Come immaginavamo, il nuovo governo cileno non ha avuto un secondo di tregua. Non ha potuto godere nemmeno di una settimana della presunta “luna di miele” di cui godono i nuovi leader. Piuttosto, Boric e la sua squadra sono stati gettati su un ring imprevisto, dove ricevono colpi su colpi. Questi colpi arrivano sia dal fuoco nemico, che dal fuoco amico, se non addirittura dal fuoco neutrale. Colpi che arrivano da destra e sinistra, senza pietà. Lo spettacolo è doloroso e oltraggioso e fa domandare cosa cercano i detrattori: dare fuoco alla pianura solo per il piacere di vedere il fuoco che brucia tutto? Come Nerone che guarda Roma?
C’è un’irrazionalità che va oltre la comprensione. Il risveglio popolare del 2019 ha portato ad un rovesciamento dello scenario politico in vigore fino ad allora e il Cile ha raggiunto trionfi impensabili prima di quella rivolta. Senza andare oltre, il travolgente trionfo di Boric e l’installazione di una Convenzione Costituzionale non hanno precedenti nella storia del Cile.
Tuttavia, quello che stiamo vedendo è drammatico e sorprendente. È iniziato tutto con i rappresentanti del popolo mapuche che ricevono con spari una ministra dell’interno che, nel suo primo giorno di mandato, stava per avviare il dialogo di cui c’è tanto bisogno. Sarà pur vero che la storia dell’espropriazione di questi indigeni è stata orrenda e spietata e che non hanno mai avuto giustizia, ma ciò non toglie la possibilità di ricevere un ministro e stabilire una tregua. Il problema è che in Cile ci sono litigi ancestrali, perfettamente comprensibili ma che, se rimangono congelati e immutabili, impediranno il cambiamento.
A ciò si aggiungono i problemi con gli studenti, che stanno giustamente manifestando per un aumento della loro indennità alimentare, che da quasi venti anni è di 1.600 pesos al giorno (ca. € 1,80, N.d.R.). È irrazionale pensare che un giovane possa nutrirsi con quella cifra per un giorno intero. Ed è ancora più irrazionale il fatto che alcuni giovani delle classi superiori gestiscono ogni giorno cifre 20 volte superiori a quella, senza tener conto (perché questa è una voce separata) del pagamento del lavoro fatto per loro da professionisti che hanno bisogno di soldi. È così che molti di questi giovani benestanti si laureano oggi! La rabbia degli studenti che rivendicano un aumento dell’indennità alimentare è tale che a volte sfugge di mano e finiscono per mescolarsi con i delinquenti, aggredendo chiunque incroci il loro cammino. E’ successo a fine marzo, con il risultato che uno studente è stato colpito e ferito da un vigile urbano che ha estratto la sua pistola senza considerare eventuali conseguenza per la troppa paura.
Gli altri piantagrane sono quelli che non hanno cambiato le loro abitudini nefaste con l’inizio del governo Boric. Sono i gruppi di vandali che ogni venerdì devastano Plaza Italia e il quartiere Lastarria. Continuano a danneggiare gli abitanti della zona, ossessionati dall’ex Fuente Alemana (un famoso bar di Santiago, N.d.R.), a cui hanno dato fuoco venerdì 25 marzo, con i suoi lavoratori all’interno. Portano avanti una protesta di cui non si conosce più la motivazione e sembrano decisi a continuare il loro pericoloso gioco, a spese dei proprietari delle piccole imprese della zona – che solo recentemente hanno potuto riaprire – e dei clienti che non possono più uscire in pace e tranquillità. Nessuno sa spiegare perché non si è in grado di identificare, arrestare e punire coloro che commettono questi atti vandalici ogni venerdì. Sembra che, per loro, i governi Boric e Piñera siano la stessa cosa. O che simboleggiano la stessa cosa. Ma che cosa? Non lo sappiamo.
Tra i guai di Boric ci sono anche i migliaia di immigrati arrivati negli ultimi anni, nel mezzo di una fragorosa mancanza di politiche d’immigrazione, e che stanno svolgendo quei lavori in cui non sono necessari documenti, come fare le consegne (rendendo la capitale cilena un pericoloso caos di moto e motociclisti che guidano come facevano nella loro patria). E con questa scusa dell’esilio economico, molti criminali si sono intrufolati, rapinando, sequestrando, tirando fuori le loro pistole all’istante e spacciando droga a valanghe. Il nuovo governo sta affrontando sia il bene che il male. Perché è chiaro che se espelle i criminali, accadranno almeno due cose: i giusti pagheranno per i peccatori, o ci saranno rientri dei peccatori attraverso le nostre porose frontiere del nord, come nel caso del venezuelano che ha sparato alla figlia di Cristian de la Fuente. In altre parole, Boric eredita un paese dove oggi non solo si ruba ma si uccide quotidianamente.
