“Quella che si può percorrere insieme, in più persone possibili, è l’unica strada che vedo davanti a me, per imparare a essere più libera”
In Rabbia proteggimi. Dalla Val di Susa al Kurdistan. Storia di una condanna inspiegabile (Rizzoli,2022), l’autrice, Maria Edgarda Marcucci, racconta la storia, intrecciata ad altre, delle lotte che, dai sentieri della Val di Susa, contro la devastazione, sfruttamento e militarizzazione dei territori, la conducono in Kurdistan, a combattere contro l’invasore turco, insieme alle unità di difesa popolare (Ypg) e di difesa delle donne (Ypj). Eddi, come è conosciuta da moltə, racconta come questa storia, si vorrebbe sempre con lo stesso epilogo da parte del potere costituito: la condanna totale e la repressione di qualsiasi forma di resistenza reale all’attuale stato di cose.
Durante la presentazione del libro a Cosenza, presso la libreria Ubik, la sera del 23 marzo 2022, L’autrice, andando al centro della questione, apre la discussione su questo – non solo suo – percorso giudiziario, sottolineando immediatamente come queste storie di sorvegliate e sorvegliati speciali, di queste misure preventive, lì dalle origini delle democrazie occidentali contemporanee, sono prova del fatto che lo stato di diritto non esiste; queste democrazie occidentali, così come la nostra stessa costituzione, tanto osannata, davanti a queste vicende dimostrano di aver fallito.
Eddi, ritenuta “socialmente pericolosa” e condannata alla sorveglianza speciale, nel libro individua le radici e motivazioni di questa inspiegabile normalità repressiva dell’apparato giudiziario dello stato italiano. Quando arriva la richiesta di sorveglianza (a lei e agli altri internazionalisti), viene notificato che potrebbero essere soggettə a tale misura per via della loro partecipazione alle Ypg, cioè: per la giustizia italiana, attraverso il lavoro di controllo di questure e organi di polizia politica, la Digos, Eddi e gli altri sono da ritenere socialmente pericolosə per essere andatə a combattere a fianco di una popolazione che lotta contro l’Isis, dalla cui parte, come l’autrice sottolinea, persino il governo italiano, ipocritamente, insieme alla coalizione ‘americana’ alleata, si era schierata, durante la guerra di occupazione Turca, nel Nord della Siria, sui diversi cantoni Curdi. Nel testo, Eddi entra nel vivo della vicenda giudiziaria che l’ha riguardata e che ha portato, in definitiva, solo per lei, all’applicazione della misura di sorveglianza. Le aule di tribunali, nella loro prassi quotidiana, appaiono come luoghi, tra le pieghe di queste ‘farse-processi’, di sordità e reiterazione di stereotipati atti punitivi, di parole incomprensibili, omissioni e incompetenze dolose, macchine da difesa, poste a sostegno e tutela dello stato attuale.
Ovunque si guardi, a diverse latitudini, la vita che resiste e si organizza insieme contro la guerra e lo sfruttamento è soggetto da parte del potere costituito a tentativi e processi di repressione, di soffocamento, disgregazione e isolamento.
Nel libro, l’autrice condivide il suo sguardo su questo mondo, ripercorrendo le esperienze che fa insieme alle altre e agli altri, compagne e compagni, nella sua vita – da internazionalista in Rojava nella guerra contro Daesh, lo stato totalitario islamico, da donna impegnata in battaglie politiche in diverse città italiane, da Torino, alla Val di Susa, a Roma, in lotte per il salario, per la casa, per una società dove non vinca la militarizzazione e le fabbriche di guerra e morte.
