Buona Salute a tutt*, sono Alfonso Navarra, portavoce dei Disarmisti esigenti, tra le organizzazioni membre in Italia della rete ICAN (International to Abolish Nuclear Weapons), insignita nel 2017 del Premio Nobel per la Pace.
Da Vienna vi informo che abbiamo appena superato la prima tappa della “NUCLEAR BAN WEEK” con la due giorni del forum di ICAN. Le altre due tappe che stanno arrivando sono la conferenza scientifica del 20 giugno e gli Stati che si riuniscono per revisionare il Trattato di proibizione delle armi nucleari (in sigla: TPNW) dal 21 al 23 giugno (sigla della riunione ONU: 1MSP).
Beatrice Fihn, direttrice esecutiva di ICAN, ha concluso i lavori del Forum verso le 16:00 del 19 giugno ospitando sul palco il numeroso staff di volontari (circa 40 persone) che con le attività di servizio hanno supportato organizzativamente l’incontro.
Il suo commiato è stato una decisa esortazione, tra gli applausi e le grida di giubilo dei partecipanti, a rimboccarsi le maniche sostanzialmente sulle modalità di lavoro fin qui percorse.
Lo slogan è semplice e – ad avviso di chi scrive – rischia anche una declinazione semplicistica: “The ban is the plan“. Si pensa cioé che il disarmo nucleare sarà la conseguenza della adesione progressiva degli Stati al TPNW. Siamo a quota 62 ratifiche, a poco a poco arriveremo a 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71, eccetera, insomma fino a includere, ratifica per ratifica, tutti i 193 Stati dell’ONU. Le potenze nucleari prima o poi firmeranno perché si convinceranno delle buone ragioni dei “proibizionisti” e saranno pressate dalla “stigmatizzazione” operata dall’opinione pubblica internazionale, mobilitata dai disarmisti e dai pacifisti.
Siamo stati oltre 600 attivisti qui a Vienna, con 50 eventi e oltre 100 relatori in due giorni: persone sopraffatte da un vortice di conversazioni settoriali più o meno approfondite, commoventi storie di sopravvissuti, serrati panel informativi.
La mattina l’introduzione era stata fatta dalla costaricana Elayne Whyte Gomez, che presiedeva i lavori della conferenza ONU che, il 7 luglio 2017, ha adottato il TPNW entrato poi in vigore il 22 gennaio del 2021, dopo la ratifica del 50esimo Stato.
Con Patrizia Sterpetti, la presidente di WILPF Italia, ho assistito questa domenica a due eventi, scegliendo tra altri tre che si svolgevano in contemporanea.
“Challenging Nuclearism and climate change”, con Nyombi Morris e Hinamoeura Cross.
Subito dopo: “Impunity hides behind nuclear weapons” con Terrell Starr e Pavel Podvig.
Alle 14:30 ci siamo poi spostati di sala per seguire: “Sustain the momentum” con Allison Pytiak ed altre autorevoli personalità femministe.
Da questa discussione, Patrizia Sterpetti ed il sottoscritto, con Alessandro Capuzzo e con Fabio Sandri, siamo passati alla cerimonia finale con Beatrice Fihn, il momento festoso dei riconoscimenti allo staff e del saluto ai partecipanti.
Durante il grande festival avevamo potuto ascoltare in video il primo ministro della Nuova Zelanda e il ministro degli Esteri austriaco. Abbiamo ascoltato le testimonianze dei sopravvissuti ai test nucleari in Kazakistan, nelle Isole Marshall e in Nevada, così come i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki. Mentre tutto ciò era in corso, abbiamo saputo che altri Stati membri della NATO, Belgio e Paesi Bassi, hanno deciso di partecipare a 1MSP dal 21 giugno insieme a Germania e Norvegia. Anche l’Australia, un altro alleato nucleare degli Stati Uniti, parteciperà dopo le recenti elezioni che hanno portato a un nuovo primo ministro che è impegnato nel TPNW.
Per la partecipazione dell’Italia alla revisione del TPNW, invece, nessuna speranza si profila all’orizzonte. Anche se potremo registrare il contentino di una presenza ufficiale al convegno scientifico del 20 giugno, un incontro che però non comporta alcuna “compromissione” politica.
