1. Ogni giorno che passa la guerra in Ucraina si rivolge sempre più contro la popolazione civile mentre i governi di stampo nazionalista, da entrambe le parti, non riescono a trovare un punto di mediazione per le loro pretese economiche e geopolitiche, affidandosi alla logica del più forte ed allo scontro armato. Una situazione che non potrà che aggravarsi in assenza di una effettiva capacità di mediazione delle istituzioni internazionali, travolte dalla nuova divisione del mondo in blocchi.
Si moltiplicano le segnalazioni di persone di origine asiatica ed africana bloccate alle frontiere esterne dell’Unione Europea o trattenute dalle guardie di frontiera ucraine con metodi brutali. Come riferisce l‘ANSA, più di 10.000 studenti arabi, tra cui molti marocchini ed egiziani, ma anche iracheni o siriani in fuga dalle zone di conflitto, si sono ritrovati intrappolati nel conflitto in Ucraina. Secondo la stessa fonte ” l’ambasciata d’Egitto, un Paese con 6.000 cittadini in Ucraina, più della metà dei quali studenti, la maggior parte registrati a Kharkiv, ha dichiarato su Facebook che sta coordinando l’evacuazione dei suoi cittadini in Romania e Polonia. Marocco, Tunisia e Libia hanno anche assicurato di prepararsi all’uscita dei loro cittadini nei paesi vicini. Il Marocco li ha invitati a recarsi ai punti di accesso al confine con Romania, Ungheria, Slovacchia e Polonia. La Tunisia, che non ha un’ambasciata in Ucraina, invierà aerei in Polonia e Romania per rimpatriare i suoi cittadini che desiderano partire tra i 1.700 residenti in Ucraina, l’80% dei quali sono studenti”. Solo una minima parte di loro ha potuto raggiungere la Polonia o la Moldavia o è stata evacuata con voli nazionali organizzati da singoli stati come la Libia o la Tunisia. Altri voli sono stati organizzati dallo Sri Lanka, e dall’India ma non si hanno notizie di altre evacuazioni verso i paesi di origine.
Dietro la retorica dell’accoglienza (soltanto) dei profughi ucraini si cela una evidente discriminazione. Chi opera questa distinzione e respinge le persone da anni, nel Mediterraneo, condivide politiche di frontiera che possono determinare altre guerre. Con il rafforzamento della NATO e le proposte di un ulteriore allargamento dell’Unione europea ad oriente si rischia di creare le premesse per l’inasprimento del conflitto ed un ulteriore indebolimento complessivo delle istituzioni europee, apparentemente unite oggi in una logica di guerra e contrapposizione di blocchi, ma sempre più divise da tempo sul riconoscimento dei diritti fondamentali e dello Stato di diritto. Divisioni che non potranno essere superate con il rafforzamento della difesa comune e degli armamenti contro il nemico esterno. Occorre una politica comune europea in materia di diritti umani ed anche nel settore dell’immigrazione e dell’asilo, a partire da una revisione sostanziale del Regolamento Dublino III del 2013.
La stessa incapacità dei governi di risolvere i conflitti sulla base del diritto internazionale, già sperimentata da anni durante le crisi in Palestina in Iraq, in Siria, in Afghanistan, ed in tanti altri paesi africani e asiatici, si manifesta oggi di nuovo in Europa, quasi tre decenni dopo le guerre nella ex Jugoslavia, con conseguenze devastanti, intanto sui civili ucraini, ma a breve in tutti i paesi dell’Unione Europea, ancora in difficoltà per la crisi economica, sanitaria e sociale derivante dalla pandemia. I problemi più gravi non verranno certo dall’arrivo di profughi, si stima che siano già oltre un milione, che i diversi paesi europei si accingono ad accogliere dopo che i vertici di Bruxelles hanno attivato le misure di accoglienza temporanea previste dalla Direttiva 2001/55/CE. I sistemi di accoglienza nazionali, nei diversi paesi europei, hanno capacità di fare fronte anche ad un numero tanto elevato di persone costrette alla fuga dalla guerra. Nel 2015 la Germania riuscì da sola a garantire accoglienza ad oltre un milione e mezzo di profughi di guerra siriani e di altre nazionalità. La guerra in Europa, dopo una prima fase di risposta ad una emergenza militare, e di accoglienza umanitaria, potrebbe deflagrare anche a livello di rapporti politici, sociali ed economici sul piano interno. Dietro una apparente solidarietà nazionale i partiti nazionalisti e populisti stanno affilando le armi della propaganda.
