Milano non ci sta e si alza in piedi facendo sentire forte e chiara la sua opposizione alla guerra.

Se l’appuntamento era alle 15, pochi minuti dopo quell’ora il corteo inizia già a muoversi; c’è bisogno di far spazio alla quantità di gente che arriva da ogni parte. Una marea di persone che si riversano e confluiscono come possono in un corteo dove si vedono solo gli striscioni tenuti in alto; quelli portati “a mano” spariscono in mezzo ai corpi. Un variegato mondo di volti che vedono finalmente trasformare la tensione di questi giorni in una risposta collettiva, un’alternativa possibile, quella che faccia tacere le armi e non solo ora, ma per sempre.

Un’enorme bandiera della pace portata nelle piazze fin dalla prima Guerra del Golfo, 30 anni fa. Un grande camion da dove si lanciano slogan, discorsi e musica. Altri impianti di amplificazione, musica degli Ottoni. Moltissimi studenti di tutte le età che invitano a “make school, not war” e pretendono la fine dei combattimenti in inglese e in russo.

Qualcuno dice 30mila, qualcuno 50mila, quello che è certo che non ci si aspettava una partecipazione così massiccia, ci eravamo disabituati a cortei così fitti e intensi. Ricorda davvero le reazioni che il movimento pacifista dimostrò in altre occasioni, 20 o 30 anni fa. Si ha la sensazione di ritrovarsi, con un po’ di anni in più addosso, ma anche con molti giovani e giovanissimi; se questi oramai da tempo reclamano un futuro per il pianeta e per il genere umano, ora vedono la necessità di accelerare le loro rivendicazioni e farle confluire in un movimento che torna con nuova energia alle parole di Genova, ad un altro mondo, non solo possibile, ma necessario e urgente.

Il percorso del corteo è breve, piazza Duomo si riempie, l’amplificazione del camion, per quanto potente, non copre tutta la piazza, si formano tanti capannelli; numeroso quello della comunità ucraina che grida e canta.

Dagli interventi il concetto è chiaro: pretendiamo che si fermi immediatamente la guerra in Ucraina, ma che si fermino anche tutte le altre guerre sparse per il mondo e spesso dimenticate, che si creino nuove relazioni internazionali, non sulla base di alleanze miliari (Nato in primis) ma sulla cooperazione e la solidarietà tra popoli. Che si trasformi un sistema che crea ingiustizia, violenza, miseria. Che si vada verso una riduzione della spesa militare, verso la riconversione dell’industria bellica, verso un mondo senza guerre ed eserciti.

Tutti e tutte sono coscienti che il cammino sarà lungo ed è appena cominciato, ma oggi è stato il primo passo importante di un movimento il cui fragore dovrà superare quello dei maledetti suoni di sirene ed esplosioni, la propaganda militare o il chiacchiericcio di politici ipocriti.

 

Foto di Andrea Mancuso