Zhytomyr (Ucraina). Si fa silenzio, ma è solo un attimo.
Interrotto da una, due e poi tante risate.
Nastya, Diana e gli altri non se l’aspettavano, quella domanda. Eppure il vicesindaco Viktor Kliminskij ha appena raccontato delle ultime email ricevute con gli allarmi bomba per i supermercati e le scuole.
Solo tre settimane fa il ministero dell’Istruzione ha ordinato che qui a Zhytomyr, una cittadina del nord-ovest dell’Ucraina, in tutti gli istituti si tenessero esercitazioni per raggiungere rifugi in caso di bombardamento.
“La frontiera con la Bielorussia, dove sono in corso le esercitazioni militari avviate da Mosca, dista appena 130 chilometri” ha ricordato Kliminskij.
Lo scenario di un’invasione da nord è il più improbabile tra gli almeno tre ipotizzati, ma oggi a Zhytomyr nessuno si sente di escluderlo del tutto: l’offensiva dal confine della Bielorussia, diretta verso Kiev, per la presa della capitale.
Le altre due possibilità, ritenute più credibili della prima, riguardano una nuova offensiva nel Donbass, una regione orientale già dal 2014 in parte sotto il controllo di amministrazioni separatiste alleate di Mosca, e un colpo sul fronte sud, quello che raggiunge Odessa, una città dove i russi per ragioni storiche e culturali
si sentono di casa.
Gli scenari di guerra sembrano però fermarsi fuori dal cancello della Scuola ucraino-italiana “Vsesvit”: la parola vuol dire “Universo”, la ricetta è l’incontro, anche grazie all’impegno di un sacerdote emiliano, don Giuseppe Dossetti.
Ma torniamo a Nastya e Diana. Hanno 16 e 19 anni e se ne stanno con le amiche al secondo piano, nell’oratorio, accanto alla sala del pingpong.”Ci veniamo anche quattro volte la settimana” sussurra Nastya. “Ci piace perché ci sentiamo sempre accolte, mai giudicate; chiacchieriamo insieme e immaginiamo nuove cose da fare”.
Dimenticate i telegiornali, questo è un altro mondo: i carri armati russi subito al di là del confine, con Joe Biden e Vladimir Putin a scambiarsi minacce, non sembrano così vicini. Forse è un’impressione.
Forse è solo che questi ragazzi sentono la politica come qualcosa di infido e pericoloso: normale non abbiano voglia di parlarne. Anatolij Gryban, animatore ventenne dell’oratorio, qualcosa
però si sente di dirla: “La pressione sull’Ucraina sta crescendo, le parole dei politici non ci piacciono; alla Scuola continuiamo gli incontri normalmente, senza perderci d’animo”.
Forse è anche che l’Ucraina la violenza la vive ormai da tempo, almeno dal 2014, l’anno degli spari sui manifestanti a Kiev, della caduta di un governo che era in buoni rapporti con Mosca e poi a seguire dell’annessione russa della Crimea e del conflitto nel Donbass.
“Anche qui a Zhytomyr abbiamo avuto tanti morti” riprende Kliminskij, il vicesindaco.
“Le loro foto sono sul muro accanto alla cattedrale, in centro”. Sotto cupole azzurre e croci d’oro ci sono volti, nomi e date, spesso il 2014. Per loro, le vittime del conflitto del Donbass, anche mazzi di fiori e un monumento di
vetro. “Gli eroi non muoiono” c’è scritto sotto.
Nella Scuola le parole sono anche altre. C’è chi continua a guardare oltre il confine senza voler colpire un nemico, come don Dossetti. Nipote di un altro Giuseppe, partigiano poi padre costituente, oggi ha 75 anni. Resta lui il primo sostenitore della Scuola, sin dalla fondazione nel 1994.
Insieme con gli amici del Centro di solidarietà di Reggio Emilia onlus, era arrivato a Zhytomyr in pullman per visitare la sede episcopale latina più a oriente d’Europa.
Il Muro di Berlino era caduto e l’Unione Sovietica non esisteva più. A Zhytomyr lui aveva incontrato Sofia Beliak, una signora minuta e battagliera, che era stata condannata a dieci anni di carcere ai tempi dell’Urss per aver diffuso libri religiosi.
“C’eravamo appena conosciuti”, ricorda oggi lei, “e don Giuseppe mi chiese: qual è il vostro progetto?”
Eccolo: è la Scuola, nata grazie alla rete di solidarietà italo-ucraina. Nel 2020 i missionari di don Bosco ne hanno assunto la gestione e oggi l’istituto è frequentato da 200 studenti, senza contare l’oratorio e il sostegno ai ragazzi con disabilità.
Beliak assicura che, comunque vada, che ci sia un nuovo conflitto o meno, la Scuola resterà la stessa.
“Credo che ci sia tanta disinformazione e che molti ragazzi si sentano disorientati” sospira. Aggiunge “Grazie Reggio Emilia” e fa un saluto che è una promessa: “Insegniamo ai ragazzi ad allargare lo sguardo a tutto il mondo, respingendo l’odio sempre e comunque”. (Dire)
Ucraina: tra i ragazzi della scuola italiana che vogliono la pace
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