L’esperienza di questa sindemia da Covid19 rappresenta un’esperienza umana e politica unica nei decenni che sono sfilati dopo la Seconda guerra mondiale. È un cambiamento profondo nell’esperienza del nostro corpo. Direi che è un passaggio dalla biopolitica, per usare una terminologia di origine foucaultiana, alla necropolitica, per usare un concetto di Achille Mbembe. Mette in primo piano l’esperienza del corpo nella sua complessa articolazione… già!… perché il corpo, il nostro corpo, non esiste se non in una serie complessa di sistemi che lo governano: la sanità, il sapere scientifico nelle sue varie articolazioni, lo sport, la moda, l’industria alimentare…, ovviamente lo Stato senza la cui identificazione, che ci serve per fare qualunque cosa, non neanche potremmo vivere…
L’esperienza della sindemia ci ha fatto fare un salto nella produzione politica del corpo sanitario.
Nei paesi cosiddetti ‘ricchi’ l’allungamento della speranza di vita è intrinsecamente legato all’azione costante del sistema sanitario. Tutti noi abbiamo continuo bisogno di farmaci, senza di cui in molti casi saremmo morti. L’aumento della durata media della vita, nei paesi cosiddetti ricchi, non è dovuto a un miglioramento della condizione corporea, ma al continuo rapporto con il sistema sanitario, tra l’altro, ampiamente privatizzato: la salute diventa in grande affare economico, come la stessa sindemia ci mostra con i guadagni astronomici delle case farmaceutiche.
Il nostro corpo, insomma, non è affatto nostro.
Non è nostro anche in un altro senso – questa volta positivo. Non è nostro nel senso che noi lo riceviamo dagli altri, sia biologicamente, che culturalmente.
Noi abbiamo un corpo nella misura in cui ci viene riconosciuto dagli altri: la coscienza che ciascuno ha di sé stesso dipende appunto dal riconoscimento degli altri, a cominciare dai genitori, dagli amanti, dagli amici… Perciò l’individualismo cui il nostro tipo di cultura, basato sull’enorme prevalenza dell’Economia mercato, alias capitalismo, ci ha abituato, è il frutto avvelenato di un impoverimento radicale della capacità di fare esperienza del nostro corpo. Dietro l’individualismo, ci sono appunto i sistemi cui accennavo prima. Paradossalmente, quindi, l’individualismo è una conseguenza sistemica: il contrario del significato della parola individuo, anche in senso letterale. Il corpo è invece scomposto in molteplici sistemi di controllo, anche in apparente contraddizione fra loro, come le industrie alimentari e la sanità: contraddizione apparente, se ci si ammala è perché mangiamo alimenti non sani, c’è però l’industria farmaceutica che ci guadagna e il sistema sanitario privato…
In questa condizione, c’è sempre la possibilità che, in determinate situazioni storiche, ad esempio, una guerra, venga in luce la dimensione fondamentale del rapporto con il nostro corpo: l’angoscia, normalmente ridotta semplice paura, per la morte.
È questo il caso oggi con la sindemia da Covid19.
Il comando dello Stato in quanto gestore della salute pubblica si accentui fino a diventare di fatto una sorta di Comitato di salute pubblica (Francia 6 aprile 1793 ).
Si compie allora un salto di qualità nel processo verso forme a-democratiche di governo. Il virus costituisce l’occasione storica per la gestione governativa di una vasta diffusione di conformismo.
Innanzitutto, la sindemia viene ridotta a pandemia, ristretta cioè in campo meramente sanitario, diventando così un eccezionale paravento per nascondere il costante peggioramento delle condizioni di vita, ad esempio dei lavoratori, esemplificate nell’aumento spaventoso delle morti sul lavoro (1.404 nel 2021).
Inoltre, la paura della morte diventa direttamente uno strumento di governo che riduce ulteriormente un tasso di democrazia già molto basso.
Con ciò viene reso evidente come il cuore della governamentalità sia il potere di vita o di morte. Come in guerra, oggi si deve obbedire a decreti-legge che si accavallano l’uno sull’altro, mettendo da parte ogni capacità di critica.
La peculiarità del Covid19 – un processo patologico sconosciuto, diffusosi con estrema rapidità – favorisce potentemente questo processo con effetti analoghi a una condizione di guerra.
Credo che le tracce di questa condizione si radicheranno profondamente nelle società europee, in alcune di più, in altre di meno. Fra le prime l’Italia, che mi sembra evidente attraversa da anni una crisi profonda, in cui emergono antiche difficoltà nel rapporto società/stato che risalgono al “Risorgimento” e anche a molto prima…
L’angoscia e la paura per la morte non possono essere affrontate in una società in cui, la stessa paura per la morte ha accentuato l’individualismo in maniera estrema, come ho sperimentato più volta anche fra affetti di una vita: ognuno sembra chiuso nella prigione delle proprie paure – un campo di concentramento che coincide quasi con l’intera società.
Per elaborare l’angoscia universale per la morte è necessaria la presenza di una dimensione collettiva, in cui ciascuno si senta parte di un tutto e il morente sappia che, andandosene, lascia la parte migliore di se stesso a chi vien dopo di lui.
In tal modo la morte può acquistare senso