Si è svolto ieri sera alla Camera del Lavoro di Milano, organizzato dalla rete Sostenere Riace e coordinato da Corrado Mandreoli, il momento di riflessione e pubblica discussione sulla scandalosa sentenza che ha condannato in primo grado Mimmo Lucano a più di 13 anni, e con lui altre 17 persone per un totale di più di 80 anni di carcere.
Dopo il benvenuto di Vincenzo Greco, che ha ribadito l’impegno della Camera del Lavoro per Mimmo Lucano e l’introduzione di Giovanna Procacci, che ha ripercorso i passaggi di una vicenda che ci riguarda tutti, si è entrati nel vivo con gli interventi degli avvocati difensori Giuliano Pisapia e Andrea Daqua.
E’ stato subito introdotto un concetto poi ripreso più volte, ossia l’importanza di tutelare e difendere una persona come Mimmo Lucano, che meritava una medaglia e non certo una condanna, mentre la sentenza di primo grado ne ha fatto una sorta di diavolo. Impressionanti le frasi lette da Pisapia e contenute nella sentenza: “figura immorale”, “motivi abietti”, “logica predatoria”, “appetiti personali”, “losche manovre”, “sfrenata sete di visibilità politica”… Una marea di insulti e falsità, mai visti in una sentenza, nei confronti di una persona che ha dedicato la vita alla difesa dei più deboli e non si è messo in tasca un solo euro.
Pisapia ha poi citato un principio basilare dell’ordinamento penale, troppo spesso dimenticato: chi agisce per salvare altri costretto dallo stato di necessità non è punibile. Una norma che pare ritrarre la situazione in cui Mimmo Lucano si è trovato per anni, tanto da venir definito San Lucano da chi poi si è accanito contro di lui.
L’avvocato Daqua ha completato il quadro di questa sentenza aberrante illustrando le tante anomalie registrate durante il processo e soprattutto nel suo finale, in particolare riguardo all’inattendibilità delle intercettazioni, augurandosi che in appello si arrivi a un risultato ben diverso.
Gad Lerner ha poi definito la vicenda di Riace un sismografo degli umori e delle oscillazioni del paese riguardo al tema dell’immigrazione nel corso di vari decenni, passando dalla sua celebrazione (con tanto di fiction Rai con Fiorello mai andata in onda) alla successiva demonizzazione del modello di accoglienza e di Lucano. Un cambiamento legato all’operazione politica di criminalizzazione della solidarietà che non poteva tollerare la dimostrazione, fornita da Riace, di come la presenza e l’integrazione di migranti, ben lungi da essere una temibile invasione, costituiscano in realtà un beneficio anche per le comunità locali.
Il tentativo di denigrare e umiliare Lucano si è per fortuna trovato davanti un muro di solidarietà che, si spera, potrebbe aiutare a capovolgere l’atteggiamento verso i profughi e a riproporre un modello di accoglienza più che mai necessario e attuale.
Con la sua capacità di toccare temi profondi e importanti in tono leggero, Gherardo Colombo ha introdotto una questione fondamentale e troppo spesso trascurata: il bisogno di uscire dalla forma per entrare nella sostanza, mettendo in pratica i principi e gli articoli della Costituzione. E in particolare il comma 3 dell’articolo 10, secondo cui “uno straniero al quale nel suo Paese sia impedito di esercitare le libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana, ha diritto d’asilo nel territorio italiano.” Insomma, l’accoglienza è un diritto per chi arriva qui e un dovere per chi lo riceve.
La Costituzione ha cambiato il precedente valore su cui si fondava la società, ossia la discriminazione, affermando che tutti hanno la stessa importanza e dignità. Questo deve aiutarci nel compito fondamentale di riconoscerci, comprenderci, vedere l’altro come un essere umano uguale a noi, dare testimonianza e far crescere una cultura diversa. Uscire dalla forma e rispettare lo spirito della Costituzione comporta a volte la necessità di trasgredire leggi ingiuste, come le leggi razziali del 1938 e significa sostituire uno schema di relazioni basato sul costante bisogno di un nemico. “Altrimenti non ci salviamo” ha concluso Colombo.
Le domande del pubblico hanno infine permesso di chiarire i tempi del processo d’appello – il ricorso è stato presentato, ma ci vorrà più o meno un anno, visto che la precedenza va ai processi con detenuti, non certo una rarità nella Locride – di ribadire la necessità di ricostruire una nuova Riace e di continuare nel lavoro di sensibilizzazione, informazione e appoggio a Lucano e a chi viene criminalizzato per aver salvato vite in mare e in terra.
Infatti il prossimo appuntamento sarà il 7 aprile, sempre alla Camera del Lavoro, per una serata dedicata alla “bellezza della solidarietà”, con testimonianze degli attivisti che operano nel Mediterraneo, a Trieste e al confine tra Italia e Francia e pagano con denunce, processi e diffamazioni il loro impegno a favore dei migranti.