Le questioni impellenti dettate dalla globalizzazione e le possibili soluzioni sulla scia della critica marxiana impegnano da tempo Giovanni Di Benedetto, che in passato ha indagato l’Etica di Spinoza e l’Emilio di Rousseau. Nel suo ultimo lavoro, La primavera che viene. Attualità di Rosa Luxemburg (Mimesis, 2021), egli si misura con l’esperienza teorica, concreta, esistenziale di una grande donna il cui nome è probabilmente noto più della sua opera e, fra l’altro, in cerchie ristrette. Il libro scritto dallo studioso durante la pandemia è senza dubbio un ampio e fondamentale contributo alla sua conoscenza e si distingue nella bibliografia delle analisi e interpretazioni dedicate all’opera della rivoluzionaria polacca non solo in quanto esito di una ricerca accurata ma anche per il suo carattere di guida chiara e completa al percorso tracciato da una personalità – « un condensato di differenze scandaloso e esplosivo », la definisce – che lo ha folgorato. E tra i molteplici tratti di Rosa Luxemburg egli individua quelli che sono decisamente salienti: ebrea e polacca prima in Russia e poi in Germania; « portatrice di una differenza femminile percepita come minacciosamente inquietante » nella sfera pubblica perché dominata da figure maschili ma anche perché, aggiungo, vi si imponeva come donna libera; acuta « critica dell’economia politica e teorica della politica, brillante insegnante per la scuola di partito e dirigente autorevole del Partito socialdemocratico tedesco, di quello polacco e della II Internazionale, compagna generosa e martire assassinata nei tragici giorni della rivoluzione tedesca » a Berlino il 15 gennaio 1919 insieme a Karl Liebknecht.
L’investigazione di Giovanni Di Benedetto fuoriesce dal solco della critica storica arenatasi intorno a una supposta separazione tra la tenera donna passionale nel privato e la brillante e severa politica nella sfera pubblica e si volge a ricomporne un profilo unitario sul piano sia teorico che pratico. Lo scandaglio degli scritti e delle lettere di Rosa Luxemburg da lui condotto rileva e accentua i guadagni che derivano dall’analisi del suo metodo e del suo itinerario, e che inoppugnabilmente sono proficui al fine di ripensare e approfondire la critica marxiana come pure, alla luce della consapevolezza della catastrofe capitalista, le questioni irrecusabili della contemporaneità globalizzata – dalla crisi ambientale che investe e sradica violentemente tutto e in ogni angolo del mondo alla mercificazione di tutti i beni materiali e immateriali (compresi i corpi e le risorse psichiche); dall’oppressione e sfruttamento dei più disgraziati e oppressi all’« incantamento bellico e militaristico » che in questi giorni, come sempre è avvenuto, ci accalappia e ci toglie il senno.
Estranea agli interpreti ortodossi del marxismo del suo tempo, che con arroganza e una buona dose di fanatismo e dogmatismo si ergevano a detentori della dottrina, perché autoproclamatisi unici competenti, Rosa Luxemburg coglie negli scritti di Marx « un cantiere aperto » e, come argomenta in modo puntuale Giovanni Di Benedetto, li legge in fedeltà al «metodo della libertà di pensiero […] un metodo che si fonda sulla critica senza però rinunciare all’autocritica ». Un metodo, dunque, in grado di « combinare dialetticamente le astratte leggi del modo di produzione capitalistico con il ritmo variabile e mutevole dello sviluppo storico e dei fenomeni concreti » e di dislocare lo sguardo dell’analisi dal centro alle periferie, in direzione contraria « ai dettami eurocentrici della socialdemocrazia europea del suo tempo », al quale sarebbe oltremodo utile ispirarsi per leggere il mondo di oggi.
