Tra Didattica a distanza, didattica digitale integrata, distanziamento, mascherine, misure sanitarie repressive, discriminazione tra vaccinati e non, norme cervellotiche sempre nuove… vacilla il concetto stesso di scuola pubblica. Ne parliamo con Giampiero Monaca, maestro “ribelle” di Serravalle d’Asti, ideatore del progetto educativo Bimbisvegli, che da sempre si batte per una scuola democratica, inclusiva e basata sull’esperienza all’aperto.
Qual è la tua posizione sulle misure “sanitarie” che impediscono lo sport e tante altre attività culturali (biblioteche, musei) ai ragazzi non vaccinati?
Io mi chiedo perché dobbiamo limitare la vita ai ragazzini? Per preservarli da una patologia che per loro non è pericolosa? In cambio però stiamo facendo perdere ad un’intera generazione l’abitudine alla socializzazione, li stiamo disabituando dalla fruizione collettiva di beni e servizi pubblici, li stiamo abituando a vivere in modo individualista, lontani gli uni dagli altri, con gravi ripercussioni sul loro benessere psicofisico. Cui prodest? Gli unici che traggono vantaggio da tutto questo sono le grandi multinazionali e la finanza, e coloro che hanno amministrato male e ridotto a brandelli la sanità negli ultimi 30 anni, con deregulation, distruzione del welfare, privatizzazione.
Cosa ne pensi dell’ultimo decreto che allarga la differenza di trattamento tra vaccinati e non vaccinati anche alle primarie? Il ministro Bianchi dice che non è discriminazione ma una “direzione di marcia”.
E’ un enorme errore. Si sta dimenticando la parità tra le persone. Selezionare i bambini in base alle scelte (più o meno condivisibili) delle famiglie di origine è gravissimo. Vogliamo davvero prendere questa pericolosa strada? Vogliamo davvero catalogare e escludere alcuni bambini perché potenzialmente si possono ammalare più di altri, oppure perché i genitori hanno fatto scelte minoritarie o non condivisibili? E chi altri? E allora chi rimane a scuola? Cosa resta della scuola pubblica?
Anche il ruolo dell’insegnante ha subito un duro colpo in questi due anni, tra paura di contagio e distanziamento dai bambini…
Bisogna che la scuola torni a considerare se stessa un’agenzia educativa. E noi insegnanti dobbiamo ricordarci che siamo prima di tutto educatori, non ci limitiamo ad insegnare, trasmettere un sapere. Il nostro mestiere può avere dei rischi, come ogni mestiere, e chi ha “paura” dei bambini, forse è meglio se cambia lavoro. Non possiamo accogliere un bambino a parole e contemporaneamente mandargli come messaggio non verbale, “stammi lontano perché ho paura di te”, il bambino percepisce la dissonanza.
Ecco, si sarebbe dovuto prevedere la possibilità dell’esonero, dell’aspettativa per quelli che hanno paura, che non riuscivano più a stare accanto ai bambini con serenità. Invece si sono lasciati a casa tanti validi insegnanti, solo perché avevano scelto di non vaccinarsi (ma magari erano guariti, immunizzati naturalmente, in buona salute, ecc…). Anche il modo di fare la scuola andrebbe ripensato, bisogna fare scuola il più possibile all’aperto. A Serravalle lo scorso anno, finché si stava all’aperto, una o più volte al giorno, abbiamo avuto un solo caso di positività. Quest’anno sono arrivati a 4 classi in quarantena, ovviamente senza mai uscire all’aperto.
