Quando il procuratore Manuel Díaz Galeas e il suo vice Nelson Molina hanno concluso il loro intervento davanti ai giudici della Corte interamericana dei diritti umani, i parenti di Herminio Deras García e i loro rappresentanti si sono guardati increduli. Non potevano credere a ciò che stava accadendo dopo quasi 40 anni di lotta per la verità e la giustizia.
Lo Stato dell’Honduras si stava assumendo la piena responsabilità dell’esecuzione sommaria del dirigente del Partito comunista honduregno, maestro e consulente sindacale Herminio Deras, avvenuta nel 1983, e di tutte le violenze subite dai suo famigliari.
Oltre a rammaricarsi profondamente per quanto accaduto, lo Stato esprimeva pubblicamente le proprie scuse per i danni causati “nell’ambito dell’applicazione della disastrosa dottrina della sicurezza nazionale” [1].
Avrebbe inoltre rispettato la sentenza che verrà emessa prossimamente dai giudici internazionali e si assumeva l’impegno di avviare un percorso di riparazione integrale del danno, di adottare misure riabilitative e di stabilire risarcimenti economici per le vittime.
Lo Stato si riconosceva, infine, responsabile della violazione del diritto alla vita, all’integrità fisica e alla libertà personale, alla tutela giurisdizionale, alla dignità, alla libertà di pensiero, espressione e di associazione.
In tal senso, la Procura generale coordinerà le azioni necessarie per risarcire i danni causati, accogliendo praticamente tutte le richieste presentate dai rappresentanti delle vittime.
Riparare e curare le ferite
Volti contratti e voci spezzate, grida di dolore, di memoria e liberazione, abbracci, stretti, sguardi pieni di dignità che valgono più di mille parole. Tutto ciò gremiva l’aula della Corte interamericana dei diritti umani (IACourtHR), dopo le dichiarazioni dei rappresentanti dello Stato honduregno.
“Apprezziamo molto ciò che ha fatto la delegazione dello Stato, nel riconoscere e accettare pienamente i fatti che abbiamo presentato. Possiamo finalmente dire che sta iniziando il percorso di giustizia riparativa per i parenti di Herminio”, ha detto Bertha Oliva, coordinatrice del Comitato dei famigliari dei detenuti scomparsi in Honduras (Cofadeh).
“Lo Stato – ha continuato – sta dimostrando la volontà politica di cambiare strutturalmente l’approccio alla questione dei diritti umani. Per i parenti di Herminio, sapere che la loro lotta non è stata vana significa entrare in una nuova fase. Questo è molto importante”.
Violenza decennale
Il 29 gennaio 1983, Herminio Deras García fu assassinato da membri del famigerato battaglione 3-16. Negli anni che seguirono, la sua famiglia fu oggetto di persecuzione, arresti illegali, torture, violenze ed esilio.
Durante la loro testimonianza, la moglie Otilia, la sorella Irma e il fratello Luis hanno raccontato le violenze subite e il clima di totale impunità che si viveva in Honduras.
“Nel 1981 i militari fecero irruzione nella nostra casa, distruggendo tutto e arrestando me e mia sorella. Herminio era riuscito a scappare. Ci hanno tenute chiuse per tre giorni, legate e bendate, sdraiate per terra, nel fango, senza mangiare, né bere. Avevo paura per i miei figli di 7 e 10 anni che erano rimasti da soli con i militari. Quando sono potuta tornare a casa li ho trovati che tremavano, erano terrorizzati e stringevano forte i denti. Un trauma che non hanno mai superato.
Quando assassinarono mio marito andammo all’obitorio a chiedere il corpo. Lo trovammo riverso nella parte posteriore di un furgone perché non avevano nemmeno voluto fare gli accertamenti. I soldati ci insultarono e ci dissero di portare via il corpo crivellato. Lo portammo a casa e lo stendemmo sul divano…sono cose che non dimenticherò mai”, racconta Otilia.
Anche Irma e Luis furono arrestati e subirono torture e violenze.