Domani, oltre 60 parlamentari di 30 paesi si incontreranno in preparazione per partecipare a 1MSP (la sigla della conferenza di revisione del TPNW) come osservatori non ufficiali dei loro paesi.
Nonostante, o forse a causa dell’invasione russa dell’Ucraina, la sensazione che prevale tra i delegati pacifisti a Vienna è sicuramente quella dello slancio storico che si muove verso l’abolizione delle armi nucleari.
È stata messa a punto una notevole mole di pianificazione pratica e organizzazione per la prossima fase della campagna, che punta allo sfondamento del muro della NATO, forse sottovalutato nel suo spessore. Ciò significa, nelle indicazioni del Forum, lavorare più a stretto contatto con i parlamentari e le autorità locali, ma anche maggiori sforzi per disinvestire e lavorare con altri movimenti per ampliare le possibilità del movimento disarmista.
A me sembra che la formula del festival degli eventi sostituisca un dibattito assembleare che è sottovalutato e limitato sui problemi strategici che sfidano la campagna, con la guerra in Ucraina che invece è proprio lì a ricordarli. Probabilmente perché l’attivista tipico non si pone domande strategiche che identifica con l’astrattezza dei massimi sistemi: con stile anglosassone (anche se proveniente dall’Africa), misura il successo sui parametri quantitativi cui lo abituano modelli come la campagna contro le mine anti-uomo. La concretezza è avere un obiettivo semplice e chiaro e moltiplicare le adesioni su di esso: tutto il resto sarebbe bla bla politicista che non porta da nessuna parte.
Una parziale diversione, a mio avviso positiva, da questo abito mentale è stato invece l’evento “GIVE PEACE A CHANCE“, organizzato, tra gli altri, dalla WILPF e svoltosi, subito dopo il Forum ICAN, dalle 18:00 alle 22:00, alla OGB Catamaran, sempre a Vienna.
Maggiori info su organizzatori e programma al link: http://abfang.org/termine/friedenskonferenz-19-6-2022/
L’evento, focalizzato sull’intreccio tra crisi ecologico-climatica e minaccia nucleare, ha mirato a mettere insieme temi ecologici e temi disarmisti. Come ha sottolineato la moderatrice, Katerina Anastasiou, di Transform Europe: “Il disarmo e la riconversione dell’industria bellica sono elementi essenziali della necessaria trasformazione verso un futuro eco-sociale. In questa prospettiva la cosa più importante è il bando definitivo delle armi nucleari“.
Un contributo importante in apertura è stato “Voices for Peace from Ukraine and Russia“. Un confronto in videoconferenza tra l’obiettore ucraino Yurii Sheliazenko e l’obiettore russo Oleg Boldrov.
Per la WILPF è intervenuta Heidi Meinzolt, ed hanno anche parlato esponenti dell’IPPNW, degli Amici della Terra, di World Beyond the War, dell’ITUC, delle IPB…
L’intervento della serata che ho trovato più interessante è stato quello di Rebecca Johnson, cofondatrice di ICAN, campista a Greenham Common, direttore dell’Acronym Institute for Disarmament Diplomacy. Tema: “The nuclear Weapon Ban Treaty: Opportunities and Next Step”.
Ne riporto un momento significativo:
“Dai miei anni analisi della diplomazia del disarmo, mi sono convinta che l’immenso potere strutturale delle P5 (le cinque potenze nucleari al Consiglio di sicurezza dell’ONU) e le dinamiche del possesso nucleare da parte dei quattro stati dotati di armi nucleari al di fuori del TNP, erano tali che avevamo bisogno, per sbloccare la situazione, di un trattato di divieto netto e inequivocabile. Il trattato doveva avere chiari divieti sull’uso di armi nucleari e sulle principali attività che avrebbero permesso a chiunque di produrle, acquisirle e dispiegarle; e aveva bisogno di dichiarare l’obbligo di eliminare le armi nucleari con alcuni principi di base, percorsi legali e strutture evolutive adattabili per come ciò sarebbe stato fatto.
