Dal sindacato Unione inquilini Nord Milano ci arriva un’ennesima segnalazione: gridano indignati per un’altra storia di ingiustizia. Sesto San Giovanni dà proprio l’impressione di vedere uno scontro strisciante, una progressiva politica di espulsione: eliminare problemi e disagio sociali allontanandoli dalla “nostra” città. Fenomeni che ricordano alla lontana il Brasile, quello di certe amministrazioni che ogni tanto si premurano di “ripulire” il centro della città. Questa volta cerchiamo di parlare con i protagonisti diretti della vicenda, riesco a fare una lunga telefonata con Rita Ben.
Rita, ci racconti cosa è successo?
Da 20 anni vivo in Italia, arrivo dalla Sierra Leone, ho lavorato per anni come aiuto cuoca, fino al 2015 quando la ditta dove lavoravo ha chiuso: non ci hanno nemmeno dato la liquidazione. Nel 2011 conosco qui mio marito, viene dalla Nigeria. Ci sposiamo un anno dopo e negli anni seguenti nascono due bimbe e un bimbo, tra due mesi nascerà il quarto. A suo tempo comprai una casa, ma prima con la perdita del posto di lavoro e poi col covid e le complicazioni anche di mio marito, non potendo più pagare il mutuo, l’abbiamo persa. E’ andata all’asta. Quando a dicembre scorso abbiamo dovuto lasciare la casa, io sono andata per qualche settimana coi bimbi in Svizzera, da mio fratello. Al ritorno siamo stati ospiti da un’amica, ma nel frattempo avevamo avuto l’assegnazione di una casa popolare e ai primi di febbraio ci siamo entrati.
Tutto bene, allora?
Sembrava proprio di sì, eravamo contenti, era una casa grande; avevamo ancora i materassi per terra, ma piano piano ci stavamo sistemando. Le mie due bimbe più grandi vanno alla scuola primaria, sono contente. Il piccino alla scuola dell’infanzia. Mio marito ha trovato lavoro, finalmente in regola. Trovare lavoro in nero è facile, in regola è difficile, ma ce l’ha fatta. Aiuto cuoco in un ristorante di Milano, bene.
E poi cosa è successo?
Una settimana fa si sono presentate le assistenti sociali con un decreto del tribunale. Come se i miei bimbi non avessero casa o fossero abbandonati, ci hanno preso, me e i miei figli e ci hanno portato in una comunità fuori Crema, sperduti in campagna. Ma perché? Ci hanno messi noi 4 in una camera con dentro un bagno senza porta, una vergogna! Da una settimana le mie bimbe non vanno a scuola. Ma perché? Davvero il giudice è preoccupato per i bene dei miei figli? È questo il loro bene? Stivati in 4 in una stanza, senza una finestra?
Durante tutta la telefonata sento il sottofondo dei suoi bimbi che giocano, strillano, ogni tanto lei li richiama e ricomincia a parlare. È arrabbiata, indignata, si sente in carcere, non capisce il senso di tutto quello che è successo. Snocciola date con una gran precisione, come si fossero tutte conficcate in una storia che sembra tutta in salita.
E tuo marito?
È rimasto tra Milano e Sesto, lavora, anche lui non capisce, è nella nostra casa. Abbiamo attivato il sindacato inquilini e il nostro avvocato, ma quello che è successo è una vergogna. Non siamo una famiglia che trascura i propri figli, puoi chiederlo alle maestre.
Faccio quello che dice e rintraccio il contatto di una delle maestre dei suoi bimbi. È un’insegnante che conosce Rita da anni, mi parla di una mamma presente, attenta, che certo ogni tanto va ripresa per ricordarle un appuntamento o perché ritarda quei 5 minuti, ma nel complesso una madre che c’è e c’è sempre stata.
Racconta come, a sorpresa, è avvenuto il prelievo dei bimbi verso le 10 di mattina da parte di due assistenti sociali con un decreto del tribunale. Fino a che la macchina con le due assistenti sociali si allontana coi tre bimbi. Con ogni probabilità raccoglierà la madre per andare di filato nella campagna di Crema. Ora, da una settimana, i bimbi non frequentano più scuola. L’insegnante con cui parlo è indignata, confida che possano tornare presto tra i loro compagni. Nessuno ha chiesto nulla a loro insegnanti, che hanno a che fare con quei bimbi e con la famiglia quotidianamente.
Riparlo con il sindacato inquilini: sono furibondi, in questa storia vedono solo cattiveria. Non è incapacità o svista burocratica, qui c’è solo la volontà di fare del male. Si stanno già muovendo e contano di riportare Rita e i suoi bimbi presto a casa, col loro papà.
Ora vi chiedo di fare un’operazione: sfogliate le pagine locali del quotidiano della vostra città e dite se questa “piccola storia ignobile” non avrebbe avuto diritto di essere raccontata in quelle di Sesto o di Milano. Questa storia in realtà è un campanello di allarme: quello che vediamo davanti a noi non è una primavera in arrivo, ma un lungo “inverno sociale” che avanza. Ci sarà bisogno di altri Charlie Chaplin a raccontare le storie di questi monelli.