’esigenza di farci notare per cambiare qualcosa, per non rimanere isolati». Ma anche per creare una rete di realtà basate su sostenibilità, ecologia, dignità del lavoratore e sostegno alle economie locali.