Sono passati 10 anni da quando il WWF e il FAI pubblicarono l’allarmante dossier sul consumo di suolo (http://www.cngeologi.it/wp-content/uploads/2012/08/ConsumoSuolo_Dossier_finale-1.pdf), un decennio trascorso invano visto che il “furto della terra” continua a velocità sostenuta, trasformando irreversibilmente il nostro territorio: in media, più di 15 ettari al giorno. Un consumo forsennato che fa perdere al nostro Paese quasi 2 metri quadrati di suolo ogni secondo, causando la perdita di aree naturali e agricole, sostituite da nuovi edifici, infrastrutture, insediamenti commerciali, logistici, produttivi e di servizio e da altre aree a copertura artificiale all’interno e all’esterno delle aree urbane esistenti.
È un costo complessivo compreso tra gli 81 e i 99 miliardi di € – in pratica la metà del PNRR– quello che secondo l’ISPRA l’Italia potrebbe essere costretta a sostenere a causa della perdita dei servizi ecosistemici dovuta al consumo di suolo tra il 2012 e il 2030. Se la velocità di copertura artificiale rimanesse quella di 2 mq al secondo registrata nel 2020 i danni costerebbero cari e non solo in termini economici. Dal 2012 ad oggi il suolo non ha potuto garantire la fornitura di 4 milioni e 155 mila quintali di prodotti agricoli, l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana (che ora scorrono in superficie aumentando la pericolosità idraulica dei nostri territori) e lo stoccaggio di quasi tre milioni di tonnellate di carbonio, l’equivalente di oltre un milione di macchine in più circolanti nello stesso periodo per un totale di più di 90 miliardi di km. In altre parole, due milioni di volte il giro della terra. Le colate di cemento non sono rallentate neanche nel 2020, nonostante i mesi di blocco di gran parte delle attività durante il lockdown, e ricoprono quasi 60 chilometri quadrati, impermeabilizzando ormai il 7,11% del territorio nazionale. Ogni italiano ha a disposizione circa 360 mq di cemento (erano 160 negli anni ’50).
La cementificazione è una delle principali cause della perdita di habitat per sottrazione di suolo (spesso effettuata abusivamente). Da anni le amministrazioni locali stanno rubando suolo coltivabile e prezioso pascolo floreale, insensibili al fatto che il suolo non è una risorsa infinita né rinnovabile ed una volta distrutto il microbioma terricolo, verrà distrutta la sua fertilità. Fra qualche settimana, il 12 giugno, poco meno di mille comuni andranno al voto e circa 8 milioni di cittadini saranno chiamati a valutare i programmi dei vari candidati alla carica di sindaco per scegliere a chi fare fiducia (oltre ad esprimersi su importanti quesiti referendari). Ci sono proposte e “battaglie” politiche, idee e prese di posizione con le quali non si fanno facilmente voti e consensi e forse neppure alleanze politico-elettorali. E che non riescono quasi mai ad arrivare nei programmi elettorali e men che mai nelle agende di governo locale. È il caso, per esempio, della proposta di “Azzerare il consumo di suolo”.
La Proposta di legge del Forum Salviamo il Paesaggio (www.salviamoilpaesaggio.it) “Norme per l’arresto del consumo di suolo e per il riuso dei suoli urbanizzati” è ormai “congelata” da alcuni mesi in Commissione Ambiente/Agricoltura al Senato e neppure l’ultimo Rapporto sul consumo di suolo dell’ISPRA pare indurre a risolvere un’emergenza eppure così evidente. Un’emergenza ecosistemica su cui tutta la comunità scientifica si è già espressa con estrema chiarezza e che si ripercuote anche sotto il profilo economico/finanziario (ricordandoci che prima viene la tutela dell’ambiente e della salute e poi lo sviluppo economico…).
