E’ diventato difficilissimo esprimere il proprio pensiero critico sull’attuale situazione pandemica senza essere facilmente fraintesi. Se dici una parola contro le scelte del governo sei subito classificato come no vax. Se sollevi dubbi su varie posizioni negazioniste o riduzioniste sulla pandemia, diventi immediatamente un amico dei potenti, politici e big pharma.  Vediamo se riesco a farmi capire separando nettamente la critica al governo della pandemia da quella che rivolgo alle logiche di molti veri o presunti oppositori.

 

il fallimento del governo della pandemia

Alla base della gestione fallimentare della pandemia, innanzitutto nel nostro paese, ma in genere in tutto l’occidente, stanno alcune scelte, ma anche e soprattutto “non scelte”, che sono ormai da tempo ampiamente note, e ampiamente stigmatizzate. Il problema riguarda, come accennato, soprattutto quello che non è stato fatto: Nessuna politica dei tracciamenti. Nessun intervento sugli spazi pubblici con, per esempio, l’incremento dei mezzi di trasporto e delle aule scolastiche, e relativo aumento del personale e degli insegnanti. Nessun intervento strutturale che riguardasse la sanità pubblica, e di conseguenza: Nessuna iniziativa che fosse rivolta al potenziamento della medicina domiciliare e di prossimità; Neanche un posto in più creato nelle terapie intensive; Nessuna proposta sulla cronica mancanza di personale medico, in spregio ai nostri operatori sanitari ormai ridotti allo stremo. 

E’ ovvio che data questa situazione di stallo, la scelta vaccinale, per quanto a mio avviso assolutamente giusta e necessaria, ha finito col diventare, in quanto unica via che si è voluta percorrere, una sorta di panacea di tutti mali, una specie di acqua santa, atta a coprire ogni mancanza e ogni magagna. Il tutto naturalmente solo a condizione che il rimedio salvifico fosse rigorosamente di produzione occidentale, anzi americana (come se lo Sputnik russo  o il Soberana cubano non fossero veri vaccini), e ovviamente purché ne fosse rigorosamente precluso l’uso ai paesi del terzo mondo, in difesa di brevetti e proprietà intellettuale, che per i nostri governanti sono e restano valori sacri, più importanti della vita o della morte della gente.

Una logica perversa che ha finito per fornire ottimi argomenti ai peggiori no vax, e che pare essere giunta a compimento, come ciliegina sulla torta, con l’adozione del green pass, la cui logica sinceramente mi sfugge, se è vero (come è vero) che la reale grande opportunità offerta dai vaccini sta nella loro capacità, non assoluta ma statisticamente molto rilevante, di prevenire le conseguenze più gravi della malattia, morte compresa. Mentre pare che l’immunizzazione non impedisca il contagio e la diffusione del virus. A questo punto credo che il Green Pass altro non sia che una sorta di obbligo vaccinale camuffato. Un espediente meschino da parte di chi non ha il coraggio, ne l’autorità di accollarsi le conseguenze, politiche e legali, delle proprie scelte. Segno evidente del decadimento dello Stato democratico ormai quasi del tutto soggiogato ai poteri globali e di conseguenza incapace di vera mediazione sociale. Uno Stato nazione sempre più svilito e impotente ma, per ciò stesso, paradossalmente sempre più autoritario e repressivo. 

 

contestazione al governo della pandemia e ribellismo individualista

Coloro che mostrano perplessità o riluttanza nei confronti delle pratiche vaccinali rappresentano un mondo complesso e variegato, Si va da chi si limita a sollevare dubbi più o meno plausibili e meritevoli di considerazione, fino a posizioni di pura e inaccettabile irrazionalità. Non posso (e non voglio) entrare in questo labirinto. Mi limito a constatare che forse ciò che unifica tutte le forme di contestazione è la rivendicazione del diritto alla libera scelta da parte di ciascuno, in genere accompagnato con il richiamo alla nostra Costituzione e ai sacri principi di libertà personale che essa sancisce. 