Questa strategia – andare dritti per un divieto delle armi nucleari ai sensi del diritto internazionale umanitario, negoziato in un forum che sarebbe stato aperto a tutti i governi ma bloccabile da nessuno (in altre parole, le regole dell’Assemblea Generale) – è stata una sfida per molte organizzazioni nei movimenti per la pace di vari paesi. È nato perché sempre più persone sentivano che il tempo stava per scadere.
In sostanza, questo essere diretti e radicali è stata la strategia rivoluzionaria basata sul trattato che ICAN ha portato avanti. Dietro le quinte, i membri del gruppo direttivo ICAN e un crescente nucleo di diplomatici e governi hanno messo in moto la strategia alla Conferenza di revisione del TNP del 2010. Dopo solo 7 anni alla conferenza di New York del luglio 2017 la nave è stata costruita, varata ed è vigorosamente salpata. La rotta è stata tracciata e non resta che tenere la barra dritta fino alla meta finale…“
L’elemento innovativo che caratterizza l’approccio di Rebecca è la consapevolezza che “il tempo stringe” e che, proprio in virtù di questa consapevolezza, occorre mobilitare i giovani sull’intreccio tra crisi nucleare e crisi climatica: per questo è stata tra le fondatrici di XR PEACE in Gran Bretagna.
“Avevo fatto parte del Consiglio del Bulletin of the Atomic Scientists dal 2001 al 2007, e così ho preso parte alle discussioni annuali su dove dovrebbero stare le lancette del “Doomsday Clock”. Con l’aumento dei pericoli nucleari e la crescente consapevolezza della distruzione del clima come minaccia a livello di estinzione che richiede un’azione internazionale collettiva, chiaramente non abbiamo più il tempo di continuare ad assecondare gli stati dotati di armi nucleari che hanno bloccato la maggior parte, se non tutti, i passi pratici proposti nelle conferenze del Trattato di non proliferazione, ormai ridotte a tribune inconcludenti“.
Rebecca ha individuato il prossimo fronte della avanzata del TPNW nella evaporazione della condivisione nucleare NATO:
“Essenzialmente, il principale ostacolo al disarmo nucleare è che il P5 è diventato presto dipendente dallo status internazionale, dal potere interno, dall’amplificazione della proiezione di forza (come la vedevano) e dai cosiddetti “diritti” che amavano credere che le armi nucleari conferissero. Le loro giustificazioni, e la sfilata delle loro armi, hanno giocato un ruolo importante nel guidare la proliferazione, così che ora ci sono nove nazioni dotate di armi nucleari e molti più rischi e pericoli nucleari.
La NATO è nata come un’alleanza militare guidata dagli Stati Uniti, ma non era inevitabile che dovesse essere anche un’alleanza nucleare. Nella Guerra Fredda, le politiche degli Stati Uniti hanno reso le armi nucleari una caratteristica centrale della NATO, ma questo non è mai stato fondamentale per lo scopo di sicurezza dell’alleanza, i cui membri sono stati a lungo divisi e in conflitto sulle armi nucleari e le loro dottrine e politiche per il dispiegamento e l’uso. Per le loro ragioni militari-industriali e nucleari-economiche, gli Stati Uniti e il Regno Unito sono i principali motori della NATO per essere una “alleanza nucleare”. (La Francia dotata di armi nucleari usa diversi argomenti, basati sulla sua umiliante occupazione nella guerra del 1939-45.)
Il TPNW è stato legalmente inquadrato per consentire ai membri della NATO di aderire purché pongano fine ad attività proibite come lo stazionamento di armi nucleari. E recenti sondaggi di opinione mostrano un forte e crescente sostegno al trattato in molti paesi della NATO, compresi i cinque che “ospitano” armi nucleari statunitensi sul loro territorio: Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia“.
Su una linea di approccio simile, la considerazione “strategica” di spazi aperti dai trattati internazionali, ha concluso la serata Alessandro Capuzzo, del movimento antinucleare di Trieste, in delegazione a Vienna con i Disarmisti esigenti.
Anche qui mi sembra importante lasciare ampio spazio al suo intervento, ricalcato sul working paper che ha indirizzato alla 1MSP di Vienna:
“Il Trattato sulla messa al bando delle armi nucleari, che la maggior parte dei paesi membri delle Nazioni Unite ha istituito in base pressione della Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN), di cui come Disarmisti esigenti siamo parte, può cambiare gli equilibri di potere tra stati nucleari e non, grazie a l’introduzione di una sostanziale trasparenza a vantaggio della società civile e dell’insieme Umanità.