La narrazione è retta dalla potenza di un noi che costruisce la storia che Eddi racconta. E anche quando lei rimane sola, nella rielaborazione di ciò che ci accade, non lo è mai. Nelle sue parole emerge l’immagine della molteplicità e moltitudine delle lotte che fanno il movimento attraverso cui il libro si dispiega. E anche quando si sofferma sull’importanza delle responsabilità e delle scelte individuali, quest’ultime, nella visione, ‘pericolosa’ per la procura di Torino, di Eddi, sono, infatti, il frutto dell’essere nel mondo insieme allə altrə e, in particolare, “non sono stata io ad aver fatto certe scelte. È l’incontro con certe scelte che ha fatto me.”
Così, uno degli elementi distintivi di Rabbia proteggimi è la capacità della scrittura di Eddi di farne un testo collettivo: non è solo la storia della ‘sua’ condanna ‘speciale’, ma è la storia di come si arriva a quella condanna – e a questo tipo di condanne – e per Eddi questa è una storia collettiva, di resistenza e lotta condivisa, di scelte fatte in compresenza, che fanno i noi che spaventano gli apparati repressivi statali. Il testo restituisce luce su questo in ogni pagina, in ogni immagine, nella sua complessità, come artefatto e come espressione delle lotte di cui narra, problematizzando, attraverso diversi linguaggi, dal disegno, alla poesia, il legame tra scrittura, forme espressive, narrazione, lotte e potere e la onnipresente capacità della struttura tardo capitalista di sussumere dall’origine ogni forma di altrimenti.
E allora, come Eddi incalza nella narrazione, si resiste ancora di più, si impara a fare andare a vuoto quei tentativi del potere di reprimerci e succhiare linfa vitale dagli stessi conflitti, si impara a rimanere lucidi e a organizzare insieme le risposte a quelle forme di aggressione alla vita in lotta, che sono tipiche anche degli stati democratici contemporanei.
Il libro restituisce contemporaneamente la particolarità e la generalità di queste storie, delle lotte in cui Eddi è impegnata e per cui viene processata ‘inspiegabilmente’. Attraverso questo filo rosso di battaglie comuni, convergenze e solidarietà reale, verso progetti politici di autonomia e democrazia diretta sui territori, come in Rojava, Rabbia Proteggimi si articola in un Prologo e in venti capitoli. Sin dalle prime pagine del Prologo, con l’incontro con “Helin”, si entra per questi sentieri, dalla Val di Susa al Kurdistan, e lo scenario che si ha davanti è di guerra: è l’invasione di Afrin (2018) da parte della Turchia. La narrazione si apre con la potenza dei legami tra le combattenti delle Ypj e Ypg. Questi rapporti compongono l’asse portante della resistenza, e questo centro, questo cuore pulsante, sin dalle prime pagine, con immagini e parole, nella molteplicità dei linguaggi e dei registri narrativi, è espresso attraverso donne che, nell’amicizia nella lotta, intonano canti di battaglia comuni contro il nemico invasore e devastatore.
Non è, quella di Eddi, una narrazione sulle giornate trascorse da sorvegliata speciale, che, come conclude nel testo l’autrice, avrebbe portato ad un racconto a tratti grottesco e da teatro dell’assurdo, per l’insensatezza attraverso cui, nella pratica, si è tradotta tale misura, in cui chi vi è soggetto è ridotto ad una vita “diminuita”.
In Rabbia proteggimi, come si può leggere dall’inizio fino alle pagine conclusive e all’ultimo capitolo, “De-migrare”, Eddi scrive della strada di lotta comune che condivide con “molte (…) persone” che “hanno fatto mesi di carcere, arresti domiciliari, cose varie e avariate”. Su questa rotta, di solidarietà internazionalista e attivismo radicale, dove si intrecciano storie di vite in movimento, la narrazione conduce a riflettere su come “il cambiamento di un’intera società non avviene facilmente, non è un percorso lineare né indolore”, ma che camminare e imparare a camminare insieme lungo quei sentieri di lotta è, contro ogni tentativo repressivo, inevitabile per la vita che resiste, per l’altrimenti che vuole farsi possibile ed essere cambiamento rispetto allo stato di guerra contemporaneo.