L’UDIPalermo e la BCRS-Biblioteca Centrale Regione Siciliana, venerdì p.v. a Palermo (ore 17.00), presentano il volume di Nadia Fusini “Un anno con Virginia Woolf” (Neri Pozza). All’incontro, moderato da Daniela Dioguardi, oltre all’autrice interverranno Alessandra Bocchetti e Maria Concetta Sala. Quest’ultima, che ringraziamo, ha scritto per la nostra Agenzia la recensione che segue
« La vita di Virginia Woolf è un calendario perfettamente ritmato di ore diverse, ognuna assoggettata a una differente scrittura: il romanzo, il diario, la lettera, il saggio, la recensione, la biografia, la parodia… » — così Nadia Fusini restituisce la pulsione verbale di una scrittrice superbamente dotata del dono « della realtà delle parole » in uno dei due volumi dei Meridiani che ne raccolgono la produzione. E alla fedele traduttrice e appassionata lettrice della sua opera, nonché autrice della più bella biografia a lei dedicata Possiedo la mia anima. Il segreto di Virginia Woolf, dobbiamo il libro che può risvegliare il desiderio di tornare a leggere i suoi scritti o suscitare il desiderio di leggerli. Si tratta di Un anno con Virginia Woolf (Neri Pozza, 2021), una raccolta di brani — leggiamo nella «Introduzione »—, un ordito di citazioni concepito al modo di « una liturgia dei giorni scanditi come nei Libri d’Ore del passato», una sorta di breviario con il quale mettersi in ascolto della voce di una scrittrice che « della vita conosce il bene e il male, e intorno al bene e al male ha meditato ».
Una volta posto questo libro sul comodino, se ne può in effetti leggere una pagina al giorno, attenendosi dunque all’ideazione di chi lo ha realizzato; così ho fatto io all’inizio per alcuni mesi, ma poi devo confessare che l’ho letto tutto d’un fiato avvinta dalla trama implicita disegnata dalle pagine tratte dalle opere di Virginia Woolf e dal susseguirsi delle stringate premesse apposte da Nadia Fusini. Ed è stato un vero e proprio godimento abbandonarsi al fluire di una scrittura che «è senz’altro, oltre che una pratica, un esercizio attivo di pensiero sulla vita, nell’esistenza di Virginia » (p. 126), e al contempo «esercizio della sensibilità — una facoltà conoscitiva e poetica, che Kant prima di lei lega in modo assolutamente indissolubile all’arte » (p. 264). Perché per Virginia è la vita che conta, è l’esistenza ad essere « di per sé un miracolo » (p. 211) da accogliere e custodire con amore, pur nella consapevolezza delle difficoltà, delle afflizioni, delle miserie che la vita impone, come è possibile avvertire nella figura della signora Ramsay nel romanzo Al faro:
«Lei semplicemente pensava alla vita — e una minuscola striscia di tempo le si presentò davanti agli occhi: i suoi cinquant’anni. Eccola lì, davanti a lei — la vita. La vita, pensò; ma non terminò quel pensiero. Aveva la percezione precisa che la vita fosse lì, di fronte a lei, una cosa reale, sua privata, che non divideva né col marito né coi figli; esisteva tra loro una specie di transizione, in cui da una parte c’era lei, dall’altra la vita, da cui lei, per com’era fatta, cercava sempre di ricavare il meglio, e talvolta venivano a patti (quando stava da sola, seduta), e allora, si rammentò, avvenivano grandi scene di riconciliazione. Ma per lo più, stranamente, doveva riconoscere che quello che chiamava ‘vita’ era una cosa terribile, ostile, pronta a saltarti addosso, appena le si dava l’occasione. C’erano i problemi eterni: il dolore, la morte, la miseria. Anche qui sull’isola — una donna moriva di cancro. Ma a tutti i suoi figli diceva, dovete farcela. L’aveva detto senza posa a tutti e otto (e intanto, ci sarebbero volute cinquanta sterline per riparare la serra). Ma proprio perché sapeva tutto quello che li aspettava — l’amore, l’ambizione, una solitudine tremenda in luoghi desolati — spesso le veniva di pensare, perché mai devono crescere e perdere tutto quello che hanno ora? Allora, impugnando la spada contro la vita, si diceva, sciocchezze, saranno felici » (p. 251).
