Cerchiamo di essere seri e di capire come stanno andando le cose.
Abbiamo avuto l’invasione annunciata (si, annunciata) di uno Stato sovrano da parte di una potenza regionale che detiene l’atomica.
Le ragioni di questa invasione sono complesse e non andrebbero semplificate, ma la più ripetuta riguarda la richiesta di adesione dell’Ucraina alla NATO, cosa che porterebbe i missili dell’Alleanza a 3 minuti da Mosca.
La disparità di forze fra Russia e Ucraina è evidente, e la guerra avrebbe potuto essere lampo.
Non lo è stato, e dunque occorre chiedersi perché, così come occorre chiedersi perché i media hanno raccontato fin qui qualcosa che non c’era.
Infatti, l’escalation di violenza è stata – ed è – progressiva ma graduale.
Ce lo dicono gli stessi militari, fra cui il Generale Mini che è uno che di guerra se ne intende: i russi non hanno usato l’aviazione per bombardare, non hanno interrotto né elettricità, né comunicazioni, né riscaldamento; hanno colpito – o tentato di colpire – installazioni militari cercando di risparmiare i civili.
La strategia della violenza progressiva non è niente affatto usuale e, per rendersene conto, basta pensare ad un qualsiasi intervento americano.
L’obiettivo in guerra è vincere in fretta con il minor numero di vittime proprie, ed il modo per farlo è combattere dal cielo con i droni o l’aviazione.
Se lo scopo era occupare l’Ucraina, bastava un solo bombardamento aereo su Kiev per chiudere la questione.
Inoltre, specialmente ora che si chiede a gran voce che Putin sia processato da un Tribunale Internazionale per crimini di guerra o addirittura contro l’umanità, dovrebbe essere sottolineato che la Russia non ha voluto colpire i civili e che sta permettendo i corridoi umanitari per farli allontanare dalle città.
Che sia per calcolo o per buon cuore, giuridicamente è irrilevante.
Su questo punto occorre fare un attimo di attenzione.
Cosa sappiamo delle vittime civili?
Secondo i dati dell’Onu, che in 9 giorni di guerra sono state 113 – la cifra non può essere confermata né per eccesso né per difetto – ma parrebbe da valutare per difetto data la mancanza di immagini di cui pure, in genere, i media amano fare ampio uso.
E, per quanto sia orribile da dire, sono comunque pochissime: un solo bombardamento aereo normalmente ne fa il triplo.
Quindi – stante che c’è una guerra e la guerra causa distruzione e morte – fin qui la Russia sembra aver agito nel modo meno violento possibile.
Eppure l’informazione mainstream ci dice altro: il cittadino medio capisce che in ballo c’è un’operazione totalmente ingiustificata, imprevista, condotta da un pazzo sanguinario al pari di Hitler.
Fare un’analisi critica delle informazioni e verificare i dati non significa essere filo-Putin o giustificare un’aggressione e, al contrario, serve per valutare correttamente gli effetti di una determinata scelta.
Per esempio: solo ammettendo onestamente che la Russia ha operato a basso impatto, scegliendo un conflitto a violenza progressiva, si può capire il perché di questa scelta.
L’argomento secondo cui, in caso di blitz aereo, temeva una reazione internazionale armata non tiene: l’Ucraina non è nella Nato e nessuno sarebbe intervenuto.
E’ più facile pensare che Putin non voglia isolarsi internazionalmente, e voglia lasciare aperta la porta alle trattative.
Ma questo vuol dire anche che, se la porta del dialogo internazionale venisse chiusa comunque, e lui fosse messo all’angolo, verrà meno l’unico vero deterrente all’uso della violenza estrema.
Ma c’è un’altra questione rilevante come fenomeno di psicologia sociale.
Perché i media hanno drammatizzato con notizie false o esagerate un attacco che nel suo inizio era comparativamente contenuto?
Non può essere negato che “pioggia di fuoco su Kiev” del Tg2 (con le immagini di un videogioco), le immagini dell’aviazione russa in formazione del Tg1,2,3 (immagini di una esercitazione del 2014) , la corrispondente in assetto da guerra che parla concitata da un parcheggio in cui la gente fa la spesa su La7, eccetera (quante ne volete mettere?), hanno lasciato nell’osservatore l’idea che Putin sia un pazzo scatenato che, fin dal primo giorno, sta radendo al suolo un paese di 40.000.000 di abitanti.
Ma non è vero.
Senza voler togliere nulla al dramma dei profughi (e chi non scapperebbe sapendo di essere in pericolo?) e al fatto che l’escalation potrebbe portare ad uno scenario critico, al momento questa cosa non è successa.
