Trova ciò che cerchi, in un posto che non ti saresti mai aspettato.
Molti in questi giorni avranno cercato dove è che si trova il Bhutan, il piccolo regno himalayano che è arrivato ad un passo dall’Oscar con il film Lunana a yak in the classroom. Arrivare alle nomination finali è stato un evento unico, la prima volta che un film bhutanese è riuscito a sbarcare in modo cosi poderoso sugli schermi internazionali. Il regista e produttore del film si è presentato alla notte finale degli oscar indossando il vestito tipico bhutanese, il gho e anche se poi il film non ha vinto i bhutanesi sono stati molto contenti della scelta stilistica di Pawo Choyning Dorji. Lo stesso infatti si è mostrato sorpreso del fatto che il suo sia stato selezionato come uno dei migliori vestiti degli Oscar di quest’anno”Non avrei mai immaginato di vedere il Gho in una lista con le icone della moda”, le sue parole.
Il vestito scelto è una bella rappresentazione della fierezza dell’identità bhutanese, un antico che si mescola nel nuovo e che fuoriesce in ogni scatto del film.
Il film è stato girato con un budget ridotto e con batterie solari, principalmente con attori non professionisti in un remoto villaggio himalayano senza elettricità. Pawo Choyning Dorji ha scritto a seguito della nomination che “l’improbabile viaggio di questo piccolo film dai ghiacciai dell’Himalaya agli Oscar è una celebrazione di tutte le possibilità dell’arte e della creatività”. La troupe cinematografica ha vissuto a Lunana, a 5000 metri di altezza, per due mesi calibrando le risorse del territorio e le energie disponibili. Il regista ha raccontato di aver scritto il film con mano trattenuta perché voleva che fosse la semplicità e la gentilezza spontanea degli abitanti a parlare di sé e che molti degli aneddoti e scene del film sono il frutto delle storie raccontante dalle persone.
Ugyen è il ragazzo protagonista del film che sogna di andare a fare il cantante in Australia, mentre la nonna con cui è cresciuto gli dice che è matto a lasciare il lavoro di insegnante attraverso il quale può servire il suo paese e il rè. La pellicola non è artificiosa, intendo dire che dipinge bene il paese – le forze emergenti e assopite della cultura, la ritualistica di cui a volte non si sanno rintracciare i significati, gli anziani che vivono ancora di uno sguardo semplice e non contaminato mentre sgranano con una mano i rosari di preghiera e borbottano mantra senza sosta. La vita al centro dei villaggi o i villaggi al centro della vita e del vicinato, ma anche i moti di novità che si osservano nelle nuove generazioni e nella capitale punto di riferimento per lo shopping ma anche per l’accesso agli aspetti più mondani della vita, con bar, caffe e karaoke – svago preferito dai bhutanesi. Non ho trovato nel film forzature di nessun tipo per rendere il film più avvincente o speciale, ma un bel racconto del regno vicino alla realtà. Anche la scelta della fotografia, dei frame e delle parole che raccontano sembra uno specchio dell’essenza bhutanese. Spesso silenziosa, un po’ timida, calma, rispettosa e non invadente.
Un esempio: la nonna dice al nipote che insegnando può servire il paese e il re, è un linguaggio molto semplice ma per coglierne la profondità bisogna sapere che il ‘servizio’ è un ideale molto vivo nella cultura degli abitanti e anche nella visione buddista. Servire e quindi offrire è un modo diretto e prosperoso per accumulate meriti, essere di beneficio agli altri e alla comunità, quindi fondamentalmente una via maestra per migliorare se stessi.
Una precisazione a tal proposito: il Bhutan fornisce un’istruzione di qualità a tutti i cittadini, indipendentemente da quanto sia remota la loro località, offrendo ai candidati qualificati un’istruzione gratuita verso un titolo di insegnamento con l’aspettativa che una volta terminati gli studi svolgano un tirocinio di insegnamento pari al doppio del tempo per loro scolarizzazione. Lo studio diviene un percorso personale di crescita ma anche una risorsa per il paese che cerca di investire nei suoi giovani con vari programmi di supporto. Gli insegnanti, i maestri hanno piena rispettabilità perché “toccano il futuro”, per usare le parole del film.