Quanto costa rinunciare a un ettaro o a un metro quadrato di suolo libero, impermeabilizzandolo? ISPRA stima un costo annuale medio per la perdita dei servizi ecosistemici compreso tra: 66.000 e 81.000 € a ettaro, per il flusso di servizio che il suolo non sarà più in grado di assicurare; tra 23.000 e 28.000 € a ettaro, per lo stock di risorsa perduta. Complessivamente, quindi, tra 89.000 e 109.000 € l’anno per ciascun ettaro di terreno libero che viene impermeabilizzato. Di qui, la proposta che di recente ha formulato il FORUM di cercare di far presentare da un Consigliere comunale in ogni Comune italiano una mozione volta a deliberare l’arresto totale e immediato del consumo di suolo libero, inserendo in bilancio il costo finanziario causato dal consumo di suolo: 100.000,00 euro per ciascun ettaro di suolo impermeabilizzato, ovvero una media di 10 euro per ogni metro quadrato, da inserire come costo fisso annuale nei bilanci/bilanci sociali/bilanci di sostenibilità/bilanci ambientali comunali, a partire dall’annualità in cui il nuovo consumo di suolo sia stato accertato.
C’è da sperare che i Consiglieri comunali in carica aderiscano a questa proposta e presentino una mozione per l’arresto nel proprio comune di consumo di suolo e che i candidati a sindaco presentino nei propri programmi la proposta di AZZERARE IL CONSUMO DI SUOLO, nell’ottica di non costruire più nulla, se non sull’esistente, quindi non consumare più alcun terreno libero e utilizzare soltanto quelli già impermeabilizzati, parallelamente al recupero e riuso dell’esistente (secondo i dati ISTAT in Italia ci sono 7 milioni di abitazioni inutilizzate; 500 mila negozi chiusi; 700 mila capannoni dismessi; 55 mila immobili confiscati alla criminalità e non riassegnati). Una proposta con la quale impegnarsi anche a redigere un apposito bilancio ambientale e di sostenibilità annuale in cui sia evidenziato che per ogni ettaro di suolo eventualmente consumato o sua parte si genera una perdita di servizi ecosistemici a danno della collettività. Una proposta che potrebbe rappresentare un importante punto di partenza – nel segno del vero cambiamento– per la prossima consiliatura 2022-2027 in tante città.
Come scrive autorevolmente il Forum “ricordiamo che i principali servizi ecosistemici che il suolo naturale garantisce riguardano: stoccaggio e sequestro di carbonio, qualità degli habitat, produzione agricola, produzione di legname, impollinazione, regolazione del microclima, rimozione di particolato e ozono, protezione dall’erosione, regolazione del regime idrologico, disponibilità di acqua, purificazione dell’acqua. Per concretezza, ecco in particolare tre validi motivi (scientifici) per giustificare un’attenzione così rigorosa e severa nella salvaguardia del suolo: 1. Ogni ettaro di terreno fertile assorbe circa 90 tonnellate di carbonio: se cementificassimo quel terreno, la CO2 si libererebbe nell’atmosfera …e non tornerebbe più sottoterra, accelerando ulteriormente l’inquinamento delle nostre città! 2. Ogni ettaro di terreno fertile è in grado di drenare 3.750.000 litri d’acqua: in questo particolare momento, a fronte di precipitazioni atmosferiche di portata e frequenza sempre maggiori e di lunghi periodi sempre più siccitosi, il nostro suolo, oltre a drenare l’acqua piovana (contribuendo a contenere gli effetti di possibili inondazioni e alluvioni), ne conserva quanto basta per alimentare ciò che in esso vive e si sviluppa. 3. Ogni ettaro di terreno fertile, coltivato, può sfamare 6 persone per un anno: stiamo parlando, in piccolo, di <sovranità alimentare>, cioè della possibilità di provvedere autonomamente all’alimentazione della propria famiglia, limitando quindi la nostra dipendenza dal sistema e, inoltre, controllando direttamente in buona misura la salubrità del cibo che assumiamo. Tre dati più che sufficienti per affermare che il suolo è uno dei principali fornitori di servizi ecosistemici sul quale possiamo contare, per di più a costo zero!”
Sarebbe bello che ad appassionare il confronto elettorale nelle nostre città che a giugno andranno al voto fossero temi come questo. Significherebbe che – al di là degli slogan e dei programmi spesso “general generici” – “i tempi stanno realmente cambiando” e che in tanti contesti urbani si vanno facendo finalmente strada una cultura, una forma identitaria, un’etica e una passione civile in grado di compiere scelte pacificamente “eversive” come questa. Le uniche in grado di cambiare il destino delle nostre città.