La cornice la offre la banda degli Ottoni a Scoppio: sabato 28 maggio si chiude una densa tre giorni, iniziando alla mattina sotto Palazzo Marino, sede del Comune, in piazza della Scala, dove si sono dati appuntamento i tanti comitati che lottano in difesa del territorio a Milano e hinterland. Quasi cento fiati e percussioni svegliano una città accaldata e sonnolenta, una vera e propria scossa. Anche i comitati, che a volte faticano a trovare le forze, oggi sono brillanti: veloci interventi si susseguono a una musica che riempie la piazza.
Contro il DDL concorrenza che rischia di privatizzare tutto il privatizzabile, a salvaguardia dell’acqua pubblica, madre delle recenti battaglie per i beni pubblici, e poi a difesa del parco Ticinello e della cascina Campazzino (che si pretende resti un bene pubblico), per la sanità pubblica (dopo che nella zona sud-ovest di Milano si è evitata la chiusura degli ospedali San Carlo e San Paolo), per il referendum rispetto al possibile scempio di San Siro, per la difesa della Palazzina Liberty, per la salvaguardia di Piazza d’Armi, del parco Nord, dei centri sociali come Zam, che difendono con le unghie e coi denti quello che resta del verde in città. Un grido forte rivolto a un sindaco che più volte ha sbandierato un volto green, per poi non ascoltare minimamente gli appelli, le petizioni, gli studi, fatti dai comitati di cittadini e soprattutto cittadine.
Le bande si spostano e noi con loro, anche in metropolitana si suona. Si va all’anfiteatro della Martesana; fa molto caldo e si sta sotto gli alberi. Nel pomeriggio alternati alla musica diversi interventi: dagli antimilitaristi anarchici, alle brigate che organizzarono la solidarietà in Torchiera, alla rete Ci Siamo che sostiene le occupazioni di alcuni edifici per dare casa ad immigrati (lunedì mattina alle 10 saranno anche loro in piazza della Scala contro un possibile sgombero), e poi il lancio dei “Disabili pirata” per una due giorni ai primi di luglio sempre al Torchiera. Parlano anche i giovani del Centro Sociale Lambretta, alcuni dei quali nei giorni scorsi hanno subito pesanti perquisizioni.
Il cielo minaccia pioggia, gli spostamenti non sono facili, le bande rientrano “in sede”, al Torchiera: alle 19 e 30 inizia un importante incontro, si parla di diritti e solidarietà, di giustizia e repressione. Il tempo è ridotto, i traduttori hanno un tempo limitato, ma viene offerto un servizio che gli amici da Francia ed Austria apprezzano molto, e soprattutto le prime gocce preoccupano, ma non muovono gli invitati.
Quattro interventi secchi e chiari:
- Sergio Petrona Baviera dell’Arci Porco Rosso di Palermo racconta come vivono in quella città la solidarietà con i migranti, come sostengono le lotte degli imputati (come l’equipaggio della Iuventa) accusati di aver aiutato o salvato coloro che cercano approdo. Di come rapporto “Dal mare al carcere” racconti le storie di immigrati che spesso finiscono in carcere per 5 o 10 anni solo per aver tenuto le mani su un timone, una volta che i veri trafficanti avevano abbandonato al loro destino uomini, donne e bambini. Storie dimenticate, capri espiatori di un sistema, non solo legislativo, marcio alla radice.
- Andrea Costa di Baobab Experience di Roma racconta le peripezie dei migranti, spesso in transito, intorno alle stazioni di Roma, gli sgomberi, le occupazioni, le estati e gli inverni; lui e l’associazione che presiede sono stati oggetto di indagini con intercettazioni per le quali si può facilmente ipotizzare almeno 500mila euro di spese da parte dello Stato italiano. Il processo a suo carico, con tutte le fatiche che questo comporta, è finito con una piena assoluzione. Andrea e Baobab vanno avanti, non si fermano, anzi. Oggi, domenica, mi racconta, sarà a Roma all’assemblea dei “giovani democratici”: “Mi hanno invitato, benissimo, ma ho già detto loro che dirò tutto quello che penso…”
- Sofia Coppola della rete Mai più lager-No ai Cpr che da anni si batte, prima contro la possibile apertura e ora per la chiusura di quella vergogna che è il CPR di via Corelli 28 a Milano. Racconta della violazione costante dei diritti, con l’aggravante di colpire persone che non solo non hanno commesso alcun reato, ma non sanno neppure perché sono lì e per quanto vi resteranno. Racconta delle proteste, degli atti di autolesionismo, dei traumi che hanno subito e continuano a subire persone che non potranno dimenticare come sono state trattate. La lotta è per la chiusura di tutti i CPR d’Italia, lo sforzo dovrà essere grande e collettivo, non si possono tollerare questi buchi neri del diritto.
- Conclude Emilio Scalzo, dalla val di Susa. La pioggia avanza e lui col sorriso, dopo poche parole, ricorda come tra le tante lotte fatte nella sua vita non abbia mai accettato di fare “scioperi della fame”. Il corpo non deve patire, dice e invita tutti ad andare a mangiare! Per fortuna ci aveva parlato nel pomeriggio sotto gli alberi della Martesana, raccontando di come fosse finito in carcere in Francia, per essersi difeso dall’aggressione di un gendarme che stava per colpirlo senza alcun motivo. Racconta come la lotta NO Tav sia diventata anche No Border, di come l’assurdità di un’opera che “vorrebbe portare le patate a Parigi venti minuti prima” strida ancor più di fronte a persone che non possono invece muoversi sul pianeta, neanche lentamente. Ricorda l’importanza di scegliere di fronte ad alternative semplici e radicali allo stesso tempo: dare una mano o girarsi dall’altra parte? Lui ha scelto più volte nella sua vita. Si è schierato, spesso faticando a tenere a freno quella forza straordinaria che la natura gli ha dato. Il territorio va difeso, se la Sicilia era la sua terra d’origine, la val di Susa è da più di 50 anni la sua terra d’adozione, dove è cresciuto, ha lavorato, ha creato una famiglia. “Se già io e mia moglie abbiamo dovuto lottare contro il cancro, deve succedere anche a mia figlia? Tutti sanno che in quella montagna che si vuole bucare ci sono amianto e uranio.” Emilio parla con una semplicità e schiettezza disarmanti, va al cuore delle questioni. Alla fine ci abbracciamo forte; parte, la sera stessa torna a casa, in valle c’è la critical wine e c’è bisogno di tutti.
In Torchiera la musica va avanti, alle tre di mattina stanno ancora suonando. Una sorta di trance di un cerchio di musicisti, immersi in una gioia collettiva e liberatoria; probabilmente non vedono l’ora di ritrovarsi presto. Almeno la musica non ha confini.