Con la guerra non può esserci pace.
Accogliere è giusto e si può fare.
Il ritorno incomprensibile e inaccettabile della guerra in Europa, l’accoglienza e la solidarietà straordinarie offerte ai cittadini ucraini in fuga ci ricordano innanzitutto questo. Ma ci raccontano anche molto altro.
Con la guerra proliferano anche la xenofobia e il razzismo. Prendono ossigeno i peggiori nazionalismi. Nascono distinzioni che sfociano in nuove forme di discriminazione.
In questo dossier cerchiamo di raccontarle, sapendo di correre un rischio insidioso. Quello di riproporre, senza volerlo, quella tendenza alla polarizzazione che da molto tempo (ben prima della diffusione del Covid 19 e dell’aggressione russa all’Ucraina) denunciamo come un paradigma strutturale e patologico del discorso pubblico.
Non è nostra intenzione assecondare una logica binaria che contrappone i diritti dei profughi ucraini a quelli dei profughi, dei richiedenti asilo e dei rifugiati provenienti da altre aree del mondo. Al contrario, ciò che sta avvenendo oggi ci induce a chiedere che l’accoglienza, la solidarietà, la pietas umana rivolte ai profughi ucraini da parte delle istituzioni, dei media e dell’opinione pubblica occidentali siano estese a tutte le persone bisognose di protezione, indipendentemente dalla loro origine nazionale.
D’altra parte, è indubbio e incontestabile il trattamento diverso che le istituzioni dell’Unione Europea e nazionali hanno riservato ai profughi ucraini rispetto ai profughi provenienti da altre aree di conflitto. Raccontarlo ci sembra non solo giusto, ma eticamente indispensabile.
L’attenzione mediatica dedicata alla guerra in Ucraina è eccezionale. Non accade lo stesso con i conflitti che affliggono molti altri paesi del mondo. E nel racconto di questa guerra affiorano pregiudizi e stereotipi che strutturano un radicato eurocentrismo bianco.
La solidarietà unanime del mondo politico con i profughi ucraini lascia trapelare furbe e opportunistiche distinzioni tra “profughi veri” e “profughi falsi”.
Persino il mondo della cultura e dello sport si sono piegati alla logica binaria dello scontro con il nemico con ostracismi incomprensibili nei confronti di scrittori, artisti e atleti russi.
Di tutto questo parliamo nel dossier.
E’ infatti difficile spiegare a uno studente nigeriano in fuga dall’Ucraina perché è stato fatto scendere da un treno diretto in Polonia.
E’ difficile spiegare a un profugo siriano o a una donna afghana perché la loro tragica sofferenza non incontra la stessa attenzione di quella, terribile e ingiustificabile, cui sono sottoposti i milioni di donne e bambini ucraini che stanno per fortuna incontrando un’accoglienza mai vista prima in molti paesi dell’Occidente.
E’ impossibile spiegare a un richiedente asilo sudanese perché per lui e per i suoi concittadini non è possibile raggiungere l’Europa senza rischiare la propria vita nel deserto e nei viaggi della morte nel nostro Mar Mediterraneo.
Così come è complicato distinguere i volontari delle Ong impegnate nelle missioni Sar nel Mediterraneo, stigmatizzati con disprezzo come “taxi del mare” da quei volontari polacchi che, in soccorso ai profughi ucraini, sono invece definiti “taxi della speranza”.
Per aver osato nel 2016 comprare dei biglietti di autobus da Roma a Ventimiglia per nove migranti provenienti dal Sudan e dal Ciad (sgomberati in modo violento pochi giorni prima da uno dei numerosi sgomberi subiti dall’associazione) tre volontari dell’associazione Baobab Experience di Roma sono accusati invece di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Il 3 maggio ci sarà l’udienza del processo. E agli amici di Baobab Experience va tutta la nostra solidarietà.
Queste scelte e questi trattamenti differenziati e selettivi, che sembrano subordinare la garanzia dei diritti umani fondamentali e del diritto di asilo alle logiche di potere e agli interessi economici e geopolitici, restano per noi incomprensibili.
Denunciarne l’ingiustizia è l’obiettivo del nostro dossier.
Buona lettura.