La scuola pubblica è sotto attacco come mai…
Ho grande paura per la scuola pubblica. Si sono acuite alla grande la percentuale di yesman e yeswoman, le maglie del setaccio sono state ristrette. Dentro alla scuola ci sta bene e fa carriera chi non disturba. Non sempre e non tutti, ma è sempre più la maggioranza, almeno dalla mia esperienza. In realtà il tentativo di restaurazione interno alla scuola, è iniziato anni fa, dalla Moratti e Gelmini in poi. Hanno iniziato con la revisione dei programmi, togliendo la storia del 900 dalle primarie, fino all’attuale tracollo aziendalista, obbedientista e revisionista di ogni ordine e grado. In questi due anni poi c’è stato il colpo di grazia, abbiamo visto impoverire drasticamente il percorso scolastico e l’offerta formativa dei bambini, di relazioni, di cooperazione, e anche di interazione con il pensiero critico. I bambini crescono in una società che esalta il pensiero unico, che ha smesso di farsi le domande, e affronta con iracondia chi prova a dissentire. Tutti gli obiettivi relazionali, di pensiero critico e divergente, le “softskills”, le competenze di cittadinanza, che sarebbero previste dalle indicazioni ministeriali per il curriculo sono impossibili da praticare a scuola, se non in modo solo astratto. Ci sono forze centrifughe, è vero, stanno emergendo tante scuole private e parentali, ed è normale, perché la scuola sta sempre più stretta a tanti. Ma potrebbe anche essere un obiettivo inconfessato di chi governa. Rendere la scuola pubblica in mano ad un pensiero unico, indiscutibile e rigido e dare la possibilità a chi ne ha le possibilità economiche e culturali di crearsi percorsi alternativi e scuole “parallele”. I ragazzi di Don Milani nella Lettera ad una professoressa scrissero: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia”. Bisognerebbe porre in atto scelte collettive, salvare la scuola pubblica, questa è la vera salvezza, questo è fare politica.
A settembre ti sei sospeso perché la dirigente di fatto ti impediva di mettere in pratica il metodo educativo Bimbisvegli. Da allora cosa è accaduto?
Il progetto Bimbisvegli continua dopo la scuola, fuori dalla scuola. La dirigente ha tolto due pomeriggi riducendo l’offerta formativa? E allora noi in quei pomeriggi abbiamo organizzato la “scuola fuori dalla scuola”. Questo progetto in realtà avrebbe potuto essere inserito nell’offerta formativa, e doveva essere presentato al collegio docenti (V circolo) come richiesto da intera equipe didattica, ma la dirigente ha deciso in modo del tutto autoritario di non presentarlo, di non farlo neppure dibattere. Dei 10 progetti quindi solo questo è stato messo da parte, senza darci alcuna motivazione. Noi lo abbiamo fatto lo stesso, volontariamente, come gruppo informale. Prendiamo i bambini, andiamo alla yurta (messa a disposizione da una persona), attraversiamo prati e bosco, mangiamo al sacco, ci ascoltiamo, e facciamo attività didattiche in modo trasversale, dalla prima alla quinta. Stiamo terminando la copertura della cupola geodetica, e poi aspettiamo e accogliamo le occasioni che la natura ci offre. Il 9 marzo faremo la Festa della Terra, pianteremo alberi, coinvolgeremo i genitori, cercando di essere veri e propri custodi della natura.
Le famiglie pagano all’associazione una quota per assicurazione, alcune famiglie contribuiscono alle spese vive. Io non percepisco niente, lo faccio come scelta politica e di attivismo sociale. Anche se, ovviamente, desidererei tornare a fare il mio lavoro di maestro nella scuola pubblica. L’auspicio è che i vertici della scuola capiscano che buttandoci fuori dalla scuola, si sta sciupando un bene comune che aveva portato ad arricchire l’offerta formativa e culturale di questa frazione. Alcuni bambini se ne sono già andati e gli iscritti del prossimo anno sono scarsi. Per il puntiglio autoritario di qualcuno e la gelosia professionale di altri, si mette a rischio l’esistenza di una piccola scuola e della comunità che la circonda.
Interviste precedenti:
https://www.pressenza.com/it/2021/08/tra-digiuno-e-speranza-il-progetto-bimbisvegli-resiste/