Ragionamento che sembra ineccepibile! Il guaio però sta nel fatto che nessuno pare interessato a valutare quali possano essere le ricadute delle scelte individuali sul bene e sugli interessi della comunità. Si sa, per esempio, dai dati sui ricoveri Covid al momento disponibili, che il 70% delle terapie intensive è occupato da non vaccinati, il che concretamente significa che se tutta la popolazione fosse immunizzata, i pazienti ricoverati in gravi condizioni sarebbero circa 600 al posto degli attuali 1800. Nessuno sa cosa succederà domani, ma è certo che ad oggi, lo stato delle cose non può non mandare in crisi tutto il sistema sanitario, impedendo spesso che altri malati gravi possano ricevere le cure a cui avrebbero diritto. Tra di essi particolarmente grave appare la situazione dei pazienti oncologici, con forti conseguenze negative i cui effetti andranno con ogni probabilità ben oltre la fine (sperata) dell’attuale emergenza sanitaria.

Sia chiaro che io non voglio criminalizzare nessuno! E per altro so benissimo che se la sanità pubblica funzionasse come dovrebbe, certi problemi, che sfiorano l’etica medica dell’alternativa tra chi curare e chi lasciare morire, non si porrebbero neanche, restando relegati, come sarebbe giusto, a tempi e scenari a noi estranei. Tuttavia, date a Cesare (il governo) le colpe che sono di Cesare, resta vero che la situazione di fatto è quella che è, e non credo si possa fingere di ignorarla facendosi scudo con le responsabilità altrui. Naturalmente si possono contestare i numeri, e qualcuno prova pure a farlo, ma la verità è che la maggioranza resta indifferente a tutto, come se la cosa non ci riguardasse. Ed è proprio questa indifferenza a lasciare veramente perplessi: la naturalezza con cui tutti siamo portati a difendere il nostro interesse personale senza neppure pensare di essere egoisti, come se il bene della comunità fosse, sempre e nient’altro, che la somma dei desiderata di ciascuno.  

 

nota conclusiva sull’individualismo sociale

Una volta il prototipo dell’irresponsabile sociale era lo “schiavo felice”. Il suddito che nella sua totale ubbidienza a chi aveva il comando, poteva non rispondere delle proprie azioni semplicemente perché non erano “sue”. Di ogni cosa egli era solo l’esecutore materiale. Un punto eterodeterminato di una meccanica estranea, al fondo incomprensibile e che forse non era neppure necessario comprendere.  Oggi nel nostro occidente post-liberale e post-democratico, pare che questa figura sia stata soppiantata da quella del “libertariano egoista”. Colui che ha una affezione sacrale verso la propria libertà. La possibilità della scelta libera, senza condizionamenti e senza legami (almeno apparenti), e le cui conseguenze vengono calcolate canonicamente, sempre e solo rispetto a se stessi, alle proprie aspettative e ai propri interessi. Spesso il “libertariano egoista” è più propriamente un “libertariano distratto”. Spesso l’altro e l’interesse collettivo più che essere consapevolmente esclusi, sono semplicemente assenti perché fuori dalla portata della nostra vista e dal nostro usuale modo di considerare le cose. Una abitudine del senso comune più che un atto voluto. D’altra parte è noto che le voci più apprezzate sono quelle “fuori dal coro”, senza il sospetto che forse il problema non è cantare da soli ma cambiare spartito. 

Non sarà un caso se oggi, a fronte di un individualismo sociale che si da come fatto diffuso e naturale, questioni come le esperienze di solidarietà altruistica, la centralità della società della cura, la gestione “dal basso” dei beni comuni, e quant’altro riferibile a pratiche di condivisione sociale, sebbene siano sempre più oggetto di pubblica attenzione, necessitano ancora della forte spinta militante e consapevole di (più o meno) organizzate avanguardie politiche o politicizzate.