Il 4 aprile 2022 è il giorno in cui il mondo apprende con raccapriccio gli scempi delle fosse comuni di Bucha, che non possono non ricordare le analoghe fosse di Katin, nei boschi della Polonia orientale agli inizi della seconda guerra mondiale, confermando l’amara constatazione di Montale: la storia non è magistra di nulla a nessuno mai. Ma il 4 aprile è anche il giorno in cui La7, canale televisivo divenuto rapidamente bellicista e filo-ucraino, trasmette, essendosi aggiudicata l’esclusiva italiana contro Netflix, i primi tre episodi della serie “Servant of the People” che consentì a Zelensky la strepitosa conquista della Presidenza della Repubblica, l’Ucraina appunto. Zelensky, attore comico quarantaquattrenne, è stato al contempo ideatore, protagonista e produttore di questi telefilm, si può quindi affermare che li abbia fortemente voluti; se poi avesse fin dall’inizio l’intenzione di sfruttarli per la futura carriera politica non è dato sapere. Si tratta di 54 puntate, trasmesse a partire dal 2015, che gli fruttarono il 73% dei suffragi alle elezioni presidenziali del 2019, ossia tre anni e mezzo dopo.
Ciò che colpisce in questa vicenda è che la fiction ha determinato la realtà, provocando gli accadimenti narrati sullo schermo: la profezia di Pasolini sullo strapotere dei media, e della televisione in special modo, si è avverata e con una moltiplicazione esponenziale!
Un professore di storia di scuola superiore, gramo e mal pagato, poco stimato sia in famiglia sia da colleghi e allievi, viene ripreso di nascosto con il cellulare da uno studente, mentre si sfoga con un amico a parlar male, in toni vivamente triviali, della corruzione del ceto politico. Il video, postato sui social, ottiene subito migliaia di visualizzazioni e i genitori dei ragazzi dichiarano che voterebbero volentieri l’insegnante come Capo dello Stato. Gli allievi così persuadono il docente a candidarsi e realizzano anche un crowdfunding on line per finanziare la campagna elettorale. Il professorino ingenuo vince spiazzando i suoi avversari piuttosto loschi e immorali, i quali si sforzano di farne un proprio strumento e di manipolarlo, allettandolo con il lusso e i privilegi di casta e approfittando della sua incompetenza nelle faccende burocratiche.
Riuscirà il nostro eroe a restare integro e a trasformare il pessimo andazzo nella gestione della cosa pubblica? Lo sapremo nelle prossime puntate.
Quello che già sappiamo è che il popolo ucraino ha creduto alla finzione e alla buona fede del personaggio inventato da Zelensky e ora l’ex attore comico, che lo impersonava, dirige in chiave nazionalistica e antirussa un Paese aggredito e in guerra, mostrandosi davanti alle telecamere di tutto il mondo in divisa e invocando un’escalation militare continua: non un presidente in giacca e cravatta, quindi, ma un giovane nerboruto con giubbotto antiproiettile.
Questa apparente metamorfosi, a fronte dei telefilm che mostravano un “borghese piccolo piccolo”, del resto, non sorprende, se guardiamo un po’ più attentamente lo stile delle immagini e dello script. Tutto è all’insegna della volgarità: dalla ricchezza sfacciatamente esibita degli oligarchi al potere alle parolacce con cui li assale l’insegnante frustrato (nel chiuso di un’aula e credendo di non avere testimoni – ben inteso! – non certo in una contestazione politica aperta e argomentata); dall’arredamento pacchiano della casuccia di famiglia alla torta vistosa con cui, una volta eletto, lo festeggiano i colleghi rumorosi che prima l’avevano sempre denigrato.
Traspare insomma un populismo che strizza l’occhio ad un ceto medio impoverito e incattivito dal malaffare che ha privatizzato e dissipato le risorse dell’Ucraina, ma non compare alcuna riflessione di ordine nonché politico anche semplicemente etico né il protagonista dimostra uno spessore culturale affidabile. E così dev’essere o l’elettore medio non potrebbe identificarsi in lui e delegargli l’assunzione di responsabilità nell’impegno sociale…
Individualismo, populismo, nazionalismo, sovranismo, ma anche rancore, contro le autorità che esercitano il potere solo per lucro personale e non per il bene della comunità, serpeggiano tra i fotogrammi, mentre fuori, nella realtà, contro un popolo assediato si scatenano gli orrori di un altro populismo e di un altro sovranismo speculare e la democrazia soccombe ovunque nell’incapacità, o meglio nell’assenza di volontà, di una mediazione dialettica del conflitto.