2. Sono i sistemi politici nazionali, dominati o condizionati da partiti che non sembrano più capaci di fare fronte alle crescenti disuguaglianze sociali derivanti dall’aggravarsi della crisi economica, per effetto dell’aumento dei prezzi, senza uscire dalla logica della guerra al nemico interno, già adottata con successo da anni, come prosecuzione della guerra oltre le frontiere. Nulla potrà essere come prima, si doveva capire dopo le ondate della pandemia da Covid 19, lo imporrà oggi la deflagrazione della guerra in Europa. E’ forte ovunque, nei paesi in cui si andrà a votare, il rischio di una svolta autoritaria.
La distribuzione dei profughi provenienti dall’Ucraina nei diversi paesi europei, nei quali presto si andrà a votare, come in Francia ed in Italia, potrebbe avere conseguenze devastanti sull’esito del voto e quindi sulle politiche migratorie nazionali e sulla discriminazione nei confronti di tutti gli altri migranti forzati provenienti dall’Africa e dall’Asia. A partire da quelli intrappolati alle frontiere della Polonia con la Bielorussia e l’Ucraina, e di quelli che premono alle frontiere dell’Ungheria, della Moldavia, della Romania. Una discriminazione che proseguirà anche a livello nazionale, in Italia, con un rafforzamento degli accordi di respingimento collettivo illegale su delega ai paesi che non rispettano i diritti umani, come l’Egitto e che sono altri focolai di guerra, come la Libia. Paesi che al pari di tanti altri Stati di origine di migranti forzati, come il Sudan, l’Eritrea, il Niger, il Mali, rischiano di cadere sotto l’influenza russa e cinese. Sono tutti paesi che potrebbero usare a comando la “bomba migratoria” contro gli Stati più esposti dell’Unione europea come la Grecia e l’Italia. Come si è sperimentato già al confine tra la Bielorussia e la Polonia. Il prologo della guerra in Ucraina. Le politiche migratorie, le relazioni esterne dell’Unione europea e dei singoli Stati, e le politiche di guerra saranno sempre più intrecciate.
3. In Italia fa davvero rabbrividire il doppio gioco praticato da politici come Salvini che dopo avere basato la sua personale guerra contro i soccorsi in mare operati dalle ONG sulla negazione dei Regolamenti europei, del diritto internazionale del mare e degli obblighi di soccorso che questo prevede, riconosciuti adesso dalla Corte di Cassazione, riscopre il pacifismo ed invoca il diritto internazionale e le norme europee per i soccorsi alla popolazione ucraina, distinguendo però da questa tutte quelle persone di diversa nazionalità non ucraina che cercano di fuggire dalla guerra ma che vengono bloccate con la violenza in territorio ucraino o alle frontiere dell’Europa di Schengen. Come se i migranti asiatici ed africani, in gran parte richiedenti asilo, o migranti forzati, ”portassero la guerra” nel nostro paese.
Quando Putin visitava il nostro paese o riceveva emissari italiani dei partiti di destra a Mosca, e violava il diritto internazionale nessuno batteva ciglio, anzi invocava l’appoggio di Mosca per il sostegno dei partiti nazionalisti e populisti. Oggi quegli stessi politici blaterano di accoglienza ma distinguono in base al colore della pelle o della nazionalità chi fugge dalla guerra in Ucraina. Una discriminazione che corrisponde al filo spinato ed alle manganellate che le guardie di frontiera ucraine e polacche infliggono ai migranti africani e asiatici in fuga dai bombardamenti.
La distinzione tra profughi e migranti economici che in questi giorni viene rilanciata dalle destre contrasta con il diritto internazionale e con il diritto dell’Unione europea che non precludono a nessuna persona di lasciare il proprio paese ( art. 13 della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo) e di entrare in uno stato sicuro per chiedere asilo, senza essere vittima di un respingimento collettivo ( art. 33 della Convenzione di Ginevra).