E poi c’è l’amara pillola da ingoiare con i compagni del patto politico, che criticano quotidianamente i loro colleghi del governo. I dardi vanno e vengono dai sindaci e dai deputati che hanno accompagnato il presidente nella sua vita politica e nella sua campagna. E da parte di noti dissidenti c’è anche un numero crescente di “piccole bombe” al ministro delle Finanze e a qualsiasi Fronte Ampio che gli venga messo davanti.
Non è facile così, e non stiamo ancora parlando della parte peggiore: il fuoco nemico. La destra, in uno stato di grave incontinenza verbale e comportamentale, vocifera, squalifica, minaccia, inventa, distorce, ingigantisce in modo totalmente irresponsabile e con assoluta sfacciataggine. Attiva pericolosamente una campagna per rifiutare il plebiscito d’uscita e qualsiasi norma progressista proposta nella Convenzione Costituzionale. Per esempio, ancora una volta, ci troviamo di fronte a un assalto anti-aborto, nel classico quadro della destra alleata con la Chiesa cattolica. O quello dei senatori – di qualsiasi schieramento – che sono terrorizzati di perdere il loro lavoro e sparano contro i cambiamenti proposti per il nuovo parlamento.
Le autorità di governo hanno anche dovuto affrontare un attacco della peggior specie, lasciando prevedere la campagna di terrore che la destra scatenerà per chiedere un voto di “rifiuto” (in occasione del referendum per ratificare la nuova costituzione, N.d.R.). Gli attacchi alla ministra Siches sono un esempio della virulenza che prevale.
E in mezzo a questa atmosfera piuttosto convulsa, deve governare una squadra giovane e ben intenzionata, il cui leader Boric è l’opposto degli astuti e ridicoli personaggi che dominavano la vecchia politica. Non è che non sia un animale politico – Boric lo è e come tale dice di essere “calmo ma non fiducioso”, il che dimostra che sa dove si trova – ma lui e soprattutto la sua cerchia ristretta hanno una visione diversa e vorrebbero stabilire un nuovo modo di governare.
Secondo i loro nemici essi sono ingenui, impreparati e inesperti, ma questo non è vero. Sono molto preparati e con la testa dura. Basta guardare in cosa si è cacciata Izkia Siches nonostante abbia un bambino piccolo che deve ancora allattare. Il punto è che credono davvero nell’arte di governare e vogliono applicare un nuovo modo di affrontare i problemi, mentre quello vecchio è ancora troppo radicato nella cultura cilena.
Boric vuole affrontare i vecchi problemi senza repressione, con la politica. E sembra che le sue controparti percepiscano questo come una debolezza, forse a causa di quella cultura ancestrale di aver bisogno di un padre che ti tratti duramente.
Boric vuole dialogare, parlare, negoziare per risolvere i conflitti, ma nella sua seconda settimana in carica viene travolto dalla politica estera, come la Bolivia la scorsa settimana. Tuttavia, è convinto che questa sia la strada giusta da percorrere. Forse deve accettare che i cambiamenti culturali sono più lenti di quanto si vorrebbe. È difficile per lui, nonostante lo sappia. L’ha detto molte volte, e l’ha detto nel suo discorso inaugurale: “Andiamo piano perché andiamo lontano”.
Il problema è che il nostro nuovo presidente vive in un paese imprigionato da vecchie abitudini, con media conservatori e spesso reazionari, che vogliono imporre la loro ideologia ad ogni costo; un paese dove regna ancora una Chiesa cattolica profondamente potente, un paese con una classe media volatile nelle sue motivazioni e credenze, ancora molto permeabile alle linee guida del modello economico, che continua a dirle che è meglio avere che essere.
In breve, Boric ha iniziato il suo mandato governando a fianco di un popolo che si muove tra la stanchezza totale e la disperazione appresa, che vuole cambiamenti significativi ma trova difficile credere che si realizzino nonostante abbiano un presidente per il quale hanno votato con entusiasmo. Un popolo il cui appetito è stato stuzzicato ma che è colpito quotidianamente dalla crudezza e dalle forme della politica e dalle sue vicissitudini. Come i vicini di casa di Boric nel quartiere di Yungay, che gli chiedono in televisione di non dimenticarsi di loro, che vorrebbero anche loro vivere in mezzo alla speranza e alla libertà, perché abitano in quella elegante casa di Calle Huérfanos.
Non è facile per il presidente. Per fortuna, è convinto di ciò in cui crede, ha la forza della ragione, la passione della gioventù, l’energia dell’amore, la mancanza di paura di sbagliare, il candore e l’abbaglio del nuovo, la libertà di cambiare rotta senza complessi, la potente energia dell’umiltà. Insomma, il dono di essere diversi, credibili e di non credere alle favole.
Di Patricia Politzer, giornalista e attuale membro della Commissione costituzionale cilena.
Traduzione dallo spagnolo di Giuseppe Marchiello. Revisione di Thomas Schmid.