Un riparo da vento e pioggia tra una consegna e l’altra, un rifugio dalle molestie. “Casa Riders” aprirà ufficialmente le porte entro un mese e verrà in aiuto a tanti riders che avranno finalmente a disposizione un luogo accogliente e sicuro dove fermarsi. Un’operazione importante, che andrebbe replicata ovunque.
La Spezia – Un luogo dove ricaricare il telefono, riposarsi, andare in bagno o semplicemente ripararsi dalle intemperie. Una casa che diventerà un punto di ritrovo per tanti ragazzi e ragazze che lavorano per strada notte e giorno. Si troverà in via Padre Giuliani a La Spezia e sarà aperta a tutti i riders che hanno bisogno di una pausa al coperto. Il progetto, portato avanti insieme ai sindacati CGIL, CISL e UIL, è arrivato da un’esplicita esigenza di settanta rider spezzini.
L’IDEA
«Tutto è nato dallo sciopero del marzo 2021 per la contrattualizzazione dei riders – spiega Fabio Quaretti di CGIL La Spezia – i quali, a partire da quel momento sono stati riconosciuti come lavoratori dipendenti di Just Eat e hanno ottenuto il contratto per la distribuzione delle merci e della logistica».
Il punto è che le città non sono predisposte per accogliere questi “nuovi” lavoratori. «Certo – continua Quaretti – non è il fattorino la grande novità del millennio; lo è invece il datore di lavoro: i ragazzi non lavorano più direttamente per i ristoranti e le pizzerie come prima, ma per delle piattaforme». Si trovano quindi a improvvisarsi in mezzo alla strada in città che non sono pronte a ospitare quest’attività.
«Alcuni riders si ritrovano a litigare per il parcheggio, a non avere un punto dove ricaricare il telefono, ormai uno strumento di lavoro a tutti gli effetti, o a non sapere dove andare in bagno. Abbiamo quindi pensato a un luogo dove garantire un minimo di comfort ai lavoratori, con un occhio di riguardo anche alle ragazze, che lavorando in strada giorno e notte, sono esposte».
LA REALIZZAZIONE
«Da quando abbiamo iniziato a lavorarci, l’amministrazione di La Spezia è stata subito molto ricettiva. All’inizio pensavamo di dover ricorrere a un container attrezzato, ma poi abbiamo trovato una soluzione». Alcuni locali di via Padre Giuliani verranno riprogettati secondo le esigenze dei riders. «Di tutto l’allestimento ci occuperemo noi come CGIL insieme a CISL e UIL. Serviranno stipetti per le mantelline, ma anche un punto di ricarica per le biciclette elettriche e tutto ciò che i lavoratori che verranno a visitare i locali ci segnaleranno».
Di fatto si consegna di cibo a domicilio senza un minimo di welfare per il lavoratore.
Un ultimo tassello è far spostare lo starting point del player più importante del settore, che copre il 70% dei riders: Just Eat. Lo starting point è una sorta di tornello virtuale, il luogo dove si “timbrano” l’entrata e l’uscita. «Averlo distante dal luogo di lavoro è un problema. Quello che vogliamo adesso è che l’applicazione riconosca Casa Riders come starting point, dove si possa registrare l’accesso. A partire da quel momento i ragazzi possono aspettare gli ordini al caldo d’inverno e al fresco d’estate».
LA TESTIMONIANZA
Della situazione dei lavoratori per queste nuove piattaforme ho parlato con Pierpaolo Ritrovati, un ventiquattrenne spezzino che di giorno insegna flauto traverso e di sera lavora come rider. «Ho iniziato nel 2021», racconta. «Lavoro per una cooperativa sociale spezzina, BeQuadro, che regala musica a bambini provenienti da case famiglia o che vivono in quartieri difficili».
«Quando, per via delle restrizioni, ho cercato un lavoro flessibile, sono arrivato a fare il rider». Prima Pierpaolo lavorava per un’altra piattaforma e Just Eat pagava ancora i fattorini “a cottimo”. Dopo che sono stati formalizzati i contratti, Pierpaolo è passato a Just Eat e adesso ha ripreso anche a fare l’insegnante.
Gli chiedo allora com’è fare il rider. «È un lavoro in serie, la fase moderna della catena di montaggio: un lavoro semplice, non serve una competenza specifica, è accessibile a tutti ed è un impiego stabile». Il punto qual è? «L’azienda non si è strutturata per comprendere quello che abbiamo fatto, i rapporti con i sindacati, l’amministrazione e le organizzazioni. In realtà, essendoci un algoritmo a valutare in base ad andamenti, consegne e tempistiche, la catena di comando aziendale è evanescente. Per questo non sappiamo a chi rivolgerci»
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Ora, mi spiega Pierpaolo, non resta che spostare lo starting point alla Casa Riders. «Ci sono due aree in cui siamo tenuti a presentarci: una in piazza Beverini, a ridosso di un parcheggio, piuttosto scomoda; un’altra in piazza Kennedy, un luogo isolato, dove di sera dalle 23 non passa nessuno e sono stati registrati diversi casi di molestie, nei confronti sia di uomini che di donne».
Quello di cui hanno bisogno i rider è un riparo dalle intemperie e un luogo sicuro, con prese di ricarica per il cellulare, internet e servizi igienici. «Quello che dovrebbe garantire un’azienda e che però non fa». Cosa occorre, quindi? «Ci vogliono tavoli perenni tra amministrazione, azienda e sindacati per migliorare le condizioni dei lavoratori. Le aziende della gig economy hanno sperimentato un modello standardizzato per abbattere i costi il più possibile, ma di fatto si consegna di cibo a domicilio senza un minimo di welfare per il lavoratore».
A La Spezia Casa Riders diventerà un luogo di riferimento per i ciclofattorini, caldo e al coperto, ma anche un punto di aggregazione di solidarietà per tutti i lavoratori e le lavoratrici.