Il Bhutan è chiuso al turismo dal marzo del 2020; per tantissimi mesi è stato completamente impossibile entrare nel paese per qualsiasi proposta di visita, via terra e aerea. Successivamente, la modalità aerea è stata ripristinata presso l’aeroporto internazionale di Paro, accessibile alla sola compagnia di bandiera del paese ‘Druk Air’, che ha qualche volo di collegamento da grandi città come Nuova Delhi o Bagkonk. I voli sono facilmente soggetti a cancellazione se non si ha almeno il 40% dei posti prenotati e questo viene confermato 72 ore prima della partenza. Per atterrare nell’aeroporto internazionale di Paro i piloti hanno bisogno di una speciale certificazione perché questo sito è considerato tra i più pericolosi al mondo: la pista sorge su una valle circondata da picchi che arrivano a 5.500 metri, che riducono notevolmente le possibilità di manovra e in cui è possibile atterrare e decollare solo durante il giorno e in condizioni climatiche ottime.
La mia esperienza di atterraggio è stata meravigliosa e graduale, più un tour dall’alto che una rapida discesa: una grandissima tavolozza di verde, con tutte le sue gradazioni, con foreste, vette altissime, valli, terrazze di riso e piccoli villaggi con case di legno qua e là, mentre suonava una musica folkloristica bhutanese in sottofondo. Era il 21 giugno 2021.
La realtà trovata appena atterrata è stata un insieme di rigorose procedure da rispettare, oramai ‘globali’, ma con un tocchi ‘locali’: scendere uno alla volta dall’aereo quando viene chiamato il proprio nominativo, lasciare i bagagli a mano che vengono letteralmente lavati con bombole di acqua e disinfettante mentre viene distribuita una scatola di benvenuto con snack tipici e tè caldo, aspettare nello spiazzale – senza mai entrare negli edifici dell’aeroporto – di essere chiamati, uno ad uno, a seconda dei pulmini numerati, che ti porteranno direttamente all’hotel designato per svolgere la quarantena di 21 giorni.
Tutte le strutture nella valle di Paro, zona molto nota per il famoso Tempio ‘Tiger Nest’, da due anni a questa parte sono destinate a essere strutture per la quarantena in cui si verrà accolti dai volontari De-suung, ‘guardiani della pace’, facilmente riconoscibili in tutto il paese per le loro uniformi arancioni, che si prenderanno cura degli ospiti, (distribuendo i pasti e in caso di necessità) evitando l’assoluto contatto diretto.
Il corpo dei De-suung è stato instituito dal re ed è un programma di formazione personale nato con l’obiettivo principale di incoraggiare tutti i cittadini a essere attivi nel ruolo di ‘costruzione’ della nazione, attraverso il volontariato e attività benefiche, offrendo contributo e supporto in caso di calamità naturali, situazioni di difficoltà e attività di beneficenza. I De-suung hanno e continuano ad avere un ruolo centrale nella gestione della pandemia.
Nell’estate 2021 è arrivato il primo turista: una donna americana che come previsto è stata in quarantena per 21 giorni per poi visitare il paese, suscitando così tanto clamore che la sua presenza nel regno era nota a tutti. Tantissimi commercianti, artigiani, agenzie turistiche, ristoratori hanno e continuano ad avere grandissime difficoltà e chiedono che venga riaperto il paese con misure più accessibili. In tutti questi mesi non ci sono stati ‘eventi’ sociali o grandi celebrazioni, e i bellissimi festival sono stati svolti ‘al chiuso’, destinati solo alla famiglia reale e a pochi altri invitati.
Ad ogni modo, dallo scorso settembre il periodo di quarantena è stato ridotto a due settimane per chi ha ricevuto due dosi di vaccino e resta invariato a 21 giorni per tutti gli altri casi.
E’ curioso vivere la situazione ‘pandemica’ in un regno, con tutti i moti di proteste, scontenti e sommosse che si vivono in altre parti del mondo. Qui le persone rispettano le regole, con un grande senso di fiducia verso il re e la famiglia reale e anche un grande senso di responsabilità. Sembrano avere un innato senso di disciplina, anche di fronte a difficoltà molto grandi.
Nell’ultimo mese a causa di un aumento dei contagi quasi tutto il paese è stato in lockdown per circa 28 giorni. È stato chiesto agli abitanti di uscire solo per necessità e a piedi o in bicicletta nella zona vicina alla propria abitazione, senza la circolazione delle automobili. Il silenzio e la tranquillità sono stati assoluti, il livello di ascolto e partecipazione a ciò che viene chiesto è davvero molto alto, senza scissioni o fazioni tra le persone. Ad oggi il paese ha una percentuale di vaccinati altissima, sono state fatte molte campagne per sensibilizzare le persone, ma senza nessun obbligo vaccinale e nessun sistema di green pass. Tutti sono nelle condizioni di fare le stesse cose, nel rispetto dell’altro e delle regole di distanziamento e uso della mascherina. Le ‘uniche’ proteste sembrano emergere a suon di tastiere nel commentare sui social le notizie che riguardano l’attualità.
A volte può sembrare che ci sia un senso di ‘repressione’ quasi naturale in un regno; da ‘ospite’ quale sono e non conoscendo approfonditamente il paese non posso esprimermi al riguardo, ma posso senz’altro sottolineare quanto ci sia un fondamento solido tra le scelte e direzioni proclamate dal re e dal governo e lo svolgimento delle stesse. L’intenzione più volte proclamata è quella di prevenire il virus in tutti i modi, senza lasciare che si diffonda prima di prendere delle decisioni.
Proprio durante l’ultimo lockdown, iniziato il 16 gennaio 2022 e non ancora terminato in alcune parti del paese, il re e i ministri hanno dichiarato che il Buthan non vuole convivere con il covid e che tutti i casi di positività sarebbero stati tracciati e isolati; anche con pochi casi di positività interi villaggi e cittadine, come anche la capitale Thimphu, sarebbero stati messi in lockdown, al fine di interrompere la catena di contagi. Con queste regole il paese ha sì subito i condizionamenti del periodo pandemico globale, ma con numeri di contagi molto bassi e senza compromettere molto la quotidianità.
Il re è un esempio di valore per tutti i suoi cittadini, ha una grande autorevolezza che conquista anche con il suo essere così vicino alla gente. Negli ultimi due anni ha attraversato in lungo e largo il paese, anche a piedi e a cavallo per raggiungere aree molto remote, come quelle al confine con il Tibet, per visitare e rassicurare i suoi cittadini e toccare con mano, non solo a parole, le loro realtà.