Sono state commemorate a Gračanica e a Kosovska Mitrovica le vittime delle violenze del 17 marzo 2004 in Kosovo.
Il 18° anniversario della violenza a sfondo etnico e di matrice etno-politica contro i serbi, in prevalenza, e contro altre comunità non-albanesi in Kosovo è stato commemorato con una funzione religiosa e un evento civile, di memoria pubblica, sul tema «Non abbiamo alcun diritto di dimenticare», nella città di Gračanica; il capo dell’ufficio del governo serbo per il Kosovo, Petar Petković, come riferito dalla stampa, ha descritto, nell’occasione, le violenze di marzo come «un terribile pogrom» e «un crimine rimasto impunito». «Alcun 17 marzo – ha proseguito – dovrà accadere mai più, la data del 17 marzo deve essere ricordata perché l’ideologia del male non dovrà mai più essere consentita». Prima dell’evento, a Gračanica, il vescovo di Raška e Prizren (Kosovo), Teodosije, ha celebrato anche una funzione religiosa commemorativa nel vicino Monastero, una fondazione del re serbo Stefan Milutin del 1321, uno splendido esempio di monastero ortodosso in stile bizantino, patrimonio mondiale UNESCO dell’umanità.
Le associazioni dei familiari delle vittime, esponenti di forze politiche e sociali e cittadini hanno poi deposto fiori, come di consueto, presso il monumento commemorativo dei dispersi delle violenze di marzo, il Monumento «Missing», presso il Centro Culturale di Gračanica. Evento commemorativo si è svolto anche a Kosovska Mitrovica, nel Nord del Kosovo, sul tema «Il giorno in cui tutto bruciava e fu silenzio», anche in questo caso accompagnato da una funzione commemorativa e dalla deposizione di fiori presso il Monumento, a ridosso del ponte, denominato «Angelo Bianco», che conserva la memoria delle vittime dei bombardamenti compiuti nel corso dell’aggressione NATO alla RF di Jugoslavia della primavera del 1999. Un evento si è tenuto anche al Teatro Nazionale di Belgrado.
La violenza etnica contro le comunità serbe e non albanesi in Kosovo nel corso dei disordini del 17 marzo 2004, protrattisi, in effetti, per tre giorni, è una delle pagine più oscure e tragiche di nazionalismo e di violenza a sfondo etnico nella storia del Kosovo post-guerra. Secondo il Rapporto OSCE-UNMIK su tali eventi (“Quattro anni dopo. Sviluppi inerenti ai casi legati ai disordini del marzo 2004 di fronte al sistema della giustizia penale del Kosovo”, luglio 2008), «gli eventi drammatici e violenti del marzo 2004 hanno rappresentato una grave battuta d’arresto per il Kosovo nei suoi sforzi per diventare una società multietnica e tollerante che rispetta i diritti delle comunità non maggioritarie e lo stato di diritto». Si è trattato infatti di un’esplosione di violenza, sotto forma di un vero e proprio pogrom contro le comunità serbe e non albanesi in molte località in tutta la regione, scoppiata a seguito dell’annegamento di tre bambini albanesi, per il quale erano stati falsamente accusati dei serbi e che si è erroneamente ritenuto un crimine di matrice etnica. Come conseguenza dei disordini, della violenza e del pogrom, secondo il rapporto OSCE-UNMIK, «le manifestazioni si sono rapidamente dirette contro i serbi in tutto il Kosovo; 19 persone sono state uccise, più di 900 sono rimaste ferite e più di 800 edifici sono stati distrutti o danneggiati (tra cui 29 chiese o monasteri). Secondo una stima, più di 50.000 persone hanno preso parte ai disordini». Come è stato chiarito, secondo la Nota Stampa redatta dall’UNMIK del 14 marzo 2008, i reati includono, tra gli altri, 19 omicidi, 629 incendi dolosi, 33 saccheggi, 12 attacchi con granate, 20 rapine e 153 furti, numerosi danneggiamenti; ma il computo non è semplice, per una tale situazione di caos, di disordine e di violenza tanto diffusa e generalizzata.