Certo, tutto dipende da « una cosa vaga e misteriosa, che chiamiamo ‘atteggiamento verso la vita’ » e fa bene Nadia Fusini a riportare un brano tratto dal saggio Lo stretto ponte dell’arte, dove Woolf rende chiarissima la distinzione tra quelli che si lamentano sempre, quelli che non s’interessano a nulla se non alle proprie malattie o alle cronache del mondo e quelli che vedono le cose « da tutti i lati, bene in proporzione; e prendono le cose dal lato giusto, e quando mettono mano a qualcosa, fanno presa » (p. 181). L’atteggiamento verso la vita di Virginia Woolf si radica nell’alveo del suo vissuto, in quelle prime impressioni « di un colore giallo chiaro, argento e verde » che lei stessa, sollecitata dalla sorella, la pittrice Vanessa Bell, annota nello scritto Uno schizzo del passato, dal quale Nadia Fusini trae la lunga citazione posta a inizio del volume e di anno. Una pagina fitta fitta nella quale colori, luci, suoni di elementi concreti – le onde, la tenda, una camicia da notte, la passiflora, i corvi – danno corpo e carne alle impressioni dell’infanzia , là dove si annida quella che la scrittrice descrive come « la sensazione di stare […] dentro un acino d’uva, e di vedere tutto attraverso una pellicola gialla semitrasparente» (p.11).
Nella scrittura di Virginia Woolf confluiscono queste prime impressioni e l’esperienza dello shock , momenti di non-essere o di vera realtà generati dalla fragilità psichica, e nello stesso tempo, come sottolinea ripetutamente e a ragione Nadia Fusini, la « sua propria invincibile passione per l’esistenza », e cioè le amicizie, gli amori come le insofferenze e le avversioni per gli uomini e per le donne, le relazioni umane tutte, le scrittrici antenate e quelle a lei contemporanee, la sorellanza e la differenza tra uomini e donne, i nipoti, le falene e i fiori, i viaggi, l’amore per la città e i suoi giardini, ogni tormento e gioia della quotidianità, la consolazione e la paura, la meraviglia e il terrore, in definitiva la vita nel suo beffardo incantesimo… Chi si avventura nelle pagine di questo libro, in questo calendario di giorni in compagnia di Virginia Woolf potrà non solo attingere « il ritmo senza altro contenuto », che è «il significato che cerchiamo », ma altresì raggiungere le cose al centro, le cose che contano: la vita e la morte nell’altalena degli slanci verso l’alto e delle spinte verso il basso, verso il precipizio. È vero, amore odio pace sono le « tre emozioni » che «tramano il testo della vita umana » (p. 377); forse dall’innervazione di queste emozioni nella sua carne scaturiscono verso la fine dei suoi giorni, nell’estate del 1940, i Pensieri di pace durante un’incursione aerea che Virginia Woolf consegna alla posterità, a noi coscienti o incoscienti di essere ancora una volta sull’orlo dell’abisso del non pensiero:
«I tedeschi sono passati sopra questa casa ieri sera, e la sera prima. Eccoli un’altra volta. È una strana esperienza, stare sdraiati al buio e sentire il ronzio di un calabrone che in qualsiasi momento potrebbe pungerci a morte. È un rumore che interrompe il pensiero freddo e coerente della pace. Eppure è un rumore che dovrebbe costringerci – assai più di inni e preghiere – a pensare alla pace. Poiché se non riusciamo a pensare alla pace e a farla esistere, noi – non solo questo corpo qui, in questo letto, ma milioni di corpi non ancora nati – rimarremo tutti nelle tenebre e sentiremo lo stesso rumore di morte sopra le nostre teste. Pensiamo a quello che si può fare per creare il solo rifugio antiaereo efficace, mentre là sulla collina i cannoni sparano e i riflettori frugano le nuvole, mentre qua e là, a volte vicino, a volte lontano, cade una bomba » (p. 339).