Sono volontario presso il centro di prima accoglienza migranti dell’isola di Pantelleria da più di un mese. Sto comprendendo tanto, fortunatamente anche col cuore. 

Pantelleria, isola dura e dolcissima, di vento e quiete, è paradossale come gli occhi dei migranti che vi approdano: scappano da guerre, carestie, persecuzioni, eppure hanno la luce negli occhi.

Mama Sara, così la chiamano i migranti che da Tunisia, Marocco, Egitto arrivano al centro costantemente, si occupa di loro con sincera cura: lei lava per loro indumenti, li asciuga con attenzione, compra per loro quelle “piccole” cose che al nostro sguardo di occidentali sazi della vacuità possono apparire di poco conto, come un dolcetto o uno yogurt alla fragola. 

Le ho visto stringere le mani di un ragazzo tunisino tachicardico con sincera premura, nel silenzio. Gli occhi di loro nei suoi occhi, gli occhi di lei nei loro. Così dovrebbe essere fra noi esseri umani. 

Questi ragazzi vedono nell’Italia l’«amore»: molti scrivono ripetutamente questa parola in arabo, inglese, francese, italiano accanto al nostro tricolore su fogli di quadernone. Anche questo è strano: “amore”. Luce negli occhi e questa parola che dai “migranti” è usata nel suo più pieno significato: “senza morte”. Potrebbero disegnare mitragliatrici, cuori neri, bestemmiare, loro, che anche in questi mesi di inverno indossano soltanto calze e infradito, e invece “amore”, “amore”, “amore”. 

Non lo sostengo io, lo testimoniano i loro occhi, i loro disegni. 

Da loro sto imparando la riconoscenza, la speranza che sbaraglia la paura e il dolore vissuto, il sorriso. Da Mama Sara la lotta senza sosta piena di fiducia per un’umanità sempre più rara, e Le cammino un passo indietro, come si fa nei confronti di chi è veramente regale.

 

19.03.22