La filosofia della rivoluzione di Rosa Luxemburg – che nel volume si dispiega « attraverso i passaggi della spontaneità, della soggettivazione cosciente e del cambiamento delle circostanze storiche da un lato e attraverso il conflitto economico e sociale dal basso, la traduzione della lotta di massa in movimento di popolo e la conquista del potere dall’altro » – rimane ancorata alla pratica politica, all’azione mai disgiunta dal particolare contesto storico in cui si situa. Per di più, in anticipo rispetto all’orientamento sistemico e olistico e al pensiero della complessità dell’odierna epistemologia – è sufficiente evocare Verso un’ecologia della mente e Una sacra unità di Gregory Bateson – i testi della « continuatrice di Karl Marx », in particolare L’accumulazione del capitale, l’Anticritica e l’Introduzione all’economia politica, colgono la trama interconnessa dei fenomeni e degli eventi della vita economica senza perdere di vista la visione complessiva della realtà storica e quella singolare dei soggetti. Giovanni Di Benedetto fa dunque bene a sottolineare nel corso della sua disamina la distanza del punto di vista di Rosa Luxemburg dal riduzionismo e unilateralismo di un Bernstein e più in generale dall’economia borghese volgare e a metterne in luce l’unità indissolubile tra teoria e prassi, tra studio teorico ed esperienza politica, richiamandosi fra l’altro a Hannah Arendt, per la quale « ogni volta che il sapere e il fare si separano, lo spazio della libertà va perduto ». In definitiva, riprendendo le parole della stessa Luxemburg, non può esserci democrazia socialista senza l’affermazione del principio che la libertà « è sempre soltanto libertà di chi pensa diversamente ».
A questo aspetto è da collegare l’interesse precipuo che nel volume La primavera che viene acquisisce l’attualità del pensiero della rivoluzionaria polacca, se si vuole rispondere alla necessità urgente di « ripensare il nesso tra democrazia e trasformazione radicale dei rapporti di proprietà e dei conseguenti rapporti sociali di produzione, in vista di un superamento del capitalismo ». Esemplari in tal senso sono gli scritti sulla rivoluzione russa del 1917, che Di Benedetto richiama a più riprese chiarendo e rafforzando il giudizio di Luxemburg, un giudizio che è positivo ma al tempo stesso ben ponderato: si tratta di un rivolgimento radicale che non deve assurgere a modello da importare e ripetere in contesti totalmente diversi. Ampio spazio viene dato inoltre alle ragioni della critica luxemburghiana a Lenin e a Trockij riguardo alla dittatura del proletariato che sarebbe errato tradurre in mera soppressione della democrazia, perché si finirebbe semplicemente con il farla coincidere con « la dittatura di un pugno di uomini politici, una dittatura nel significato borghese, nel significato giacobino », con l’inevitabile conseguenza di « inselvatichire la vita pubblica ».
Non si tratta dunque di distruggere ogni forma di democrazia, bensì di applicarla pienamente, sottolinea Di Benedetto, tramite « la partecipazione attiva, l’educazione politica e il controllo della sfera pubblica da parte del popolo ». La rivoluzione consiliare propugnata da Luxemburg – se ne conclude – non ha niente a che vedere con le rivoluzioni borghesi e con lo spargimento di sangue, il terrore, l’assassinio politico, armi tipiche delle minoranze rappresentative delle classi in ascesa che insorgono per sottrarre il potere alle minoranze che lo detenevano. Non c’è alcun bisogno di ricorrere alla violenza: la rivoluzionaria spartachista, pur essendo convinta del carattere tragicamente violento della storia, mette al centro del suo pensiero e della sua pratica il nesso democrazia-socialismo e sottopone a noi qui e ora, afferma lo studioso, il problema dell’autogoverno degli individui associati e la questione ineludibile del rapporto tra economia e politica alla luce della democrazia.
