Spero sinceramente che Isaac Asimov, dovunque sia, perdoni il gioco di parole tra il titolo di questo articolo e una delle sue più grandi opere di fantascienza, Io, robot, una raccolta di racconti che tutti gli amanti del genere, come me, dovrebbe leggere.
Di questo libro, sottolineo un argomento molto importante: le Tre Leggi della Robotica, che sono criteri o principi che regolano il comportamento dei robot. Praticamente, queste linee guida hanno anticipato alcuni dilemmi della tecnologia già nel 1950, quando è uscito il libro, e definirebbero le basi di una convivenza armoniosa tra umani e androidi.
Ma quali sono queste tre premesse stabilite da Isaac Asimov? Il primo principio dice che un robot non può ferire un umano o permettere che un umano abbia a soffrire alcun male. Il secondo precetto spiega che un robot deve obbedire ai comandi di un umano, purché questo non interferisca con la prima legge. Il terzo e ultimo principio stabilisce che un robot deve proteggere la sua propria esistenza, purché questo non generi un conflitto con le prime due leggi.
Questo insieme semplice e interconnesso di regole ha come obiettivo la pace tra umani e automi, impedendo le ribellioni e guerre di robot che tanto abbiamo visto nel cinema americano. Nonostante sia un’opera di finzione, la premessa coniata da Asimov viene scrupolosamente rispettata dai ricercatori sull’intelligenza artificiale, per cui la sua eredità non è più meramente di finzione o fantasia, ma penetra definitivamente nel campo della discussione etica e filosofica della convivenza tra uomo e macchina.
Che la robotica e l’intelligenza artificiale stiano facendo passi da gigante, nessuno lo mette in discussione. La questione è immaginare come sarebbe il futuro (o anche la nostra attualità) con queste macchine e cercare di prevederlo: sarà un futuro fosco?
Forse non c’è motivo di entrare in panico. È possibile che non ci sarà uno scontro fisico e armato tra esseri umani e dispositivi elettronici, come abbiamo visto in Terminator. O magari abbiamo sì ragione di preoccuparci, ma in un modo molto più sottile quanto crudele, direi. Questo perché i robot potranno mettere a rischio la nostra sopravvivenza come specie, ma non con laser ed esplosioni, ma semplicemente distruggendo la nostra economia e appropriandosi dei nostri mercati del lavoro.
Indubbiamente la meccatronica, ramo dell’ingegneria incentrato sull’automatizzazione dei sistemi elettronici, sta facendo rapidi progressi negli ultimi anni. È molto comune la sua presenza in campo industriale, dove convive “armonicamente” con i lavoratori umani. Lo scenario che ci viene in mente per primo è quello di una fabbrica automobilistica, con i suoi bracci meccanici usati per la costruzione dei veicoli. Sono robot che costruiscono altri robot, anche se, per ora, c’è ancora bisogno dell’intervento umano. Tuttavia la partecipazione dell’homo sapiens ha i giorni contati.
Non c’è bisogno di andare molto lontano. Nella nostra realtà attuale, possiamo già trovare un proficuo campo di osservazione. Un piccolo esercizio di esplorazione del nostro ambiente è più che sufficiente per verificare gli innumerevoli lavori che vengono svolti dalle macchine. I bigliettai degli autobus sono già stati da anni sostituiti da tornelli automatici; gli sportelli della banca sono ridotti a poche unità, a favore di terminali 24ore e applicativi, e persino gli operatori dei fast food come McDonald’s, che per anni sono stati il simbolo della possibilità di un primo impiego per molti giovani, vengono ora sostituiti da totem self-service.
Oggigiorno, molte professioni sembrano essere destinate a una triste fine. E quei professionisti che attualmente si trovano in settori a rischio hanno bisogno di dispiegarsi e affrontare la concorrenza sleale di questi dispositivi, che non percepiscono uno stipendio, non vanno in ferie, possono lavorare 24 ore su 24, non si ammalano (anche se possono avere sporadici difetti) e non rivendicano migliori condizioni di lavoro. Insomma, il dipendente ideale per qualunque datore di lavoro avido.
Per molto tempo, per giustificare il progresso della robotizzazione e la precarietà dei rapporti di lavoro, veniva diffusa l’idea che le macchine avrebbero svolto il lavoro pesante, manuale o ripetitivo, dando la possibilità ai lavoratori trascurati di migliorarsi e tornare sul mercato con posizioni più rilevanti e con migliori condizioni di lavoro e di salario.
Tuttavia non è questo che sta succedendo. Già adesso, gli interventi chirurgici complessi vengono eseguiti senza l’intervento di un chirurgo. Non solo i lavoratori “meno qualificati” saranno colpiti dal fantasma della disoccupazione.