È bello lo sguardo che c’è tra chi è da sempre nei villaggi ma sa che fuori qualcosa è già cambiato, e chi viene da quel mondo cambiato e riscopre quello che c’è sempre stato.
Nella pellicola sono diverse le tematiche timidamente toccate osservando la vita tranquilla del regno e i bellissimi paesaggi: dal riscaldamento globale all’estinzione degli animali, all’autoproduzione e autosostentamento, ad un uso più consapevole delle risorse e delle energie disponibili, al non spreco. Non c’è il lusso di poter sprecare niente in un villaggio sopra i 5000 metri di altezza, tutto è una risorsa da utilizzare non una ma più volte. La carta che riparava il vetro della finestra rotta diventa il foglio diviso a più parti per la lezione dei bambini, gli escrementi secchi degli yak raccolti nelle valli diventano degli ottimi alleati per accendere il fuoco. Conoscenze antiche, raccolta di erbe spontanee, il porsi davanti agli animali e alle loro personalità in un modo insolito – chi avrebbe mai pensato che lo yak potesse svolgere una funzione così importante per la scuola e la gente di Lunana e in generale per chi vive nelle terre himalayane? Norbu è il nome dello yak nella piccola classe di Lunana – Norbu significa “gioiello che esaudisce i desideri”, un simbolo usato nella cultura buddista himalayana per descrivere il proprio lama o insegnante. Lo yak è in realtà una metafora di Ugyen, che diventa l’insegnante che esaudisce i desideri di Lunana.
Il regista ha detto che il film gli ha permesso di sondare l’idea di felicità mentre ci lavorava”Migliaia di persone stanno lasciando il Bhutan, cercando la felicità altrove. Volevo creare una storia in cui portiamo il protagonista all’estremo opposto”, ha detto aggiungendo “Se le persone cercano la felicità nelle moderne società urbane della civiltà occidentale, possiamo trovare quella felicità nel più remoto, nell’oscurità, nell’ombra?”.
Nella pellicola ritroviamo il concetto del perpetuo stato di movimento con l’unico scopo di trovare la felicità, basilare nella filosofia buddista, ma forse anche un appello per i bhutanesi a riscoprire la loro “felicità” autentica. Effettivamente sono tantissimi, soprattutto giovani, che oggi cercano di andare altrove per studiare, per lavorare e guadagnare, affascinati dalle mode e dalle comodità, o forse per noia, per scoprire qualcosa di diverso. Disposti a fare tante cose tra cui lavori non qualificati, ma lontani dagli sguardi della famiglia e degli amici che potrebbero essere giudicanti e non capire. In questa bilancia di equilibri un peso sostanziale credo sia dovuto all’uso molto diffuso dei social nella popolazione e al confronto che essi possono fare costantemente con il qui e l’altrove.
La meta preferita per tantissimi è l’Australia, resa forse più accessibile per accordi tra i paesi, e l’America. Anche negli ultimi mesi sono stati annunciati dalle agenzie di stampa locali diversi voli in partenza per l’Australia pieni di persone pronte a lasciare il paese e nelle ultime settimane sono state numerosissime le iscrizioni all’esame di inglese IELTS qui a Thimphu, che si svolgeranno in tre date a fine aprile, passaggio necessario per l’ottenimento del visto di migrazione verso l’Australia.
Ugyen che nel suo viaggio di riscoperta del suo paese scopre anche il suo talento e la sua creatività alla fine parte comunque per l’Australia. Ma una notte, mentre si sta esibendo in un pub di Sydney improvvisamente si ferma e con uno sguardo un po’ malinconico inizia ad intonare il toccante canto popolare dei pastori di yak:
Come il latte in una tazza di porcellana/ Il cuore è puro./Così puro che anche se il calice si rompe,
Il latte rimane latte./ Come l’acqua in un vaso/Il cuore è chiaro/così chiaro che infinita bellezza/si riflette nella sua profondità.
Like milk in a porcelain cup,/The heart is pure./So pure that even if the cup breaks, the milk remains milk./ Like water in a vase,/The heart is clear/so clear that infinite beauty is reflected in its depth.