Con la critica marxiana dell’economia e la tesi in sostegno di una democrazia socialista concorda la visione della natura che Rosa Luxemburg rende manifesta nelle lettere alle amiche e agli amici e alla quale Di Benedetto riserva pagine illuminanti nel capitolo «Una coscienza ecologica ». Esse denotano gli aspetti essenziali dello sguardo di una donna che da un lato vede le risorse naturali come fonti materiali di sostentamento per l’intera umanità e dall’altro si lascia continuamente sorprendere dalla bellezza di un paesaggio come di una cinciallegra, e che nondimeno è consapevole tanto degli esiti disastrosi di una catastrofe ecologica innescata da una determinata organizzazione della società e da una tecnica della produzione protese nella ricerca inarrestabile di un plusvalore illimitato quanto della correlazione tra ingiustizia ambientale e ingiustizia sociale. A questo proposito Di Benedetto cita due lettere scritte nel 1917 da Rosa Luxemburg nel carcere di Wronke e indirizzate rispettivamente a Sonja Liebknecht e a Hans Diefenbach; nei passi riportati si esplicitano la relazione tra sviluppo industriale dell’agricoltura in Germania e lento declino degli uccelli canori e le ricadute dei disastri ambientali sui contadini e più in generale sui soggetti sociali più deboli, ma egli non riduce l’approccio dell’analista dell’accumulazione del capitale a una sorta di determinismo economico.
Infatti, da una parte Di Benedetto valorizza l’originalità del percorso di Rosa Luxemburg nella « ridefinizione di un nuovo paradigma conoscitivo con il quale esprimere una razionalità differente, più attenta alla mutazione delle determinanti storiche, più vigile nell’analisi dello svolgimento delle relazioni che i soggetti produttivi intrecciano fra loro e, infine, più sensibile allo sfruttamento degli oppressi e alla mercificazione della natura». Dall’altra parte, egli ne evidenzia gli aspetti creativi e li collega a una qualità precipua della sua personalità, ovvero l’attenzione rivolta dalla rivoluzionaria polacca agli elementi della natura, a quelle piccole cose – un filo d’erba o un calabrone – che procurano gioia durante una passeggiata o una visita a un orto botanico, alle minuscole meraviglie che sono fonte di felicità inaspettata anche in una cella buia, come emerge dalla preziosa corrispondenza. Lo studioso giunge così a stimare in modo avveduto Rosa Luxemburg « l’artefice più autentica di una genuina ecologia mentale, prima ancora che politica e sociale » e a metterne in risalto la « tensione spirituale» che le permette di entrare in «una relazione empatica con tutti gli esseri viventi che apre a una visione del dolore e della sofferenza a partire dalla quale riaffermare le ragioni della lotta politica e dell’impegno rivoluzionario ». Questa relazione empatica svelatrice della sofferenza primigenia che accomuna tutti gli esseri viventi libera il nostro sguardo dall’offuscamento della realtà sociale e rinnova il desiderio di giustizia. giustizia.
La primavera che viene è il libro di un uomo che si china con sagacia sul pensiero di una grande donna – pensiero il cui segreto è la vita stessa – e che ha altresì il pregio di rilevare nell’ itinerario della militante polacca il connubio tra la politica autentica, mai disgiunta dall’amore per il mondo, e « l’eternamente umano ». Da questo connubio scaturisce l’ammonimento primario per noi lettori e lettrici del volume di Giovanni Di Benedetto: ciò che conta è rimanere umani, ovvero decentrarsi, accogliere, curare con rispetto, e rigettare in ogni ambito della vita personale e nelle comunità di cui siamo e/o facciamo parte l’agire strumentale – in fondo è questa la lezione di Rosa Luxemburg. Se è nostro desiderio rompere le catene della disumanità e sottrarre potere alla colonizzazione delle esistenze di tutti e alla violenza rapinatrice di fauci insaziabili non rimane che ancorarci a questa lezione e persistere nel non tradire mai l’umano, ovvero nella fiducia nella potenza irradiante di un pensare e di un fare mai separati perché « … nonostante la neve, il gelo e la solitudine, noi — le cinciallegre ed io — crediamo all’arrivo della primavera », le parole di Rosa che hanno contribuito al bel titolo di questo volume.