Il primo incidente nei giorni che hanno immediatamente preceduto gli eventi ha avuto per vittima un giovane serbo del Kosovo nel villaggio di Čaglavica/Çaglavicë (presso Prishtina) il 15 marzo, che ha portato a un blocco da parte dei serbi del Kosovo della strada principale Prishtina-Skopje appena fuori il capoluogo. Il secondo incidente, il 16 marzo, è stato invece, come accennato sopra, la morte di tre bambini albanesi per annegamento nel fiume Ibar presso Zubin Potok (poco distante da Kosovska Mitrovica nel nord del Kosovo). Secondo il rapporto sulla Missione UNMIK (Rapporto S/2004/348, 30 aprile 2004), «l’assalto condotto dagli estremisti albanesi contro le comunità serbe, rom e ashkali del Kosovo ha rappresentato una campagna organizzata, diffusa e mirata. Gli attacchi ai serbi si sono verificati in tutto il Kosovo e hanno coinvolto principalmente comunità stabilite, che erano rimaste in Kosovo nel 1999, nonché un piccolo numero di siti destinatari di recenti rimpatri. Le proprietà sono state demolite, strutture pubbliche come scuole e cliniche sono state distrutte, le comunità sono state circondate e minacciate e i residenti sono stati costretti a lasciare le loro case. Gli abitanti di interi villaggi sono stati costretti alla fuga e, dopo la loro partenza, molte case sono state date alle fiamme e rase al suolo. In altri casi vi sono stati tentativi di occupare abusivamente e, in alcune circostanze, di prendere abusivamente possesso di proprietà abbandonate». Tra le finalità politiche della violenza, per le caratteristiche delle spoliazioni e dei saccheggi, dunque, non solo la volontà di intimidire le comunità serbe rimaste, ma anche di rallentare ed impedire il rientro dei serbi dopo la guerra.
Tra le conseguenze, degna di nota e assai dolorosa anche la perdita di un inestimabile patrimonio culturale: almeno trenta i siti culturali distrutti completamente o parzialmente, tra cui anche siti che erano già stati, come parte del patrimonio serbo-ortodosso, precedentemente colpiti o vandalizzati dopo la guerra: come detto, 29 tra chiese e monasteri, decine di edifici afferenti, edifici e residenze ecclesiali, ad esempio, portando a oltre un centinaio il conto dei luoghi colpiti. Il complesso di Nostra Signora di Ljeviš (Bogorodica Ljeviška), a Prizren, patrimonio mondiale UNESCO dell’umanità, dato alle fiamme (gli affreschi del XII – XIV secolo devastati); la Chiesa del SS. Salvatore a Prizren (XIV secolo), data alle fiamme; la Cattedrale di S. Giorgio a Prizren (1856), data alle fiamme; la Chiesa di S. Nicola (Chiesa di Tutić), la Chiesa di S. Giorgio (Chiesa di Runović), la Chiesa di S. Kyriaki (Sv. Nedelje) a Potkaljaja (Prizren), le Chiese di S. Panteleimon e dei SS. Cosma e Damiano, ancora a Prizren, date alle fiamme; il Monastero degli Arcangeli a Prizren (XIV secolo), vandalizzato e incendiato; il Seminario Ortodosso colpito; e ancora il Monastero di S. Joanikije di Devič (1434) saccheggiato e dato alle fiamme, la Chiesa di S. Nicola a Kosovo Polje saccheggiata e la Chiesa di S. Elia a Podujevo, non lontano da Mitrovica, distrutta, con il vicino cimitero serbo, qui come in altre località, profanato. I tragici eventi del marzo 2004 non vanno dimenticati; per tenere viva la memoria, dunque, contrastare la violenza e ribadire l’esigenza della convivenza, il rispetto delle culture, la tutela della pace.