Claudio Graziano, ex capo di Stato maggiore dell’Esercito e della Difesa e attualmente alla guida del Comitato militare dell’Unione europea è stato nominato il 20 aprile Presidente di Fincantieri,controllata di Cassa depositi e prestiti che produce navi civili e militari. Graziano è da tempo tra coloro che spingono per la costituzione di un esercito europeo. La nomina, sicuramente non la prima del genere, ha creato una polemica immediatamente rientrata e con poca visibilità sui media.
Dal 2014 langue in parlamento una proposta di legge che «limiti all’assunzione di incarichi presso imprese operanti nel settore della difesa da parte degli ufficiali delle Forze armate che lasciano il servizio con il grado di generale o grado equiparato».
Cosa anima la polemica? L’evidente conflitto di interessi tra apparato militare e industria militare che, in realtà, assomiglia a una evidente collusione tra i due settori, dato che molto spesso generali in pensione si ritrovano con un buon posto in un Consiglio d’Amministrazione come ringraziamento per aver appoggiato le commesse militari di quella o quell’altra industria.
L’italia è al sesto posto nella classifica di paese esportatore di armi secondo i dati forniti dell’indagine “Trends in international arm transfers” condotta dal Sipri (Stockholm international peace research institute), il principale osservatorio mondiale sull’industria della difesa, e pubblicata a metà marzo. L’incremento dell’ultimo quinquennio è stato del 16% e questo ci ha permesso di superare la Gran Bretagna.
Ovviamente l’Italia deve esportare solo armi “difensive” visto che “ripudia la guerra come strumento di risoliuzione delle controversie internazionali”.
Il livello di ipocrisia è al culmine. Generali a capo di industrie belliche, immensi guadagni derivati dalla vendita di armi che “difensive” non sono mai, fino alle ultime risoluzioni ribadite di invio di armi a paesi in guerra e di aumento della spesa militare.
Perché si fa la guerra? Semplicemente perché la guerra è un buon affare. E negli affari vigono le regole degli affari, regole che raramente sono etiche.
Una regola è, ad esempio, molto banale ma poco ricordata: gli stock vanno esauriti, il che nella guerra vuol dire che le armi vanno usate. In Ucraina vari analisti militari hanno notato (con stupore?) che l’esercito russo ha usato nella guerra armi vecchie, ricorrendo raramente ad armi nuove e sofisticate tecnologicamente. Campagna di fine stock, costa meno usarle che lasciarle in magazzino. Se i missili vecchi non sono tanto precisi e invece del dichiarato obiettivo militare prendono un palazzo chi se ne frega, intanto abbiamo svuotato i magazzini. Che armi stiamo mandando per “difendere l’Ucraina”? Non si sa è segreto di stato. Magari anche qui roba vecchia di cui dobbiamo comprare l’a versione nuova. A quando la vendita di armi compri tre e paghi due?
Un altro elemento tipico del commercio è la pubblicità al prodotto: così la guerra diventa un gadget da promuovere con una bella campagna pubblicitaria portata avanti con discreta unanimità da tutti i media nazionali (su questo rimandiamo all’ottimo articolo di Angelo Colella). In questa campagna oltre a creare l’immagine del nemico si creano anche i nemici interni, in questo caso gli odiosi pacifisti e le loro deliranti teorie su altre soluzioni possibili in una feroce campagna di delegittimazione e di oscuramento della semplice verità, constatabile parlando con le persone: la gente non vuole la guerra (su questo è in corso una campagna di consultazione popolare di Europe for Peace che appoggiamo e chiediamo di divulgare al massimo).
Lo ha detto il Papa (e numerosi altri leader spirituali): la guerra è immorale. Di conseguenza va cessata ogni azione militare, vanno chiuse e riconvertite le fabbriche di armi, va sminato il pianeta, vanno ridotti drasticamente i soldi destinati alle spese militari, vanno ristrutturati gli eserciti nella direzione di renderli apparati civili dediti alla protezione civile, alla meteorologia, alla difesa del territorio e ad altre attività utili alla società.
Ma anche questo Papa “pacifista” viene oscurato, tagliato, ritualizzato e quello che appare come un evidente monito da parte di un’autorità spirituale che dovrebbe orientare una parte importante dell’Umanità, tra cui numerosi governanti, diventa un’opinione in mezzo a tante altre. E il monito, con disinvoltura, viene disatteso.
Allora quel che resta da fare è convergere tra le persone, le associazioni, i comitati ecc. per diffondere e rendere evidente quello che da sempre diciamo: la guerra è un disastro ed è uno degli strumenti del profitto, quello stesso che ha distrutto la nostra casa comune, che ha reso infelici centinaia di milioni d esseri umani e che sta portando l’Umanità sul baratro del disastro ecologico. E per mettere in pratica un altro modo possibile, quello dove ogni persona conta, dove contano i beni comuni, dove conta la vera solidarietà.
Questo stiamo facendo tra gente di diverse provenienze nel Festival del Libro Per la Pace e la Nonviolenza che si terrà a Roma dal 2 al 5 giugno e dove contiamo di incontrare molti altri amici che ci accompagnino in questo percorso.