Se il movimento studentesco che era in piazza il venerdì 28 gennaio ha potuto essere così ferocemente malmenato non è solo a causa di un malaccorto questore e di celerini impazziti (ma ben protetti dalla ministra dell’interno).
No, questa mattanza viene da lontano e ha radici nella storia degli ultimi decenni di repressione del movimento studentesco a Torino, come nel resto d’Italia. Noi mamme non dimentichiamo, anzi siamo nate proprio dal sangue dei ragazzi versato sulle strade torinesi dal 2010 in poi.
In quegli anni il movimento studentesco era forte, attivo, numeroso. Portava nelle piazze cortei immensi di ragazze e ragazzi che protestavano contro le incessanti riforme che poco a poco stavano smantellando la scuola e la società. Alcuni di loro avevano persino iniziato ad andare in piazza mentre frequentavano le elementari o la materna, portati da noi genitori, quando abbiamo tentato di opporci alla riforma Moratti, poi la Gelmini e infine la Buona Scuola di Renzi.
I vari governi, che fossero di centrodestra o centrosinistra, non hanno mai sopportato questa opposizione e la repressione che ne è conseguita è stata sempre molto violenta.
Cronache di quei tempi arrivavano dalle piazze di Torino, di Palermo, Roma, Bologna, Napoli…
Tutto nel silenzio generale di chi, partiti o sindacati, avrebbe dovuto levarsi in loro difesa.
Ma si sa, i movimenti giovanili non sono allineati, non sono inquadrati nelle sezioni (ormai fatiscenti e in divisioni microcellulari) non hanno tessere del sindacato. Non sono spendibili.
Sono stati abbandonati.
E sui ragazzi di quegli anni si è abbattuta una feroce repressione, silente ma devastante. Perché dopo i manganelli, sempre giustificati dai mass media con la solita solfa degli “infiltrati e violenti” (dove per violenza, si badi bene, abbiamo al massimo visto volare delle uova riempite di colore a tempera) è arrivata la repressione giudiziaria.
Tutti gli attivisti/e e molti partecipanti a quelle lotte si sono viste recapitare, come mai prima d’allora, una pioggia di denunce: resistenza a pubblico ufficiale, occupazione stradale, interruzione di pubblico servizio. Reati “bagatellari” che in altri tempi sarebbero stati velocemente archiviati e che invece hanno condotto i ragazzi ad affrontare continue misure cautelari e anni di processi.
Alla fine, hanno dovuto desistere.
La maggior parte di loro se n’è andata all’estero, molti hanno rinunciato all’attivismo. I pochi radicalizzati nelle lotte ora stanno scontando detenzioni domiciliari, obblighi di firma, misure alternative. Una condanna a 2 anni di carcere per chi speakera al megafono.
E il movimento studentesco è stato quasi completamente azzerato. E’ riapparso in questi giorni, sparuto, con ben altri numeri nella partecipazione di piazza. Li hanno aspettati al varco e gli hanno fatto capire che, no, in Italia non c‘è posto né per il dissenso giovanile né per il conflitto sociale.
Nel frattempo i reati “bagatellari” sono diventati articoli dei decreti sicurezza, puniti con pene e multe esemplari. Nel frattempo le Procure, a Torino, Cosenza, Cagliari, stanno comminando la Sorveglianza Speciale agli attivisti/e dei movimenti: a quei giovani e quelle giovani che si impegnano sulle frontiere dei diritti alla casa, alla salute, al lavoro dignitoso e non sfruttato, con i migranti e in difesa dell’ambiente e del territorio.
Com’è che siamo arrivati sino a qui? Dove eravamo noi, tutti noi, mentre in Italia si compiva questo sfacelo securitario? E come mai anche ora, di fronte all’evidenza di fatti così violenti, la levata di voci scandalizzate non è ancora così determinata e compatta tanto da far cadere qualche testa, da far indagare qualche procura, da chiedere la rimozione dei decreti sicurezza?
Com’è che Lamorgese è ancora lì a blaterare motivi e cause inesistenti?
“Sono i violenti dei centri social” … bevetevela voi, noi siamo preoccupate per la deriva della democrazia in Italia.