Mario Salomone è segretario della Rete mondiale di educazione ambientale – WEEC. In quali iniziative consiste questo importante incarico?
L’iniziativa più importante e prestigiosa, da cui è nata la rete, è quella dei congressi biennali, cui partecipano delegati provenienti da Paesi di ogni parte del pianeta – secondo i casi, cinquanta e oltre cento. Nel marzo scorso abbiamo tenuto l’undicesimo congresso a Praga, stiamo lavorando al dodicesimo nel 2024 e stiamo già cercando la sede per il tredicesimo nel 2026.
Cerchiamo di conservare l’eredità dei congressi passati, che documentiamo sul sito internazionale www.weecnetwork.org, e di mantenere vivi i rapporti tra i membri della comunità mondiale di pratica e di ricerca tra un congresso e l’altro, tramite il sito, le periodiche newsletter, i social media.
Un’altra funzione fondamentale è quella di curare la selezione delle candidature a ospitare i congressi, che finora hanno toccato tutti i continenti e di garantire la continuità di ispirazione e di metodo: ai comitati organizzatori locali diamo una serie di linee guida e portiamo sia tutta l’esperienza accumulata in quasi vent’anni dal primo WEEC in Portogallo, sia l’apporto scientifico della nostra rete internazionale. In questo modo conciliamo la continuità e la coerenza degli eventi, derivate dalla nostra azione, con l’apporto originale che il paese ospitante può dare grazie alla diversità di culture e di contesti. Si può dire, insomma, che ogni edizione del WEEC abbia una identità comune ben riconoscibile e allo stesso tempo una felice dose di originalità: non è lo stesso fare un congresso a Göteborg, a Bangkok o a Marrakech.
Mario Salomone è anche saggista e scrittore. Autore di numerose monografie, di saggi e articoli su riviste scientifiche e scrittore di romanzi e racconti. Da quali esperienze deriva questa sua poliedricità e da dove scaturisce il suo eclettismo nella scrittura?
Scrivere mi ha dato da sempre piacere e in questo mi sento vicino a quanto dice il mio amato Giacomo Leopardi nello Zibaldone. Per incentivarmi mio padre mi regalò una Olivetti Lettera 32 e da allora non ho mai smesso. Scrivere mi fa stare bene. Quanto alla varietà, direi che scaturisce dalla curiosità, che mi spinge a guardare più al futuro che al passato, e dall’idea di trasversalità e interconnessione propria della visione ambientale. La realtà è unica, siamo noi che la frammentiamo e ci chiudiamo in tante scatole, che dovremmo rompere.
Mario Salomone fa parte del comitato di direzione della cattedra UNESCO. Può esporci l’importanza di questa sua esperienza di magistero?
Il bello di lavorare all’università è da un lato che ti costringe a studiare e ad aggiornarti continuamente e ti permette di trasferire quanto appreso in saggi e articoli scientifici e dall’altro ti mette a contatto con i giovani: fare lezione è un’esperienza stimolante e una spinta a ricercare e a rinnovarsi. Negli argomenti di cui mi occupo non è possibile riscaldare sempre la stessa minestra: viviamo in tempi di grande e crescente accelerazione, che sfidano a trovare nuovi dati e nuove risposte.
La Cattedra UNESCO in sviluppo sostenibile dell’Università di Torino inoltre è un bell’ambiente, per sua natura e mandato, centrata sui temi del presente e su un dialogo interdisciplinare sia con colleghi di tutti i dipartimenti dell’Ateneo torinese, sia con le altre cattedre UNESCO delle università italiane, che hanno dato vita a un coordinamento e hanno prodotto un interessantissimo documento comune, ponendosi all’avanguardia del mondo accademico del nostro paese.
Quali sono i libri più importanti che ha scritto e ai quali è più affezionato?
Quali siano i più importanti lo lascerei decidere ai lettori, anche se in generale ritengo più significativi i testi che maggiormente mettono in discussione il paradigma dominante (riduzionistico, “occidentale” e antropocentrico) e il nesso tra giustizia sociale e ambientale. I libri a cui sono più affezionato sono forse quelli di narrativa, come “Messaggio dal futuro”, romanzo fanta-ecologico giocato sui guai prodotti da una macchina del tempo, o i racconti, come il racconto lungo “Ippo” e quelli più brevi di pianeti immaginari o quelli usciti per alcuni anni su “Popotus”, il supplemento per bambini del quotidiano “Avvenire”. Sono affezionato anche ai romanzi non nati. Ad esempio, ce n’è uno, abbozzato, che mi curo nella mente da anni, ma è fermo un po’ per mancanza di tempo un po’, confesso, perché non ho ancora trovato la chiave giusta per risolverlo.
Una Sua presa di posizione consapevole sul Premio Nobel per la pace a Ican, rete internazionale per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari e per il disarmo nucleare universale. Tutti noi ecopacifisti e disarmisti ne siamo diretti testimoni e ci sentiamo chiamati a rammentare il valore implicito di questo Premio Nobel per la pace collettivo all’intera umanità ormai in pericolo e al tracollo, in balia dei venti di guerra mondiali.
Sono un convinto sostenitore del nesso pace-ambiente: lavoriamo tutti per costruire nelle menti e nei cuori (e si spera anche nelle politiche) la comunità planetaria di destino e bene hanno fatto i giurati del Premio Nobel a dare questo riconoscimento a Ican, certo più meritato che per tanti altri vincitori. Fratellanza e sorellanza tra esseri umani e tra umanità a pianeta costituiscono un ideale che ci accomuna. Sappiamo bene quanto grave sia l’impatto ambientale e lo sperpero vergognoso di risorse degli apparati militari anche in tempo di (cosiddetta) “pace”. Viceversa, le guerre e gli apparati militari servono a impadronirsi di risorse naturali, a presidiare rotte commerciali, a imporre modelli di produzione e consumo antiecologici e insostenibili, a produrre ingiustizia sociale e ambientale. Sostengo che la guerra mondiale permanente è cominciata con le vele e i cannoni nell’epoca delle conquiste coloniali, quando la dimensione e il costo degli eserciti europei sono aumentati di dieci volte nel giro di due secoli.