In questo momento nessuno può prevedere come evolverà la guerra in Ucraina. Le notizie si susseguono in un’alternanza tra terribili cronache di massacri e devastazioni, e timidi spiragli di pace. Una cosa è tuttavia certa: comunque vada a finire, la nostra vecchia Europa è tra quelli che la guerra l’hanno già persa 

 

Dopo due anni di emergenza pandemica, per altro ancora per nulla finita, e con la guerra praticamente sull’uscio di casa, l’economia europea vive un momento di terribile difficoltà. Come è ormai noto a tutti, dagli scambi con la Russia la nostra economia è fortemente dipendente, sia per le forniture di gas che per il grano, i cui prezzi sono infatti enormemente lievitati. Le previsioni più pessimistiche fissano all’8%  la possibile crescita dell’inflazione nel nostro paese entro la fine dell’anno. In simili situazioni, e secondo le imperanti logiche neoliberiste, alla BCE non resterebbero che due scelte: o alzare i tassi aggravando la recessione con effetti catastrofici per il nostro debito pubblico, oppure lasciare correre i prezzi per salvare l’economia, ma con gravissimo danno per le classi lavoratrici ormai da decenni non più tutelate dalla scala mobile. Tutti questi effetti non sono di breve periodo. L’inflazione quando parte tende ad autoalimentarsi, e comunque anche una auspicabile fine della guerra non esaurirà i suoi effetti negativi. Le strozzature nel commercio internazionale permarranno e resterà difficile l’approvvigionamento delle materie prime, con perdurante danno per i paesi europei la cui ricchezza si fonda sostanzialmente su una economia di trasformazione.

Ma sul lungo periodo le conseguenze della “sconfitta” dell’Europa non saranno solo di natura economica. E’  fortemente probabile che la conclusione della guerra, anche nella migliore delle ipotesi con lo scongiurarsi degli scenari più catastrofici, lascerà comunque il mondo profondamente diviso. Per la verità, non c’era certo bisogno della guerra in Ucraina per capire che una nuova guerra fredda era all’orizzonte tra due blocchi contrapposti, con gli USA da una parte, e l’emergente Cina dall’altra. La novità sta oggi nel fatto che le ostilità tra la Russia e l’Occidente, come è facilmente prevedibile, rimarranno oltre la durata del conflitto armato, con un quasi scontato riavvicinamento tra le due potenze eurasiatiche. A questo punto, nella geopolitica dello scontro tra superpotenze, al fronte del pacifico si aggiungerebbe il fronte europeo, con i nostri paesi e l’intera UE catapultati trent’anni, e più, indietro nella storia, nella condizione tragica della terra di confine col nemico, con la guerra sempre pronta a deflagrare e con un clima sociale e culturale inevitabilmente imbarbarito e avvelenato. 

Una conseguenza di questa nuova situazione potrebbe darsi anche in tempi stretti. Pare infatti che tra le varie soluzioni prospettate per la fine della guerra in atto, ci sia quella di una Ucraina che rinuncia alla adesione alla NATO, ma che viene immediatamente ammessa nell’Unione Europea. La cosa naturalmente presuppone che noi cittadini del vecchio continente dovremmo ignorare, come nulla fosse, il forte inquinamento nazista delle istituzioni di un regime nato da quel colpo di stato del 2014, come si sa, fomentato, organizzato e realizzato da formazioni armate di estrema destra (secondo molti finanziate dagli Stati Uniti, ma questo non è ovviamente dimostrabile). E’ vero che questo tipo di pratiche non sarebbero una novità, visto che in passato la NATO, nello scontro con la vecchia Unione Sovietica, non si fece nessun problema ad annettere tra le sue fila la Spagna franchista e la Grecia dei colonnelli. Ma l’Unione Europea non è solo una semplice alleanza militare come la NATO, ma un progetto politico ed economico che, almeno alle sue origini, voleva essere di ampio respiro, e che oggi, già inquinato dai venti di guerra (attuali e futuri), potrebbe avere con la circolazione al suoi interno del virus nazista, la sua ingloriosa e (per tutti noi) catastrofica conclusione. 

A volere approfondire la questione potremmo però anche dire che l’Europa la guerra di oggi l’ha già persa trent’anni fa. All’indomani della caduta del muro di Berlino, quando la NATO, almeno apparentemente, non aveva più alcun senso, l’Europa, ormai liberata dall’incubo nucleare, avrebbe dovuto avere la forza (necessaria nei momenti topici della storia) per affrancarsi definitivamente dalla subordinazione al colosso statunitense. Sarebbe stato necessario avviare un vero processo di fratellanza e di unificazione politica, invece di accontentarsi di una storpia unità economica condizionata dagli interessi della Germania. Va da sé che nell’ipotesi più radicale e conclusiva della nascita degli “Stati Uniti d’Europa”, la nuova formazione sarebbe potuta diventare col tempo una superpotenza imperiale, egemonica e guerrafondaia come le altre che si contendono il dominio nello scacchiere mondiale. Ma credo che questa sfida, con tutti i suoi pericoli, sarebbe potuta essere anche accettata dalle forze antagoniste anticapitaliste e antimperialiste europee (idealmente considerate, al di là delle loro attuali debolezze) in virtù della stessa complessità irrisolta della storia europea. L’Europa infatti è da un lato quella delle conquiste coloniali, delle stragi, dei genocidi e del furto di ogni ricchezza, perpetrati per secoli, in ogni angolo del mondo. Un ruolo che dopo la follia di due guerre mondiali è stato ormai da tempo lasciato agli USA. D’altra parte esiste un’altra Europa, libertaria e rivoluzionaria, con secoli di lotte, rivolte e conquiste alle spalle. Una Europa altra, una Europa che avrebbe potuto scrivere un diverso futuro per sè e per il mondo.

Una storia ed una tradizione che può oggi ancora rivivere in un vero movimento per la pace, contro ogni guerra, ma anche contro ogni oppressione, furto di ricchezze, pretese egemoniche e distruzione delle risorse del pianeta. Un percorso difficile ma non impossibile. In fondo le tradizioni, quelle cattive, ma anche quelle buone, sono dure a morire, e questa è oltretutto l’unica via per salvare la terra (ma anche per la rinascita del nostro continente).