Perché allora ce la raccontano in modo erroneo?
E perché viene esaltato con toni quasi agiografici Zelensky, uno dei leader più controversi dell’ ultimo decennio, improvvisamente dipinto come l’eroe della libertà?
C’è un disegno o è solo per vendere di più?
Il modo in cui l’ informazione è veicolata ha molti effetti.
Il primo, il più banale, è educare o instupidire la popolazione.
Nel nostro caso la instupisce.
Noi viviamo in un paese in cui, per tradizione, è continua la polarizzazione buono/cattivo, vero/falso, amico/nemico con buona pace di ogni coscienza critica: è il fenomeno del conformativismo italiano, vera base del successo del fascismo, ampiamente trattata da Noberto Bobbio.
Iper-eccitare l’opinione pubblica significa stimolare questi schemi con passioni irriflesse, annientando il poco di senso critico che viene faticosamente costruito nelle more degli show mediatici.
Oggi, ad esempio, sulla base di una corale solidarietà all’Ucraina (buoni), siamo alla caccia a tutto ciò che è russo (cattivi), e così abbiamo gli atleti bloccati, gli analisti scomparsi dai programmi d’approfondimento, Dostoevskji cacciato dalle università eccetera: questi episodi non sono marginali, perché sono espressione proprio di questo fenomeno, gravissimo, di infantilismo intellettuale e morale.
C’è di peggio.
La dicotomia buono/cattivo amico/nemico è talmente potente da giustificare azioni totalmente incostituzionali.
Ne è esempio la decisione di armare l’Ucraina, pur se armare un paese è un atto di guerra indiretto, e l’Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali ex art. 11 Costituzione.
Qualcuno, credendosi furbo, ha provato ad argomentare che la guerra di difesa è legittima e che l’Ucraina è paese attaccato.
No: la guerra di difesa è legittima quando è l’Italia ad essere attaccata, e su questo presupposto trovano copertura le alleanze militari difensive a cui l’Italia appartiene, come la Nato.
Ma armare un paese attaccato che non faccia parte dell’alleanza è esattamente intervenire in una controversia internazionale, contro il dettato costituzionale: in ogni disputa c’è una vittima ed un aggressore, anche se ciascuno ritiene di agire nel giusto.
E c’è ancora di peggio.
Il fondo lo si tocca con il mancato calcolo di opportunità.
Perché, è evidente, delle due l’una: o i politici, spinti dall’opinione pubblica sovraeccitata, fanno scelte di una stupidità infinita, o i politici – per ragioni altre – hanno già fatto scelte che vengono poi coperte dall’opinione pubblica sovraeccitata.
Nell’uno e nell’altro caso la responsabilità dei media è gravissima.
Volendo credere al primo, il discorso di Draghi che, in soldoni, dice : “siamo in emergenza, quindi prima si agisce e poi si riflette”, lascia basiti.
Uno: perché questo conflitto era stato annunciato, rectius: la stessa invasione era stata annunciata, con data e ora precisa, e quindi il tempo per riflettere c’era, e due: perché, se le misure adottate per reagire sono controproducenti, l’escalation del conflitto è certa e ne faremo le spese tutti.
Armare l’Ucraina (a parte l’essere incostituzionale) è intelligente? Attenua il conflitto o lo alimenta?
Le sanzioni economiche sono una furbata? Attenuano il conflitto o lo alimentano?
Demonizzare l’avversario lo isola o compatta il fronte interno?
Quale è veramente il punto debole di Putin?
What else?
Già Hans Morgenthau ricordava che il nemico non si mette all’angolo, perché lì è costretto a gesti estremi.
Ora: un conflitto non solo previsto, ma anche a intensità crescente, permette e dà il tempo di trovare soluzioni negoziate – anche con il naso storto, anche dovendo sacrificare qualche principio morale.
Non volerlo fare ed alimentarlo è da folli.
In primo luogo, perché il popolo ucraino, per quanto eroico e pronto al sacrificio, non ha realisticamente alcuna possibilità di vincere, quindi non si capisce a che serve spingerlo ad ingaggiarsi in una guerra lunga e dolorosa.
In secondo, per la salvaguardia di noi stessi che gesti estremi non ne vogliamo: come ci insegnavano i padri, le tigri non sono mai di carta se hanno denti atomici.
E questa riflessione, che ha improntato la politica internazionale degli ultimi settantasei anni, non dovrebbe essere dimenticata nel settantasettesimo.