In quanto cittadini del territorio che il Trattato di Pace del 1947 definì smilitarizzato e neutrali, siamo particolarmente felici e coinvolti nel percorso proibizionista.
Il Golfo di Trieste ospita, in contrasto con il Trattato di Pace, due porti militari di transito nucleare, Trieste in Italia e Koper-Capodistria in Slovenia. E la presenza stessa dei due centri urbani rende impossibile prevenire seriamente gli incidenti, che possono scaturire dai motori a propulsione nucleare propulsione delle navi, dalla presenza a bordo di armi di distruzione di massa, e dalla possibilità di diventare un bersaglio nucleare.
Inoltre, il segreto imposto “per motivi di sicurezza” sulle notizie necessarie per una puntuale informazione, impedisce la valutazione del rischio in relazione ai pericoli esistenti; esso costringe le istituzioni a omettere parti importanti di informazioni e di conseguenza nasconde le situazioni di pericolo per la popolazione.
Pertanto, proponiamo alla Conferenza di Vienna per la revisione del TPNW l’avvio di casi studio sul rischio, e sulla mancanza di trasparenza in materia nucleare, da affidare alla Scuola di Prevenzione Nucleare dell’Agenzia Atomica (AIEA), presso il Centro Internazionale per la Fisica Teorica di Miramare a Trieste.
Interessanti casi di studio si potrebbero intraprendere anche per i dodici porti nucleari militari italiani (oltre a Trieste, Venezia, Brindisi, Taranto, Augusta, Castellammare di Stabia, Napoli, Gaeta, Livorno, La Spezia, La Maddalena e Cagliari) e per le basi aeree nucleari terrestri di Aviano e Ghedi. E chiediamo – sempre ispirandosi al Trattato per la messa al bando delle armi nucleari – una ripresa dei colloqui per la denuclearizzazione del Mare Mediterraneo, che coinvolga il nostro Golfo: teniamo sempre presente che esso è legalmente vincolato dal Trattato di Pace con l’Italia dopo la seconda guerra mondiale, alla Demilitarizzazione e alla Neutralità. Oggi, a cinque anni dalla sua approvazione, il Trattato è finalmente entrato in vigore e siamo, popolo della pace, a Vienna per esaminarne il contenuto e l’attuazione. Invitiamo gli Stati firmatari a considerare la proposta, e la sua fattibilità, resa possibile dai due Trattati citati nel Documento di lavoro del 2017: il bando nucleare o TPNW e il Trattato di pace del 1947 con l’Italia.
Un invito particolare è rivolto agli Stati iscritti nel Trattato di Pace con l’Italia, per il diritto di utilizzo del Porto Franco Internazionale di Trieste: Austria, Cechia, Francia, Gran Bretagna, Italia, Polonia, Slovacchia, Stati Uniti, Svizzera, Ungheria e tutti i paesi emersi dalla Jugoslavia e dall’Unione Sovietica.
Oltre a quanto menzionato, Australia, Belgio, Bielorussia, Brasile, Canada, Cina, Etiopia, sono coinvolti nel Trattato di pace con l’Italia anche Grecia, India, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Ucraina e Sud Africa“.
A conclusione di questa mia seconda puntata del diario da Vienna, tornando ad aspetti più immediatamente logistici ed operativi, ricordo che oggi parteciperò in qualità di giornalista accreditato da “IL SOLE DI PARIGI” alla Conferenza di Vienna del 2022 sull’impatto umanitario delle armi nucleari (HINW22Vienna), che si svolgerà presso l’Austria Center.
La conferenza riunirà rappresentanti statali, organizzazioni internazionali, comunità scientifica, sopravvissuti e società civile per discutere ed esplorare ricerche consolidate e nuove sulle conseguenze umanitarie e sui rischi delle armi nucleari.
Vi sarà la partecipazione del coordinamento ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons): https://vienna.icanw.org/humanitarian-impact-conference
E saranno questi i relator: https://vienna.icanw.org/speakers