Quando Salvini parla di “profughi veri” e di “guerra vera”, seguito dalle farneticazione di parlamentari europei come la Ceccardi, che ipotizzano l’ingresso dall’Ucraina di migranti partiti dall’Africa, mentre da parte del governo manca un vero progetto di mediazione politica a livello internazionale e di riformulazione dei sistemi di accoglienza in Italia, si completa lo scenario che attende il nostro paese nei prossimi mesi. Tra una crisi economica devastante, sia a livello internazionale che a livello nazionale, ed una serie di guerre che deflagreranno come effetto domino, anche in Africa, si pensi alla Libia,o al Sahel, ed in oriente, dove la prossima vittima potrebbe essere Taiwan. Si può attendere così il rilancio della propaganda nazionalista e populista in occasione delle prossime scadenze elettorali ed una discriminazione sempre più forte sia tra le diverse categorie nazionali di migranti e profughi che tra gli strati più deboli della popolazione autoctona. La “guerra tra poveri” potrebbe essere l’arma vincente per le prossime elezioni in molti paesi europei.
4. Oggi non basta chiedere soltanto un cessate il fuoco. La guerra in Ucraina richiede un superamento dei nazionalismi e dei populismi, da qualunque parte siano schierati, con un ritorno alla democrazia rappresentativa, al principio di solidarietà ed al multilateralismo, per la pace e la coesione sociale non ci sono altre prospettive. Nessuno può credere che si possa ritornare al modello di sviluppo anteriore alla pandemia ed allo scoppio della guerra più devastante che l’Europa abbia conosciuto dopo la seconda guerra mondiale. La politica estera, la gestione delle frontiere e il controllo della mobilità delle persone vittime di guerre e di crisi energetiche ed ambientali senza precedenti, vanno ricondotte al rispetto effettivo dei diritti umani e del diritto internazionale. Non solo sulla carta, ma a partire dall’immediato transito attraverso le frontiere di tutte le persone di diversa nazionalità attualmente intrappolate ai confini esterni dell’Unione Europea. Allo stesso tempo devono essere garantiti il diritto al soccorso in mare ed il diritto a chiedere asilo in un paese sicuro. Per questo vanno revocati tutti quegli accordi, come il Memorandum d’intesa Gentiloni del 2017 tra Italia e Libia, che prevedono respingimenti verso paesi che non rispettano i diritti umani oppure nei quali si commettono crimini contro l’umanità che nessuno denuncia. Sui quali non si accendono i riflettori dei grandi media internazionali.
Se effetto della guerra sarà il rafforzamento dei blocchi, con una nuova “cortina di ferro” e l’estensione della Nato anche nei paesi più vicini all’Unione sovietica, con l’innalzamento di muri sempre più alti a difesa dell’Europa, e della sua “identità”, i rischi di guerra non saranno affatto allontanati. Se a questo corrisponderà, a livello nazionale, l’affermazione di partiti nazionalisti e populisti, e quindi una svolta autoritaria con politiche discriminatorie verso i migranti e le componenti più deboli della società, per le democrazie europee già in crisi da anni non vi sarà scampo. La protezione e l’assistenza alle popolazioni civili vittime di conflitti non può legittimare in alcun modo il riconoscimento della superiorità del nazionalismo e dei regimi autoritari con la istituzionalizzazione del modello dello stato di emergenza permanente. La politica e la società civile europea sono davanti ad una sfida enorme. Vanno ricostruiti nuovi modelli di convivenza basati sulla tolleranza, sulla compatibilità ambientale, su un economia sostenibile e sulla solidarietà sociale Se dallo stato di emergenza permanente, sperimentato per anni sul terreno delle politiche migratorie, e che non deriva solo dalla guerra, non si potrà più uscire, potrebbe essere la fine degli Stati democratici, come li abbiamo conosciuti a partire dalla conclusione della seconda guerra mondiale. I muri di frontiera si moltiplicheranno attorno e “addosso”( come ci diceva 12 anni fa Luca Rastello) tutti coloro che, fuggendo dai paesi più disparati del mondo, si trovano in posizione di svantaggio sociale ed economico, con la negazione dei diritti fondamentali e la moltiplicazione dei casi di discriminazione. Un destino comune riguarda tutti noi, non solo i migranti ed i profughi.
pubblicata in contemporanea anche su ADIF