La confusione tra le decisioni di un paese e quelle del suo popolo è errore di molti. Come nemmeno é chiara a tutti la differenza fra una decisione, una posizione, un pensiero, un’azione di una persona e la sua integralità. Una persona che ha commesso un reato in una certa situazione e momento storico si converte cosí in un delinquente vita natural durante. Così come si arriva facilmente a confondere la scelta di un paese di entrare in guerra, con l’odio verso il popolo che abita quei territori. La confusione tra un ruolo istituzionale, politico o lavorativo e la persona é qualcosa che la nostra generazione é chiamata a recuperare, in favore della democrazia, della convivenza fraterna, della professionalità.

Nella società moderna sembrano essere tutti pronti a reclamare i propri diritti, frutto di una consapevolezza e di processi difficili che portano alla liberazione da inutili o vecchie sovrastrutture, quando queste non rispettano l’individualità. Tuttavia, quante di queste persone si chiedono quali sono i propri doveri nei confronti della società, nei confronti dell’Altro? Il primo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo é molto poco conosciuto nella sua integralità; un’integralità che è l’unica capace di garantire il vero rispetto delle persone: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. A volte, la ragione e la coscienza sembrano addormentate, quando si leggono o si ascoltano commenti che inneggiano all’odio verso una persona o un gruppo.

La situazione attuale che tende alla polarizzazione della cittadinanza è un chiaro sintomo di una società malata, figlia del consumismo, dell’ignoranza di decenni senza scuole civiche e con carenti esperienze di comunità. Facciamo tanti viaggi low-cost e a vent’anni abbiamo già visto mezzo mondo, ma facciamo fatica a distinguere le persone dalle situazioni. Ma a chi conviene che la cittadinanza veda tutto in bianco e nero e perda di vista le persone, con le loro storie, che stanno dietro ai fatti? É evidente che i poteri stanno raccogliendo ciò che hanno seminato negli ultimi quarant’anni e cioè un intontimento della popolazione che è sempre più colta e con sempre meno vita vissuta, relazioni spese, impegni reali per la società. Allora si crede alla TV e ai post senza verificare l’attendibilità delle notizie; si delega l’agenda informativa a chi ha interessi diversi da quello di far crescere una società informata e protagonista.

Non sorprende che in mezzo alla guerra tra Russia e Ucraina (in cui l’Europa non vuole entrare, ma vuole continuare a mantenere la sua vendita di armi e i suoi ingressi in gas, svegliandosi tardi sull’autosufficienza energetica promossa solo in funzione del business) appaiano influencers russe che tagliano le borse di Chanel dopo la adozione da parte della casa stilistica delle misure di embargo europee contro la Russia. E, viceversa, appaiono commenti contro la popolazione russa incapaci di esprimere una presa di posizione reale contro la guerra, ma che si limitano a offendere e accusare i cittadini. D’altronde, all’inizio della pandemia, qualche segnale lo avevamo già visto quando turisti ucraini provenienti da Wuhan avevano fatto rientro al loro paese e, trasportati con un autobus governativo verso il luogo di quarantena, erano stati presi a sassate dai loro stessi connazionali[1]. Siamo a un livello di incapacità di distinguere il male dal malato e di brutalità enorme, ormai in molte parti del mondo.

Scuole di pace, incontri, fare assieme, diversità  portata a scuola e resa visibile al lavoro, gestione collettiva, giornalismo costruttivo si convertono allora in un’arma di rinnovamento di massa. Esercitarsi alla pace è accettare il conflitto presente quando due persone la pensano diversamente e cercare insieme una soluzione di convivenza pacifica, accettabile per entrambe le parti. Esercitarsi alla pace non è buonismo indifferente, fintanto che non si toccano gli interessi di uno o dell’altro. Oggi la pace si costruisce chiedendo aiuto al vicino di casa, facendo un sorriso a chi non ci sta proprio simpatico, parlando con le persone per strada, per il solo fatto di essere umani e per questo tutti fratelli o, quantomeno, uniti come specie per cercare di andare avanti in modo sostenibile. Almeno questo il coronavirus dovrebbe avercelo insegnato.

Risuonano a distanza di 11 anni dalla sua scomparsa, le parole di Vittorio Arrigoni: “Restiamo umani!”

[1]  https://www.telam.com.ar/notas/202002/434661-la-ministra-de-salud-de-ucrania-esta-conviviendo-con-los-8-argentinos-y-otros-evacuados.html