Guardando al conflitto che oppone la Russia e la NATO in Ucraina, sono state sin qui messe in risalto diverse questioni e alcune ipotetiche conseguenze di lungo periodo che il conflitto potrebbe portare con sé. Ad esempio, un possibile rilancio della politica di difesa militare dell’Unione Europea, a partire dalla strategia per una difesa comune e per un avanzamento nel senso della costruzione di strumenti militari comuni dell’Unione, fino ad una vera e propria revisione dei Trattati e degli stessi meccanismi decisionali interni alla UE.
Ma anche la recrudescenza di una politica di contrapposizione frontale, nel medio periodo, nei confronti della Russia e della Cina, sullo sfondo, peraltro, di una sfida strategica che non è più, evidentemente, quella della «guerra fredda» tra i blocchi occidentale e socialista, ma sempre più si profila come una sfida tra le tendenze volte a consolidare uno schema di primato e di egemonia unipolare, guidata dagli Stati Uniti, e quelle volte a fare emergere in maniera significativa uno schema multipolare, segnato da un diverso registro delle relazioni internazionali e dei rapporti strategici e da una nuova «architettura di sicurezza» comune e indivisibile.
Tra le conseguenze, inoltre, ampio spazio ha meritato sulla stampa, non solo occidentale, la questione, detta nei suoi termini più generali, del ruolo della NATO in Europa: l’impegno diretto dei diversi Paesi della NATO (del «blocco NATO» nel suo insieme) nella guerra in Ucraina, in termini di addestramento, di spese e di forniture in mezzi e in armamenti; e anche la possibile riconfigurazione della presenza NATO in Europa.
La guerra potrebbe avere tra le conseguenze, infatti, tanto l’allontanamento della minaccia costituita da una adesione alla NATO dell’Ucraina (sancita in costituzione ucraina sin dal 2019), quanto l’avvicinamento della possibilità per due Paesi storicamente neutrali, quali Svezia e Finlandia, di entrare nella NATO (alla luce dell’aumento della tensione, anche militare, sul versante orientale, che la guerra in Ucraina rappresenta). Non va dimenticato, da questo punto di vista, che Svezia e Finlandia hanno in comune l’affaccio al Baltico con la Russia e, in particolare, la Finlandia condivide con il vasto Paese euroasiatico oltre 1300 chilometri di confine.
Il dibattito, circa la prospettiva del superamento della neutralità militare e l’ipotizzata adesione alla NATO, si svolge in maniera intensa tanto in Finlandia quanto, soprattutto, in Svezia, dove sta attraversando sia l’opinione pubblica sia le forze politiche, e tra queste, in particolare, il Partito Socialdemocratico, storica forza maggioritaria della sinistra scandinava, con una precisa caratterizzazione degli orientamenti in atto.
Il dibattito nella galassia socialdemocratica in Svezia ha visto intanto l’emersione di una posizione moderata, centrista, che valuta non negativamente l’ipotesi dell’adesione alla NATO e ha posto l’accento soprattutto sull’esigenza di un avvicinamento concordato, quindi una sorta di coordinamento di fatto, secondo alcuni finanche nella tempistica, tra la Svezia e la Finlandia, nel percorso di adesione all’Alleanza Atlantica, oggi costituita da trenta Paesi, ultimi in ordine di tempo ad aderire Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia (2004), Albania e Croazia (2009), Montenegro (2017) e Macedonia del Nord (2020).
Lo stesso dibattito ha visto emergere anche la posizione della sinistra e delle componenti più avanzate del partito, tutte contrarie all’adesione alla NATO e solide sul principio di neutralità e di indipendenza della politica estera del Paese. In particolare, il Consiglio delle donne socialdemocratiche (tra cui il ministro per il clima e l’ambiente, Annika Strandhäll) vede oggi al suo interno una maggioranza contraria all’adesione, posizione confermata anche nell’ultimo congresso del Consiglio stesso, che si è espresso per il NO alla NATO e per la prosecuzione della politica di non allineamento militare e di indipendenza in politica estera.
La risoluzione del congresso, svolto nell’ottobre 2021, ha ribadito infatti che «la Svezia deve rimanere militarmente libera da alleanze e non deve entrare a fare parte della NATO; deve lavorare attivamente per il disarmo, la pace e per un mondo libero dal nucleare, e ratificare il Trattato delle Nazioni Unite per la proibizione delle armi nucleari. L’esportazione di armi da parte della Svezia deve cessare completamente e, fino ad allora, non deve aver luogo verso Paesi che partecipano a conflitti armati o violano i diritti umani».
Come ha notato la stessa Strandhäll, infatti, «le donne socialdemocratiche hanno una lunga storia di impegno e di battaglie nelle questioni riguardanti la pace, il disarmo, la distensione internazionale, e ci atteniamo alle decisioni congressuali secondo cui la Svezia dovrebbe essere militarmente non allineata e fuori dalla NATO». Del resto, anche le altre componenti più avanzate del partito, dal sindacato all’organizzazione studentesca, sono sulla stessa linea, di contrarietà alla NATO e di tutela dell’autonomia nella politica estera del Paese.
Il dibattito in corso riguarda anche temi quali la dislocazione di armi (in particolare nucleari) della NATO, di eventuali truppe straniere nel Paese e di impegni politico-militari con altri membri dell’Alleanza. Riguarda cioè problemi di autonomia, di autodeterminazione e di sovranità democratica, ben noti tra i Paesi aderenti alla NATO e sui quali sono storicamente attivi movimenti e forze politiche che si battono contro le politiche di riarmo, di ampliamento della spesa militare e di presenza di basi militari USA e NATO nei rispettivi Paesi.
Come si intuisce, le pressioni dei circuiti euroatlantici per un’adesione alla NATO di Svezia e Finlandia sono forti, con tutto quanto ciò potrebbe determinare in termini di riarmo e di militarizzazione, e in definitiva della stessa sicurezza del continente europeo. In Svezia dovrebbe essere presentato dal governo un documento di sintesi, prima della decisione ufficiale, entro il 24 maggio. Come pure è stato detto, una sfida che si consuma nell’arco di alcune settimane – ma che riguarda quasi duecento anni di storica neutralità della Svezia.