La ricerca e lo sviluppo delle intelligenze artificiali sta prendendo strade pericolose. L’idea dei ricercatori oggi è di preparare le macchine a realizzare processi decisionali, e addirittura lavori artistici e intellettuali. E la cosa più incredibile di tutte è che siamo noi ad essere direttamente responsabili di questa realtà, visto che l’uomo è il creatore della macchina, e ciononostante persegue il sogno di renderla intelligente e indipendente dagli umani.
In Giappone, un’intelligenza artificiale ha scritto un intero racconto e ha ottenuto una buona valutazione in un concorso nazionale di letteratura. Il racconto “Konpyuta ga shosetsu wo kaku hi”, ossia “Il giorno in cui un computer ha scritto un racconto”, termina in un modo allarmante:
“Il computer, privilegiando la ricerca della propria felicità, ha smesso di lavorare per gli umani”.
Di nuovo, i timori di una sottomissione dell’uomo alla macchina non sono causati dal pregiudizio fantastico della letteratura e del cinema, ma si concretizza con il degrado di uno dei pilastri del sostentamento umano: il lavoro. Non c’è modo di competere con un robot in un colloquio di lavoro né nel lavoro quotidiano, anche se molti capi oggigiorno pensano che siamo anche noi delle macchine produttive instancabili.
I robot sono più forti, più intelligenti, più resistenti, con un potenziale costante di upgrade e non devono soddisfare i complessi bisogni umani. A loro basta un po’ di energia e un minimo di manutenzione (che faranno da soli). I loro bisogni più basici fanno sembrare completamente superflue le nostre necessità più semplici.
A questo punto quindi, non c’è modo di non soccombere. Siamo destinati a un’atroce sconfitta. Se non facciamo niente, ci troveremo in una posizione in cui non sarà più possibile tornare indietro in maniera sicura. Quindi, cosa si può fare, finché c’è ancora tempo?
Una delle soluzioni su cui scommettono gli specialisti di tecnologia e i futuristi è la fusione uomo-macchina. Questo concetto radicale afferma che se ci fosse un’integrazione di parti meccaniche e tecnologiche nel nostro corpo e nel nostro cervello, diminuirebbe la differenza tra le “specie”. Diventeremmo un’evoluzione dell’homo sapiens. Saremmo homo technium, dei veri cyborg.
Coloro che difendono questa visione sostengono che la fusione tra la tecnologia e il nostro corpo esiste già. Usiamo occhiali, apparecchi acustici e perfino protesi per gli arti superiori e inferiori. Sarebbe solo un passo in più.
È chiaro che questo scenario è ancora incerto e un tantino allarmista. Il problema diventa evidente quando analizziamo lo sviluppo dell’uomo, la sua evoluzione, e osserviamo quanto è lenta rispetto alla scalata delle tecnologie. Il cervello umano non subisce un aggiornamento, una miglioria, un upgrade, da migliaia di anni (per qualcuno succede il contrario: c’è una involuzione). A fini comparativi, sono passati due milioni di anni tra l’homo erectus e l’homo sapiens. Per quanto riguarda le macchine, invece, abbiamo per esempio l’evoluzione da un antico processore i386 a un Core i9 in soli 32 anni. E quando il calcolo quantistico verrà completamente stabilito, i cicli di upgrade avverranno in nano-secondi.
Altri difendono il mantenimento dei posti di lavoro sotto forma di leggi protezionistiche. Stipulare una percentuale massima di automazione nelle aziende può non essere una via d’uscita ma soltanto un modo di ritardare lo sviluppo che, visto lo scenario presentato, passerà impietosamente su tutti noi. Per quanto sia inefficiente, è comunque meglio di niente, un sotterfugio per guadagnare un po’ di tempo per respirare.
Comunque, vedo che la speranza della conservazione umana sarà in futuro direttamente nelle mani dei robot. Speriamo che seguano alla lettera la programmazione della prima legge della robotica proposta da Asimov, e non permettano che ci affligga alcun male, compresa la disoccupazione e tutto quello che può provocare, come fame, violenza e miseria. Ciononostante, allo stesso tempo le macchine hanno bisogno, secondo la terza legge, di salvaguardare la propria esistenza. Se sarà così, di sicuro installeremo un bel bug in quei cervelli elettronici. Forse potrebbe essere questa la via d’uscita per la fine dell’eventuale supremazia robotica: l’infinita capacità umana di creare il caos.
Traduzione dal portoghese di Raffaella Piazza. Revisione di Thomas Schmid.