“Herminio ci ha sempre educati alla lotta sociale e sindacale. Solo così avremmo potuto avere un Honduras migliore. Dopo il suo omicidio hanno continuato ad attaccare la famiglia. Ci hanno incarcerati tutti. Poi ci hanno fatti salire su un aereo e ci dicevano che ci avrebbero buttati giù. Siamo rimasti giorni senza acqua, né cibo. Mi hanno torturato e mi hanno fatto cose che hanno segnato la mia vita per sempre…ma di cui non voglio parlare”, ricorda singhiozzando Irma.
– VEDI QUI l’intervista a Irma Deras García sottotitolata in italiano
“Mi sequestrarono nel 1981. Mi picchiarono selvaggiamente, mi torturarono con la ‘capucha’ (soffocamento simulato) e poi con una pioggia di calci e pugni. Mi hanno tenuto in isolamento, senza poter andare in bagno, senza acqua, senza cibo.
Dopo l’assassinio di Herminio la nostra famiglia cominciò a disintegrarsi. Molti dovettero andare in esilio, mio padre non poté sopportare il dolore della morte di mio fratello e si tolse la vita. Mia madre era così traumatizzata che dormiva con i vestiti che Herminio indossava quando fu ucciso”, racconta Luis.
– VEDI QUI l’intervista a Luis Deras García (in spagnolo)
Bertha Oliva spiega che Herminio e la sua famiglia erano obiettivi militari all’interno dell’applicazione della dottrina della sicurezza nazionale in Honduras.
“Herminio è sempre stato dalla parte della classe operaia, impegnato nella lotta sociale. Ecco perché lo hanno ucciso. È stato sempre coerente con i suoi ideali e ha accompagnato i processi libertari delle diverse espressioni sociali e sindacali del Paese. Non hanno mai perdonato né lui, né la sua famiglia per questo”.
La mano assassina è quella del tenente Marco Tulio Regalado Hernández.
Catturato nel 1999 e condannato a 12 anni di carcere, fu rilasciato quattro anni dopo.
Nessun membro della catena di comando è stato accusato. I mandanti non sono mai stati cercati dalla giustizia corrotta e lo Stato dell’Honduras ha sempre negato il suo coinvolgimento e le sue responsabilità.
Nel 2002, i parenti di Herminio Deras hanno presentato una petizione alla Commissione interamericana dei diritti umani (IACHR). Nel 2020, il caso è stato passato alla Corte interamericana.
L’epilogo dello scorso 10 e 11 maggio e la decisione dello Stato di assumersi le sue colpe e di iniziare un percorso di riparazione per le vittime è senza dubbio trascendentale.
“Lo Stato ha riconosciuto le proprie responsabilità per questo crimine atroce. Questa decisione esprime l’intenzione del nuovo governo della presidentessa Xiomara Castro di mantenere un rispetto ferreo dei diritti umani”, ha assicurato il procuratore Díaz Galeas
L’inizio di una nuova fase
Per la coordinatrice del Cofadeh, quanto avvenuto la settimana scorsa non è un punto d’arrivo, bensì l’inizio di una nuova fase nella ricerca di verità e giustizia per le vittime degli anni ’80.
“Si aprono nuovi orizzonti. L’atteggiamento delle nuove autorità ci porta a credere che si possa fare chiarezza sulle tante vittime di quegli anni, comprese le sparizioni forzate, le esecuzioni sommarie e le torture. Continueremo a lavorare, con mente lucida, passo fermo e voce alta, per la vita, la libertà, la memoria”.
Secondo il Cofadeh, almeno 184 dirigenti politici e attivisti sociali sono scomparsi negli anni 80. Altre centinaia sono stati assassinati dall’esercito, polizia e squadroni della morte.
Note
[1] Insieme di politiche promosse dagli Stati Uniti in America Latina tendenti a frenare “l’avanzata del comunismo”, che portavano poi all’arresto, eliminazione e sparizione di chi si opponeva ai regimi imposti da Washington.