Quasi settant’anni fa il filosofo e scrittore tedesco Gunther Anders avvertiva che con la bomba atomica l’essere umano aveva messo al mondo una creatura mostruosa e incontrollabile, capace di distruggere tutta l’umanità. Ciò aveva reso l’uomo “antiquato”. Per arroganza, leggerezza, ignoranza, stupidità o malvagità le persone al comando di quel mostro lo possono mettere in moto senza che poi si possa tornare indietro. Anders non è il solo né il primo ad avvertirci di quella minaccia, ma ha messo in chiaro che quell’evento aveva cambiato per sempre le coordinate dell’esistenza sulla Terra. Da allora l’umanità sopravvive, consapevole o meno, in una perenne precarietà.
Sessant’anni dopo Papa Francesco, con l’enciclica Laudato sì, ha spiegato che l’umanità vive sull’orlo di un’altra minaccia esistenziale. Se non si provvederà in tempo la vita sulla Terra va incontro all’estinzione – o a condizioni molto più ostiche, ma solo per una ristretta quota di sopravvissuti – a causa dei mutamenti climatici e della devastazione dell’ambiente. Francesco non è il solo né il primo a porre al centro del suo messaggio quell’avvertimento, anche se nessuno come lui è stato capace di legare quella minaccia all’ingiustizia e alle diseguaglianze delle società contemporanee. Prima di lui lo avevano fatto e continuano a farlo, inascoltati, molti scienziati e i pochi che li hanno presi in parola; dopo di lui lo ha fatto Greta Thunberg, con la forza e la freschezza della sua età – quella che la espone, con tutti i suoi coetanei, alle conseguenze più nere della crisi climatica.
La precarietà esistenziale indotta dalla crisi climatica è andata così a sovrapporsi a quella indotta dall’era atomica, moltiplicandone gli effetti. Il distacco e l’indifferenza di molti nei confronti della politica, dell’impegno civile, della solidarietà derivano da una percezione confusa della propria impotenza di fronte alla magnitudine di quelle minacce. Tuttavia, se l’olocausto nucleare è una possibilità sempre incombente – come ci avverte l’orologio dell’Apocalisse, ormai prossimo alla mezzanotte – ma ancora soggetta alla decisione di qualcuno, l’apocalisse climatica è invece una certezza che può essere sventata solo da un cambio di rotta che coinvolga non solo molti più governanti, ma anche tutti gli abitanti della Terra: cioè ciascuno di noi.
La cultura che ci consente di affrontare alla radice il rischio climatico e ambientale e le sue cause nelle diseguaglianze tra gli esseri umani è, seguendo Francesco, l’ecologia integrale. La traduzione operativa di questo approccio è la conversione ecologica, che non è il disegno di una società e di un rapporto tra esseri umani e ambiente rappacificati, bensì un processo carico di conflitti: verso chi ci impone, con il suo dominio, una strada che porta alla rovina di tutti, ma anche tra molti di coloro che quel dominio lo subiscono e se ne vorrebbero liberare. Lungo strade diverse, però, alcune improntate alla ribellione e altre all’acquiescenza.
Ora, di fronte alla guerra in Ucraina – che ci “parla” di più perché è più vicina – le scelte si fanno impellenti. Il confronto che ci sovrasta in modo sempre più esplicito non è solo tra due eserciti e relative milizie al seguito, bensì tra la Federazione Russa e la Nato, con in testa USA e Regno Unito, più vari Stati dell’Unione Europea in ordine sparso. Una Nato che l’Ucraina, le sue milizie e la devastante guerra al Donbass le ha armate da tempo, senza alcuna soluzione di continuità tra le presidenze Poroshenko e Zelensky. La posta non sono solo le regioni del Donbass, le loro ricchezze minerarie, i loro impianti industriali (in gran parte distrutti), né la grande produzione agricola del paese, da cui dipende l’alimentazione di centinaia di milioni di abitanti della Terra. La posta in gioco è disarcionare Putin, il suo regime, liberare il mondo dalla sua ferocia (ma non da quella di altri), o forse la stessa sopravvivenza della Federazione Russa, da trasformare in terreno di scorribande. Questo è il “combatteremo fino alla vittoria” di Zelensky, che certo non potrebbe dirlo senza contare sulla Nato.
Una prospettiva di fronte alla quale Putin ha già dichiarato (contraddetto da Lavrov) di essere pronto a usare l’atomica. Quando? Quante volte? Di quale potenza? C’è chi sostiene che non è un problema: quelle bombe oggi possono essere “piccole”, avere effetti “limitati”, senza necessariamente scatenare risposte che mettano a repentaglio tutto il pianeta. E’ il modo di ragionare che aveva fatto dire a Gunther Anders che “l’uomo è antiquato”.
La guerra in Ucraina ha messo in secondo piano il rischio climatico, ma noi che abbracciamo l’ecologia integrale dobbiamo invece riportarlo in primo piano, interrogando in base ad esso le opzioni in campo – manifestazioni per la pace, accoglienza dei profughi, progetti di interposizione, proposte di mediazione e di mediatori, crisi di governo, invio di armi, e di sempre più armi – in questi termini: sono compatibili con la conversione ecologica? Concorrono alla sua realizzazione? E con quale contributo? Le risposte sono aperte.